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Le notizie dell'acqua

Emergenza desertificazione


Il correttore automatico del word processor sottolinea in rosso il termine "desertificazione". In effetti, sui dizionari la parola desertificazione non esiste.

Né esistono nei dizionari francesi e inglesi i corrispettivi desertization e desertification. Nonostante il temine sia usato di frequente e nonostante sia stato coniato nel lontano 1927, dallo scienziato ed esploratore francese Louis Lavauden. Da allora si è arricchito di una serie di significati via via più estesi: in una prima accezione, più vicina a una retorica tipica dei periodi di crisi, il termine desertificazione sta a intendere l'espansione dei deserti esistenti per effetto dell'avanzamento della sabbia su ecosistemi fragili, degradati, pre-desertici, quali ad esempio le savane o la garigue. C'è poi una seconda accezione, riportata nel capitolo 12 dell'Agenda 21, secondo cui la desertificazione "è la degradazione delle terre in zone aride, sub-aride e sub-umide secche dovuta a diversi fattori, spesso complessi, tra cui le variazioni climatiche e le attività umane".

E' vera emergenza o invece mito globale?

Alcuni scienziati sostengono che la desertificazione è un fenomeno ciclico naturale, come dimostrerebbe il ritiro di molte aree desertiche osservato dal satellite. Altri la considerano un'emergenza reale, a partire dall'entità dei fenomeni in atto in tutto il pianeta.
La comunità internazionale l'ha riconosciuta come uno dei principali problemi ambientali, tanto da adottare nel 1994 la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione

Desertificazione:
emergenza o mito globale?

A livello internazionale, esiste tuttora una controversia sul fatto che la desertificazione sia effettivamente un'emergenza ambientale o piuttosto un mito globale. A favore di questa seconda ipotesi si schierano numerosi studiosi e scienziati, anche molto autorevoli, i quali, anche basandosi sulle informazioni provenienti dai satelliti che evidenziano un ritiro di molte aree desertiche (per esempio nel Sahara o in alcune parti dell'Australia), sostengono che la desertificazione è un fenomeno ciclico, naturale.

Altri, viceversa, ritengono che questo fenomeno sia una emergenza reale. Alcuni numeri danno un'idea della sua entità:

- 1/4 delle terre emerse del pianeta è minacciato dal fenomeno;
- 3/4 delle terre aride, nel nord America e in Africa, sono ad alto rischio di desertificazione (e questo dato dimostra chiaramente che il fenomeno non interessa le sole aree africane, ma anche parti del nord America e, in alcuni casi, del Canada);
- 900 milioni di vite umane sono minacciate in Africa dalla desertificazione;
- 3,3 miliardi di ettari di suoli agricoli in zone aride risultano degradati;
- il 20 per cento dei suoli agricoli irrigui, su un totale di 250 milioni di ettari a livello planetario, è interessato dal processo di salinizzazione, vera e propria anticamera della desertificazione;
- 10 milioni di ettari di foreste sono distrutti mediamente ogni anno per incendio o per cambiamento di uso del suolo.


Il fenomeno interessa anche il bacino del Mediterraneo e la nostra penisola. Anche qui può essere utile fornire alcuni dati recenti:

- il 6 per cento della superficie dell'Europa è costituito da terre aride;
- il 2 per cento invece è la percentuale delle terre già desertificate nel continente europeo;
- 30.000 ettari di suoli ad alta fertilità sono sottoposti, ogni anno in Italia, a cambio d'uso da agricolo a urbanistico;
- 3,7 milioni di ettari di suolo nell'Italia del sud risultano degradati;
- 50.000 ettari di bosco sono, in media, percorsi da incendi nel nostro Paese.

Un altro aspetto della desertificazione nell'area mediterranea è rappresentato dall'inevitabile pressione sugli ecosistemi naturali derivante dall'esplosione demografica che c'è stata negli ultimi decenni e che ci si aspetta nel prossimo futuro: nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, infatti, si è passati dai 90 milioni di abitanti (all'inizio del secolo passato) agli attuali 300 milioni; secondo le previsioni più ottimistiche, si prevede di raggiungere quota 850 milioni entro il 2050.

Sulle cause della desertificazione si è dissertato a lungo. Sono molto complesse ma si possono raggruppare in due grandi classi: antropogeniche e naturali.

Le cause antropogeniche più importanti sono:

- il sovra-pascolamento, che comporta una riduzione della copertura vegetale e una compattazione e rimozione di suolo;
- l'agricoltura intensiva e irrigua che prevede lavorazioni meccaniche del suolo, realizzate spesso non in accordo con un uso sostenibile delle terre e che si avvale di un utilizzo spesso eccessivo di agro-chimici (fertilizzanti, pesticidi, regolatori di crescita, ecc.);
- i disboscamenti e il degrado della copertura vegetale;
- gli incendi;
- l'inquinamento, sia dell'aria che dei suoli;
- la salinizzazione, fenomeno molto complesso, che interessa gran parte delle superfici agricole dove da decenni si pratica l'agricoltura intensiva;
- le discariche e le attività estrattive;
- l'aumento dell'uso e l'uso irrazionale delle risorse idriche;
- lo sviluppo, spesso anarchico e disorganizzato, del turismo.
Le principali cause naturali invece sono:
- i cambiamenti climatici, i quali peraltro sono in larga parte dovuti ad attività antropogeniche;
- le eruzioni vulcaniche.

desertificazione
Il deserto del Sahara

Desertificazione, cambiamenti del clima e vegetazione
Il fenomeno desertificazione è destinato ad aggravarsi per effetto dei cambiamenti climatici in corso. L'aumento medio della temperatura globale dell'atmosfera, osservato fino al 1999, è stato infatti di 0,6-0,7°C, un valore elevato in percentuale se si considera che la temperatura media globale è di 14°C. Le variazioni attese per l'anno 2100 prevedono invece globalmente un aumento medio di 4°C, se consideriamo solo l'effetto serra, oppure un aumento appena meno consistente se consideriamo l'effetto raffreddante che sembra abbiano alcuni gas.

I più autorevoli istituti di climatologia, quali l'Hadley Centre (GB) e il Potsdam Institute (Germania), secondo uno scenario "business as usual", prevedono per l'area del Mediterraneo, prima della fine del secolo in corso, un aumento di temperatura compreso fra i 2 e i 4°C e una riduzione delle precipitazioni di circa 1 millimetro/giorno. Questo naturalmente aggraverà di molto le condizioni ambientali, peraltro già preoccupanti, di gran parte delle regioni del Sud dell'Italia.

La desertificazione e i cambiamenti climatici avranno molteplici effetti anche sugli ecosistemi vegetali. Si attende una migrazione altitudinale e longitudinale delle fasce di vegetazione (550 m e 550 km rispettivamente) delle colture sensibili al freddo (agrumi, ulivo) e un progressivo abbandono delle colture cerealicole nelle zone aride e semi-aride dell'Italia peninsulare e insulare, un peggioramento delle condizioni aride e semi-aride (per via dell'aumento previsto di 200 mm/anno dell'evaporazione potenziale), un'accelerazione dei processi di desertificazione nelle regioni meridionali, una maggiore frequenza e severità degli incendi boschivi, un peggioramento delle condizioni di vita, specialmente nelle aree urbane.

Un esempio: la Murgia
Un esempio di degrado che ben rappresenta l'entità del fenomeno nelle regioni del meridione è costituito dalla Murgia barese, una zona dell'entroterra pugliese ad alto rischio di desertificazione. L'area, che fino al secolo scorso era densamente forestata, attualmente è la zona dove si concentra circa un quarto della produzione mondiale di grano duro, destinato alla fabbricazione della pasta. La produzione media di granella per ettaro è aumentata, dagli anni '50 ad oggi, di cinque o sei volte. Questo è avvenuto per effetto dell'aumento della concimazione e dell'apporto di diversi agro-chimici che hanno causato una progressiva salinizzazione dei suoli con conseguente riduzione della fertilità naturale.

Nella stessa regione, tuttavia, vi sono segnali incoraggianti, di segno opposto, per procedere nei programmi di lotta alla desertificazione. La Puglia è la regione in cui l'applicazione del Regolamento comunitario 2078/92, che finanzia la riconversione dell'agricoltura tradizionale verso l'agricoltura biologica, ha avuto maggiore successo. Nella stessa regione si registrano eccellenti esempi di una agricoltura sostenibile, appropriata alle condizioni di fertilità naturale dei terreni, che usa specie e varietà native, resistenti alla siccità, che recupera tecniche di lavorazione del suolo e colturali in genere volte alla riduzione dell'erosione.

E poi c'è la tecnologia
A lungo vista come nemico dell'ambiente, la tecnologia sta fornendo via via nuove soluzioni ad alcuni dei più pressanti problemi ambientali. Voglio qui riportare un esempio significativo. Mess, acrostico di Mobile Electromagnetic Sensing System, è il nome di un curioso veicolo che da qualche mese si aggira senza meta apparente per i campi dell'Alabama. Il prototipo, ultimo modello di un'agricoltura sempre più high-tech, consente di mappare il suolo, coltivare e stabilire le quantità di pesticidi e fertilizzanti con una precisione e un'efficienza mai sperimentata prima(1). Sul veicolo, molto simile a una sonda spaziale, sono montati alcuni elettromagneti, per creare un campo magnetico nel suolo, e un gruppo di sensori, che rilevano la conducibilità elettrolitica. Maggiore è quest'ultima, maggiore è la concentrazione di sali nel terreno. I dati delle concentrazioni saline sono poi riportati su mappe create con satelliti Gps (il sistema di navigazione satellitare divenuto famoso per aver guidato i raid aerei americani nella guerra del Golfo e poi di quella in Serbia, che consente di calcolare la posizione di un qualsiasi punto della Terra), permettendo, con un grado di accuratezza di 20 cm, di diagnosticare i livelli di salinità di un appezzamento di terreno.

Gli agricoltori possono quindi modificare i loro piani di concimazione, gli schemi o i sistemi di irrigazione, i trattamenti contro le infestanti, definendo le dosi da spargere in funzione delle richieste di una piccola porzione di terreno, talvolta anche di una singola pianta, riducendo l'uso di agro-chimici e i danni che questi causano agli ecosistemi agricoli.

Lo sviluppo del prototipo, che qualcuno ha già battezzato Ferrari antideserto, è parte di un vasto programma del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti per combattere la salinizzazione delle terre agricole, fenomeno particolarmente grave e preoccupante nel Paese. Secondo uno studio del 1999 della Banca mondiale, il 30 per cento delle terre irrigate degli Stati Uniti, il 23 per cento della Cina e l'11 per cento dell'India sono in qualche modo interessate dalla salinizzazione. La salinizzazione, dovuta all'accumulo di fertilizzanti, di sali contenuti nelle acque di irrigazione, di pesticidi e di altri composti chimici nei suoli agricoli, è di carattere globale, come conferma la Fao(2), che non si distingue di sicuro per catastrofismo. Sempre la Fao ritiene che la salinizzazione abbia già portato alla perdita di fertilità di oltre 30 milioni di ettari irrigui e a produzione intensiva dei complessivi 240 milioni su cui si pratica questo tipo di agricoltura, ed è una delle principali cause di desertificazione.

desertificazione
Approvigionamento idrico

Un fenomeno da gestire
Per quel che riguarda invece l'ambito politico-gestionale del fenomeno, è bene sottolineare l'importanza di creare collegamenti fra le principali convenzioni e accordi internazionali. Al momento questi ultimi presentano chiari sbilanciamenti.

Innanzitutto, alcuni sono vincolanti (per esempio, la Convenzione sui cambiamenti climatici, che attraverso il Protocollo di Kyoto definisce i limiti di riduzione delle emissioni clima-alteranti) o lo sono diventati, altre Convenzioni (per esempio su desertificazione e biodiversità) non lo sono.

In secondo luogo, per alcune convenzioni l'attenzione/pressione è molto elevata (cambiamenti climatici), mentre per altre è scarsa (desertificazione e biodiversità). E' inoltre da segnalare una mancanza di coordinamento fra le autorità statali responsabili delle Convenzioni: non tanto per quel che riguarda la preparazione dei programmi nazionali o di altri documenti, ma per quel che concerne l'allocazione delle risorse e la concreta implementazione delle politiche.

Bisogna registrare, inoltre, una difficoltà del cosiddetto processo di scaling down degli impegni e delle decisioni assunte a livello internazionale in campo ambientale, dal livello nazionale a quello regionale e locale. Molte responsabilità ricadono tra le competenze degli enti regionali e locali, ma spesso alcune di queste non dispongono di una sufficiente capacità di implementazione. Infine, le autorità centrali sembrano essere riluttanti a decentralizzare competenze, responsabilità e in alcuni casi persino a fornire l'informazione su questi temi. Tutto ciò, ovviamente, ha l'effetto di produrre una ridotta percezione di quello che avviene a livello internazionale.

È chiaro quindi, da questo quadro generale, che il fenomeno desertificazione presenta molteplici aspetti, molto complessi e di diversa natura, di cui è necessario tenere conto se si vuole far fronte al problema con azioni concrete.

Chiudo con una famosa intuizione di Alexander von Humboldt, il quale nella sua opera monumentale, Cosmos (1849), diceva: "le foreste pluviali aiutano a generare nuvole e pioggia; allo stesso modo, sul Sahara cadrebbero piogge abbondanti, se solo ci fossero alberi". Questa stessa intuizione è stata confermata da una pubblicazione, datata 1999, di un gruppo di ricercatori del Potsdam Institute. Insomma, saranno le foreste a salvarci dalla desertificazione.

di Lorenzo Ciccarese

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