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SPECIALE ACQUA
ACQUA > SPECIALE ACQUA > LA POLITICA DELL'ACQUA > PER LA TUTELA DELLE ACQUE
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La cultura dell'acqua
Le dighe e l'acqua
  


La politica dell'acqua


Per la tutela delle acque


Questo decreto legislativo è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri. 23 anni e un giorno dopo la firma della legge 319/76 (cosiddetta legge Merli), l'11 maggio 1999 il Capo dello Stato ha firmato il decreto legislativo n. 152, pubblicato poi sul supplemento ordinario della Gu del 29 maggio 1999.

Le finalità del decreto

Le finalità della 152/99 sono riportate nell'articolo 1 e sono:

- prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinanti;
- conseguire il miglioramento dello stato delle acque e adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;
- concorrere a perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili;
- mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici nonché la loro capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.

Gli strumenti
Le finalità della 152/99 sono perseguite con i seguenti strumenti:

- l'individuazione di obiettivi di qualità per tutti i corpi idrici;
- il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonché la definizione di valori limite di emissione (in concentrazione e in massa/tempo) da parte delle Regioni, in relazione agli obiettivi di qualità del corpo idrico recettore;
- l'individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo e al riciclo delle risorse idriche;
- l'adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici;
- la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell'ambito di ciascun bacino idrografico e un adeguato sistema di controlli e di sanzioni.



L'Aquila: la fontana delle 99 cannelle

Le principali innovazioni

Gli elementi principali che caratterizzano il nuovo testo sono individuabili nei seguenti punti:
- il pieno recepimento della direttive comunitarie 271 e 676 del 1991;
- l'introduzione del criterio degli obiettivi di qualità dei corpi idrici come riferimento basilare per la definizione degli interventi di tutela;
- l'uso di indicatori capaci di valutare lo stato ambientale non solo su criteri di tipo chimico, ma anche di tipo biologico e tossicologico;
- la tutela integrata degli aspetti quantitativi e qualitativi nell'ambito di ciascun bacino idrografico, rafforzando le indicazioni per il corretto e razionale uso delle acque.
L'impostazione che caratterizzava la legge 319/76, basata sostanzialmente solo sulla definizione di limiti allo scarico, è stata cambiata spostando l'attenzione dal controllo del singolo scarico all'insieme degli eventi che determinano l'inquinamento del corpo idrico.
Il dlgs 152/99 è caratterizzato da un approccio combinato (obiettivi di qualità ambientale del corpo idrico recettore + limiti di emissione). Infatti, pur mantenendo i limiti allo scarico, demanda la loro modifica e integrazione alle Regioni sulla base delle esigenze di risanamento di ogni corpo idrico. Alle misure relative alla qualità degli scarichi dovranno concorrere misure atte alla difesa quantitativa della risorsa.


Gli obiettivi di qualità


È stato previsto un doppio (parallelo e contestuale) sistema di obiettivi di qualità:

- un obiettivo, riguardante particolari funzioni o destinazioni d'uso, a cui sono destinati specifici corpi idrici;
- l'obiettivo di qualità ambientale relativo a tutti i corpi idrici significativi.

Gli obiettivi riguardanti specifiche destinazioni d'uso

Fanno riferimento a norme vigenti e interessano i corsi d'acqua che le Regioni e gli enti locali individuano per un particolare uso o per una specifica funzione.
Rientrano tra questi usi e funzioni:

- la produzione di acqua potabile;
- la balneazione;
- la qualità delle acque designate come idonee alla vita dei ciprinidi e dei salmonidi;
- la qualità delle acque idonee alla vita dei molluschi.

Gli obiettivi di qualità ambientale
L'obiettivo di qualità ambientale esprime un concetto più ampio di quello legato alle destinazioni d'uso. Riguarda infatti non solo la qualità idrochimica ma l'intero ecosistema acquatico (acque, sedimenti, sponde e biota) sia sotto l'aspetto quantitativo che qualitativo.
In particolare, per le acque superficiali, esprime lo stato dei corpi idrici in funzione della loro capacità di mantenere e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate, il più possibile vicine alla condizione naturale in cui non appaiono significative modificazioni dell'ecosistema prodotte dall'attività umana e in cui il sistema mantiene intatte le sue capacità di risposta e autodifesa dalle perturbazione prodotte da tali attività grazie ai processi naturali di autodepurazione.

I corpi idrici significativi, sulla base dei dati del monitoraggio e in base ai criteri di classificazione contenuti nell'Allegato 1 alla legge, devono essere classificati dalle Regioni nei diversi stati di qualità ambientale, che, a seconda dei corpi idrici considerati, sono:

Acque superficiali

Corsi d'acqua
e laghi

Acque marine
costiere
Acque
di transizione
Elevato
Elevato
Buono
Buono
Buono
Sufficiente
Sufficiente
Mediocre
Scadente
Scadente
Scadente
Pessimo
Acque sotterranee
Elevato
Buono
Sufficiente
Scadente
Stato naturale particolare

Lo stato di qualità ambientale dei corpi idrici superficiali viene definito in base:
- allo stato ecologico, che è espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici;
- allo stato chimico, che è stabilito in base alla presenza dei principali inquinanti pericolosi, inorganici e di sintesi.

Lo stato di qualità ambientale dei corpi idrici sotterranei è definito sulla base dello:
- stato quantitativo, che indica la sostenibilità, sul lungo periodo, dello sfruttamento della risorsa; è indicativo del rapporto tra i prelievi in atto e le capacità naturali di ravvenamento;
- stato chimico, che riguarda la condizione idrochimica dell'acquifero e la presenza di inquinanti pericolosi.
Con i Piani di tutela (considerati come piano stralcio del piano di bacino previsto dall'articolo 17 della legge 183/89) devono essere adottate, a livello di bacino, le misure per raggiungere lo stato ambientale buono entro il 31 dicembre 2016 in ogni corpo idrico significativo. È inoltre prevista, per i soli corpi idrici superficiali, una tappa intermedia da raggiungere entro il 31 dicembre 2008.



Aree che richiedono specifiche misure di prevenzione


La nuova legge individua anche zone per le quali, in ragione della loro fragilità, sono previste particolari attenzioni, specifiche misure di prevenzione e norme vincolistiche.

Un gioco d'acqua

Aree sensibili
Sono riferite a quei corpi idrici esposti al rischio di eutrofizzazione e dove sono previsti trattamenti di depurazioni più spinti per gli scarichi in esse recapitanti. In prima istanza sono individuate dalla legge le seguenti aree, che potranno essere integrate e modificate dalle Regioni sulla base di criteri definiti nell'allegato 6:
- i laghi (al di sotto dei 1.000 metri slm) e i corsi d'acqua a essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla loro immissione nel lago;
- le aree lagunari e i laghi salmastri;
- le zone umide individuate ai sensi della convenzione di Ramsar;
- le aree costiere dell'Adriatico nord-occidentale dalla foce dell'Adige a Pesaro e i corsi d'acqua a esse afferenti per un tratto di 10 chilometri all'interno della linea di costa.

Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola
Una prima elencazione di tali aree è contenuta nell'Allegato 7, insieme ai criteri per la designazione, ove necessario, di ulteriori zone vulnerabili da parte delle Regioni e delle Province autonome, sentita l'Autorità di bacino. Nelle zone così individuate, devono essere rispettate le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola (pubblicato sulla Gu n. 86 del 4 maggio 1999).

Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari
Con le stesse modalità previste per le zone vulnerabili da nitrati, sulla base delle indicazioni contenute nell'Allegato 7, le Regioni e le Province autonome identificano le zone vulnerabili, allo scopo di proteggere le risorse idriche o altri comparti ambientali dall'inquinamento proveniente dall'uso di prodotti fitosanitari.

Aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano

Sono individuate da Regioni e Province autonome per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque destinate al consumo umano (dpr 236/88) e per la tutela dello stato delle risorse. Sono distinte in:
- aree di ricarica delle falda;
- emergenze naturali e artificiali della falda;
- zone di riserva.



Norme per favorire il risparmio e l'utilizzo appropriato della risorsa

Nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l'equilibrio tra la disponibilità della risorsa e i fabbisogni per i diversi usi, tenendo conto del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e della destinazione d'uso della risorsa compatibile con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.
Le autorità competenti effettuano la revisione delle concessioni delle grandi e piccole derivazioni, secondo le priorità indicate dall'Autorità di bacino, al fine del mantenimento o del perseguimento degli obiettivi di qualità e della necessità di garantire il minimo deflusso vitale. Le concessioni di utilizzazione delle acque minerali sono subordinate al pieno soddisfacimento delle esigenze potabili.

L'articolo 23 della legge, poi, riporta alcune modifiche al regio decreto 1775/33 atte a garantire un più razionale uso della risorsa attraverso:

  • l'obbligo a utilizzare risorse più appropriate per i diversi usi (non va usata l'acqua potabile per lavare le strade o irrigare i giardini o per altri usi che non richiedono particolari qualità):

    - l'utilizzo di risorse riservate all'uso potabile comporta il triplicamento del canone di concessione;
    - è previsto un decreto attuativo per definire norme tecniche per il riutilizzo agricolo delle acque reflue.


  • criteri per le concessioni. Nel concedere derivazioni e autorizzare nuovi pozzi, nella scelta tra più domande concorrenti è preferita la domanda che da sola, o in connessione con altre utenze concesse o richieste, presenti la più razionale utilizzazione delle risorse idriche in relazione ai seguenti criteri:
    - l'attuale livello di soddisfacimento delle esigenze essenziali dei concorrenti anche da parte dei servizi pubblici di acquedotto o di irrigazione, evitando ogni spreco e destinando le risorse qualificate all'uso potabile;
    - le effettive possibilità di migliore utilizzo delle fonti in relazione all'uso;
    - le caratteristiche quantitative e qualitative del corpo idrico;
    - la quantità e la qualità dell'acqua restituita;
    - in caso di più domande concorrenti per usi industriali è preferita quella del richiedente che aderisce al sistema di ecogestione e audit ambientale di cui al regolamento comunitario 1836/93 Cee.

  • sono previste sanzioni maggiori per prelievi non autorizzati (si sottolinea in particolare l'abrogazione di alcune parti dell'articolo 17 del regio decreto 1775/33 che rappresentano una sorta di sanatoria);

  • per incentivare il riutilizzo di acque già usate è previsto, per le utenze industriali, un coefficiente aggiuntivo alla tariffa d'ambito (o al canone di depurazione), riferito al rapporto tra acqua primaria e acqua già utilizzate nel processo produttivo;

  • vengono date indicazioni alle Regioni e alle Province autonome affinché vengano adottate norme per:

    - migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione al fine di ridurre le perdite;
    - prevedere la realizzazione di reti duali di adduzione al fine dell'utilizzo di acque meno pregiate per usi compatibili;
    - disporre per le nuove costruzioni, e incentivare per gli edifici già esistenti, l'utilizzo di tecnologie di risparmio della risorsa;
    - installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano;
    - prevedere sistemi di collettamento differenziati per le acque piovane e per le acque reflue;
    - prevedere negli strumenti urbanistici, compatibilmente con l'assetto urbanistico e territoriale, reti duali al fine dell'utilizzo di acque meno pregiate, nonché tecnologie di risparmio della risorsa. Il Sindaco rilascia la concessione edilizia se il progetto prevede l'installazione di contatori per ogni singola unità abitativa, nonché contatori differenziati ove già disponibili reti duali.

Le Regioni e le Province autonome devono inoltre adottare programmi per il contenimento dei consumi, per il riciclo dell'acqua e per il riutilizzo delle acque reflue depurate mediante i quali:
- sono prescritti gli usi delle migliori tecniche disponibili per la progettazione e l'esecuzione delle infrastrutture nel rispetto delle norme tecniche emanate ai sensi dell'articolo 6 della legge 5 gennaio 1994, numero 36;
- sono indicate le modalità del coordinamento interregionale anche al fine di servire vasti bacini di utenza ove vi siano grandi impianti di depurazione di acque reflue;
- sono previsti incentivi e agevolazioni alle imprese che adottano impianti di riutilizzo;
- sono predisposte opportune convenzioni con gli enti gestori del servizio idrico integrato e con altri enti per la ricerca, l'informazione e la diffusione dei metodi per il risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario e agricolo.

Le norme di emissione
Le norme sugli scarichi sono caratterizzate da un approccio combinato tra limiti di emissione e obiettivi di qualità. Viene ridefinito un sistema di limiti di emissione costituito:
- da limiti fissati centralmente (legge 319/76 e direttiva 76/464 Cee riguardanti le sostanze pericolose e direttiva 91/271Cee per le acque reflue urbane);
- limiti fissati dalle Regioni e dalle Province autonome, nell'ambito dei piani di tutela, sulla base degli obiettivi di qualità.
I limiti fissati localmente potranno essere diversificati per ogni corpo idrico superficiale in relazione al carico ammissibile per raggiungere l'obiettivo di qualità. Questi limiti dovranno essere anche in termine di carico, cioè di massa nell'unità di tempo (ad esempio kg/mese), oltre che in concentrazione.

I limiti per le acque reflue urbane
Dall'entrata in vigore della legge 152/99 tutti i nuovi impianti di depurazione delle acque reflue urbane dovranno rispettare i limiti indicati nella tabella in basso.
Gli impianti provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti equivalenti, recapitanti in mare, e quelli provenienti da agglomerati con meno di 2.000 abitanti equivalenti recapitanti in acque dolci superficiali o acque di transizione, devono dotarsi di trattamento appropriato, che garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità, o la tutela delle acque sotterranee nel caso di scarico nel suolo.
Tali trattamenti devono essere individuati con l'obiettivo di: a) rendere semplice la manutenzione e la gestione; b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico; c) minimizzare i costi gestionali. Questa tipologia di trattamento può equivalere a un trattamento primario o a un trattamento secondario a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti.
Per tutti gli insediamenti con popolazione compresa tra 50 e 2000 abitanti equivalenti, si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come i filtri percolatori o impianti a ossidazione totale.
Peraltro, tali trattamenti possono essere considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti fissati, anche a tutti gli insediamenti in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30 per cento della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano. Tali trattamenti si prestano, per gli insediamenti di maggiori dimensioni con popolazione compresa tra i 2.000 e i 25.000 abitanti equivalenti, anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento.
L'Allegato 5 fornisce inoltre alcune indicazioni per altri inquinanti: rende obbligatorio prevedere i trattamenti di disinfezione e richiede di non superare negli scarichi una percentuale (30 per cento) di azoto ammoniacale rispetto all'azoto totale.

Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane

Potenzialità impianto in abitanti equivalenti

2.000 - 10.000
>10.000
Parametri
Concentrazione
% di riduzione
Concentrazione
% di riduzione




1 BOD5 mg/l

<_25
70-90
<_25
80
2 COD mg/l
<_125
75
<_125
75
3 Solidi Sospesi mg/L
<_35
70
<_35
90
     

I tempi di adeguamento
In ottemperanza alla direttiva 91/271 Cee, gli scarichi esistenti alla data di entrata in vigore della legge rimangono soggetti alle normative emanate dalle Regioni e dalle Province autonome e dovranno conformarsi ai limiti previsti per i nuovi scarichi: entro il 31.12.2000, se provenienti da agglomerati con oltre 15.000 abitanti equivalenti; entro il 31.12.2005 se con popolazione compresa tra 2.000 e 15.000 abitanti equivalenti. Negli stessi tempi gli insediamenti in questione dovranno dotarsi di fognatura.

I limiti per le acque reflue industriali
Per gli scarichi in corpi idrici superficiali delle acque reflue industriali rimangono invariati i limiti esistenti in base alla legge 319/76 e 133/92.
Per gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in fognatura valgono i limiti indicati nell'Allegato 5, oppure i limiti fissati dal gestore della pubblica fognatura, se già definiti e se l'impianto di trattamento al servizio della fognatura è perfettamente funzionante e in grado di rispettare i limiti dello stesso allegato.
Tali scarichi, saranno soggetti alle norme dettate dalle Regioni al fine del raggiungimento dell'obiettivo di qualità stabilito per il corpo idrico recettore.
I limiti per le sostanze pericolose dovranno rispettare le indicazioni contenute nell'Allegato 5 e per alcune di queste non potranno essere meno cautelativi di quelli indicati nello stesso allegato.

Gli scarichi sul suolo e nel sottosuolo
Salvo le eccezioni previste, non possono essere attivati nuovi scarichi nel sottosuolo e sul suolo. Gli scarichi che recapitano nel sottosuolo dovranno cessare entro il 31 dicembre 2000 e quelli sul suolo dovranno cessare entro tre anni dall'entrata in vigore del nuovo testo di legge.
Gli scarichi di acque reflue urbane o di acque reflue industriali, che in virtù delle eccezioni contemplate nel nuovo testo di legge e specificate nell'Allegato 5 continuano a recapitare sul suolo, dovranno conformarsi alle indicazioni e ai limiti contenuti nell'Allegato 5.
Tali eccezioni riguardano in particolare l'esistenza di rilevanti problemi di ordine tecnico relativi alla idrografia, alla geologia e alla morfologia del territorio, o il caso di elevate distanze dal più vicino corpo idrico superficiale.


Tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici

Al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente ai corpi idrici, con funzioni di tutela dall'inquinamento diffuso da contemperarsi con le esigenze di funzionalità dell'alveo, la legge demanda alle Regioni e alle Province autonome il compito di disciplinare gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprasuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune. È comunque vietata la copertura dei corsi d'acqua, a meno che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità e per la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti.
Le aree del demanio fluviale di nuova formazione, ai sensi della legge 5 gennaio 1994, numero 36, non possono essere oggetto di sdemanializzazione.


Norme abrogate dalla legge 11 maggio 1999 n.152

Con la nuova legge 11 maggio 1999, n. 152, sulla tutela delle acque dall'inquinamento vengono abrogate le seguenti norme:

  • legge 10 maggio 1976, n. 319;
  • legge 8 ottobre 1976, n. 690, di conversione con modificazioni del decreto legge 10 agosto 1976, n. 544;
  • legge 24 dicembre 1979, n. 650;
  • legge 5 marzo 1982, n. 62, di conversione con modificazioni del decreto legge 30 dicembre 1981, n. 801;
  • decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n. 515;
  • legge 25 luglio 1984, n. 381 di conversione con modificazioni del decreto legge 29 maggio 1984, n. 176;
  • gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n. 71, di conversione in legge del decreto legge 5 febbraio 1990, n. 16;
  • decreto legislativo 25 gennaio, 1992, n. 130;
  • decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n. 131;
  • decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n. 132;
  • decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n. 133;
  • articolo 2, comma 1, della legge 6 dicembre 1993, n. 502, di conversione con modificazione del decreto legge 9 ottobre 1993, n. 408;
  • articolo 9 bis della legge 20 dicembre 1996, n. 642, di conversione con modificazioni del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 552;
  • legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione del decreto legge 17 marzo 1995, n. 79.

 

Il piano di tutela

Una considerazione specifica va fatta su un tema che è stato una delle principali fonti di contrasto nel confronto con le Regioni: lo schema procedimentale scelto per l'approvazione del piano di tutela.

Tale procedura prevede tre momenti:

a) la definizione di obiettivi e criteri generali da parte dell'Autorità di bacino (entro il 31.12.2001);

b) la redazione dei piani di tutela da parte delle Regioni (entro il 31.12.2003);
c) la formulazione del parere vincolante da parte delle Autorità di bacino e l'approvazione finale del piano da parte delle Regioni entro il 31.12.2004.

Il parere dell'Autorità di bacino non deve entrare nel merito delle scelte puntuali fatte dalle singole Regioni, ma deve verificare la coerenza generale dei diversi piani e la conformità degli stessi ai criteri e agli obiettivi definiti all'inizio dall'Autorità di bacino.

Questa divisione di competenze, che tiene conto dell'attuale impostazione normativa derivata dalla legge 183/89 sulla difesa del suolo, è tesa a salvaguardare le specificità dei due enti (più pianificatorio il primo, programmatorio e soprattutto gestionale e operativo il secondo), assegnando il compito di redazione del piano e la definizione degli interventi alle Regioni.
Il piano di tutela, costituendo un piano stralcio di settore del piano di bacino della legge 18 maggio 1989 n. 183, si pone nella gerarchia della pianificazione del territorio come un piano sovraordinario "perché i vincoli posti dal predetto piano obbligano immediatamente le amministrazioni e gli enti pubblici (statali e regionali) i quali sono tenuti a osservarli e a operare in conseguenza" (Corte Costituzionale, sentenza numero 13 del 2 febbraio 1995). Questo dovrebbe facilitare il coordinamento con gli altri piani regionali ambientali e la conformità ai piani urbanistici.

Il sistema messo a punto è in realtà uno strumento di garanzia proprio per le Regioni, in particolar modo per quelle che si trovano a valle. Evita infatti che lo sforzo fatto per perseguire gli obiettivi sia vanificato da scelte non coerenti operate a monte. Cosa può fare il Veneto per risanare l'Adige se a questo obiettivo non contribuiscono le province di Trento e Bolzano? Riuscirà l'Emilia Romagna a migliorare la qualità del Po e dell'Adriatico prima che Milano depuri le sue acque e che il Lambro diventi più pulito?

Sanzioni e danno ambientale

Oltre a una serie di sanzioni amministrative, e in alcuni casi penali, è previsto un sistema di risarcimento del danno ambientale provocato da comportamenti in violazione della legge.
In particolare, chi provoca un danno alle acque, al suolo e ad altre risorse è tenuto al rispristino ambientale. Il ministero dell'Ambiente ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno non eliminabile con gli interventi di bonifica. A tal fine, quando non sia possibile una precisa quantificazione economica, è previsto un sistema automatico basato sull'entità della sanzione amministrativa o sulla sanzione penale erogata.

In conclusione, bisogna ricordare che i nodi critici da affrontare per l'applicazione della legge sono principalmente:

- quello finanziario e gestionale;
- quello dei controlli.

Un primo aspetto è quello finanziario relativo all'entità delle risorse da reperire e alle forme di finanziamento. La stima più recente individua infatti in circa 60.000 miliardi la somma di investimenti necessari ad adeguare il sistema fognario e depurativo italiano.
È peraltro giusto sottolineare che tale somma è in media con quelle previste dagli altri paesi dell'Unione europea. Infatti la media italiana per abitante equivalente è di lire 540.000 contro il massimo della Germania di circa 1.200.000 e il minimo di 220.000 della Grecia.

Tali risorse finanziarie possono essere coperte solo in parte dallo Stato, mentre la grossa parte deve essere coperta attraverso la messa in atto del sistema tariffario previsto dalla legge 36/94, che purtroppo ancora stenta a partire.
Il secondo aspetto, quello gestionale, riguarda in parte anche esso il tema finanziario (non basta trovare i soldi per costruire l'impianto, bisogna anche farlo funzionare), ma anche il miglioramento delle capacità tecniche progettuali e gestionali. Infatti non sempre gli interventi effettuati raggiungono un livello sufficiente nel rapporto costi/benefici. Molte volte gli impianti sono troppo piccoli per essere gestiti bene, altre volte sono inutilmente complessi per le esigenze locali e, infine, troppo spesso i comuni e gli enti gestori non hanno personale abbastanza preparato per gestirli. Su questi temi il ministero dell'Ambiente si sta attrezzando per dare indicazioni operative o linee guida.

Il secondo nodo riguarda la grave carenza di strutture capaci di garantire un monitoraggio efficace e continuativo della qualità dei corsi d'acqua e degli scarichi. Non si tratta solo di carenze strutturali, ma anche di carenze culturali: non si comprende ancora appieno, infatti, l'importanza che hanno il monitoraggio, la raccolta, l'analisi e l'aggiornamento delle informazioni per la gestione delle acque e il risanamento dei corpi idrici.
C'è la necessità di colmare al più presto questa grave lacuna, anche attraverso la raggiunta piena funzionalità del sistema Anpa/Arpa.
Un altro elemento da sottolineare riguarda una carenza che ancora la nuova normativa non ha completamente superato. Non si è infatti riusciti ad assumere compiutamente un'impostazione della tutela, soprattutto per quanto riguarda la parte relativa al controllo degli scarichi, basata su criteri ecotossicologici.

Uno sforzo in tal senso è stato fatto e ciò si può cogliere soprattutto da una lettura attenta dell'Allegato relativo ai criteri di monitoraggio e classificazione dei corpi idrici, ma l'impostazione culturale, tecnica e politica che ancora contraddistingue alcuni importanti ministeri non ha permesso ulteriori passi avanti in tal senso.
Bisogna comunque sottolineare come l'impostazione del citato allegato, oltre a introdurre ampiamente tali concetti, è sufficientemente elastico da permettere una successiva evoluzione in tal senso di tutta la legge. Per questi motivi, anche se la realtà del mondo tecnico e scientifico richiedeva avanzamenti più spinti, i piccoli passi avanti contenuti nel nuovo decreto aprono una strada che porterà in breve novità più rilevanti.

Un'ultima considerazione riguarda un'importante positiva ricaduta che questa legge, attraverso la logica degli obiettivi di qualità integrata con le azioni di tutela quantitativa, introduce nelle politiche di risanamento e nei relativi piani finanziari.
L'individuazione di obiettivi definiti e misurabili, contestualmente alla definizione di precisi traguardi temporali (2008 obiettivo intermedio e 2016 obiettivo finale) in cui questi obiettivi devono essere raggiunti, costringerà la pianificazione a una logica per obiettivo. Sarà necessario pianificare l'utilizzazione delle risorse che si rendono disponibili nella maniera più consona per il raggiungimento dei risultati attesi; inoltre la presenza di standard di qualità ben definiti renderà misurabili gli effetti degli interventi, permettendo così di valutarne il rapporto costo benefici, l'efficacia e l'efficienza. In questo modo, gli investimenti della Comunità europea o dello Stato potranno più facilmente essere orientati verso quegli interventi che rispondono di più a questa logica.

di Riccardo Rifici, Irene Di Girolamo

La struttura della legge
Un depuratore industriale

Il decreto legislativo n. 152/99 è organizzato in 6 Titoli,
7 Allegati tecnici, 8 Decreti attuativi.



I titoli

- Principi generali
- Obiettivi di qualità
- Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi
- Gestione dei corpi idrici
- Sanzioni
- Disposizioni finali








Gli allegati


Allegato 1 - Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale. Contiene i criteri per l'identificazione e la classificazione dei corpi idrici significativi.


Allegato 2 - Criteri per la classificazione dei corpi idrici a destinazione funzionale. Riporta i criteri generali e le metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e per la classificazione delle acque superficiali, secondo la normativa vigente: in particolare quelle delle acque superficiali destinate alla produzione di acque potabile (dpr 3 luglio 1982 numero 515), delle acque superficiali idonee alla vita dei pesci salmonicoli e ciprinicoli (dl 25 gennaio
1992 numero 130) e di quelle destinate alla vita dei molluschi
(dl 27 gennaio 1992 numero 131). Tali norme vengono abrogate
con l'entrata in vigore della nuova legge.

Allegato 3 - Rilevamento delle caratteristiche dei bacini idrografici e analisi dell'impatto esercitato dall'attività antropica. Vengono previste, per le acque superficiali e per quelle sotterranee, due distinte fasi: una finalizzata all'acquisizione delle conoscenze disponibili e una relativa alla costituzione di un archivio anagrafico dei corpi idrici. Per quanto riguarda la prima fase sono riportati gli elementi geografici, geologici, idrogeologici, fisici, chimici, biologici e socioeconomici da prendere in considerazione per la caratterizzazione dei bacini. Relativamente alla seconda fase sono indicate le modalità per la compilazione di una scheda informatizzata che riporti, per ciascun corpo idrico, tutte le informazioni sugli impatti esercitati dalle attività umane.

Allegato 4 - Contenuti dei piani di tutela dei bacini idrografici. Riporta i criteri e le modalità per la redazione dei piani di tutela e la gestione degli interventi e delle misure previste dal piano stesso.

Allegato 5 - Limiti di emissione degli scarichi idrici. Riguardante le norme di emissione per gli scarichi degli impianti di acque reflue urbane, recapitanti in aree sensibili e non, e delle acque reflue industriali.

Allegato 6 - Criteri per l'individuazione delle aree sensibili e meno sensibili. Vengono definiti, in ottemperanza alla direttiva 91/271/Cee, i criteri per l'individuazione o la reidentificazione da parte delle regioni delle aree sensibili o meno sensibili.

Allegato 7 - Zone vulnerabili. Riporta i criteri per l'individuazione o la reidentificazione da parte delle Regioni delle zone vulnerabili, nonché i criteri e la metodologia per la definizione dei programmi di azione da parte delle stesse Regioni. È diviso in due parti, la prima riguarda le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e la seconda le zone vulnerabili da prodotti fitosanitari.

I decreti attuativi

  • Norme tecniche per la movimentazione dei fondali marini e lo sversamento in mare. Decreto del Ministro dell'Ambiente di concerto con i Ministri dei Lavori pubblici e per le Politiche agricole, da emanarsi entro 60 giorni dall'entrata in vigore del nuovo testo di legge.
  • Criteri e modalità per l'applicazione sul terreno di effluenti zootecnici e acque di vegetazione. Decreto del Ministro per le Politiche agricole di concerto con i Ministri dell'Ambiente, dell'Industria, della Sanità e dei Lavori pubblici da emanarsi entro 180 giorni dall'entrata in vigore del nuovo testo di legge.
  • Norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue urbane. Decreto del Ministro dell'Ambiente di concerto con i Ministri per le Politiche agricole, della Sanità, dell'Industria e dei Lavori pubblici.
  • Criteri relativi al contenimento dell'impatto sull'ambiente derivante dalle attività di acquacoltura e piscicoltura. Decreto del Ministro dell'Ambiente di concerto con i Ministri per le Politiche agricole, dei Lavori pubblici, dell'Industria e della Sanità.
  • Criteri per la standardizzazione dei dati e per la trasmissione delle informazioni. Decreto del Ministro dell'Ambiente di concerto con i Ministri competenti e la conferenza Stato-Regioni (in via di predisposizione da parte dell'Anpa).
  • Criteri per la definizione del bilancio idrico di bacino. Decreto del Ministro dei Lavori pubblici di concerto con i Ministri competenti e la conferenza Stato-Regioni.
  • Criteri per la definizione delle modalità per l'applicazione delle riduzioni del canone previste dall'articolo 18 della legge 36/94. Decreto del Ministro dei Lavori pubblici di concerto con i Ministri competenti e la conferenza Stato-Regioni.
  • Criteri per la predisposizione dei progetti di gestione dell'attività di "manutenzione" delle dighe. Decreto del Ministro dei Lavori pubblici di concerto con i Ministri competenti e la conferenza Stato-Regioni
 
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