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SPECIALE ACQUA
ACQUA > SPECIALE ACQUA > LA CULTURA DELL'ACQUA

Indice dei contenuti
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La cultura dell'acqua
Le dighe e l'acqua
  
La cultura dell'acqua

L'acqua
fra tecnologia e ambiente

di Teresa Isenburg
Docente di Geografia. Università di Firenze

 

I tre punti relativi alla questione delle acque: il rapporto fra acque e agricoltura, la situazione delle grandi dighe, la normativa in materia idrica italiana, anche se trattati qui solo in modo schematico e il cui approfondimento richiede ulteriori letture, sono tuttavia utili per sottolineare l'ampiezza della questione dell'acqua, punto nodale dell'organizzazione sociale.

In totale l'acqua presente sulla terra è pari a circa 1.400.000.000 km3; essa è in prevalenza salata ed è raccolta per il 97,2 per cento negli oceani. Il rimanente, meno del 3 per cento, è dolce; di questa, la parte più consistente (28.000.000 km3, pari al 2,15 per cento) è bloccata nelle calotte polari e nei ghiacciai. I laghi di acqua dolce hanno un volume di 120.000 km3 (0,009 per cento), mentre quelli salati o i mari interni sono all'incirca equivalenti. I canali fluviali, in media, raccolgono 1.200 km3 (0,0001 per cento); le acque sotterranee ammontano indicativamente a 8.064.000 km3 (0,62 per cento). Questo significa che le acque dolci disponibili sono una parte piccola di tutta la massa idrica; esse sono all'interno del ciclo che, alimentato dall'energia solare, in un flusso continuo, intrecciandosi alla circolazione dell'aria, si sposta dalle superfici degli oceani alla terra ferma e ancora agli oceani in uno straordinario movimento senza fine.

Un bene limitato prossimo alla crisi

Siamo di fronte al pericolo, molto realistico, di una crisi idrica qualitativa e quantitativa. Per evitarla, e per evitare che dell'acqua si faccia un uso strategico, ricattatorio o geopolitico, è necessario ripensarne a fondo la gestione. A partire da quelli che sono oggi
i principali impieghi: innanzitutto
in agricoltura, cui è destinata fino all'80 per cento dell'acqua disponibile; poi, nei settori domestico e industriale

L'acqua è dunque un elemento rinnovabile, ma limitato; la capacità di rinnovamento può essere superata attraverso prelievi più rapidi rispetto ai tempi necessari al ripristino degli accumuli o attingendo a falde fossili, formatesi in epoche geologiche e destinate a non ricrearsi. Inoltre, possono essere alterati gli aspetti qualitativi a seguito dell'inquinamento e degli interventi di tipo ingegneristico che modificano l'andamento idrologico, ad esempio trasferendo le portate da un periodo all'altro dell'anno, o anche su più anni, attraverso la costruzione di bacini di ritenuta.

Va anche ricordato che la distribuzione idrica non è omogenea su tutto il pianeta: il 60 per cento delle acque dolci accessibili è concentrato in nove Paesi: Brasile, Russia, Cina, Canada, Indonesia, Stati Uniti d'America, India, Colombia, Zaire.
L'acqua dolce accessibile, dunque, è un bene rinnovabile, ma limitato, che rischia anzi di divenire scarso: fra 1950 e 1990 l'uso mondiale dell'acqua è triplicato; nel 1996 stavamo usando più della metà dell'acqua di superficie disponibile; se, come si prevede, nei prossimi 35-40 anni il consumo raddoppierà, i rubinetti rimarranno all'asciutto. Nonostante gli anni '80 siano stati dichiarati il decennio dell'acqua potabile e sanitaria, un miliardo e duecento milioni di persone non dispone di essa e si pensa che nel futuro questo numero sia destinato ad aumentare.

I consumi per usi domestici sono molto diseguali: in media un cittadino degli Stati Uniti d'America consuma una quantità di acqua 100 volte superiore rispetto a un cittadino del Burundi o dell'Uganda. Non sempre, inoltre, questo prezioso bene è impiegato nel modo migliore: nei Paesi ricchi, la maggior parte dell'acqua di prima qualità resa disponibile nelle abitazioni viene usata indifferentemente per l'alimentazione, per innaffiare i giardini o per lavare la macchina oppure si perde lungo le condutture spesso vecchie e in cattivo stato di manutenzione; molto più oculato è l'impiego in zone quali l'Asia e l'Africa.
Ciò che quindi ci sta di fronte è il pericolo, molto realistico, di una crisi idrica qualitativa e quantitativa. Per evitarla, e per evitare che dell'acqua si faccia un uso strategico, ricattatorio o geopolitico, è necessario ripensarne a fondo la gestione. Vediamo dunque quali sono oggi i principali impieghi idrici.


Desertificazione

Acqua e agricoltura
Fra il 70 e l'80 per cento dell'acqua attinta e resa disponibile viene utilizzata per l'irrigazione; questa percentuale sale ulteriormente nei Paesi poveri. Più della metà dell'aumento della produzione agricola dei Paesi in via di sviluppo fra 1960 e 1990 è stata conseguenza dell'irrigazione, in alcuni casi unita alla rivoluzione verde. Si intende con questo termine quell'insieme di interventi tecnici (sementi selezionate ibride ad alto rendimento, elevata applicazione di additivi chimici e biocidi) e sociali (misure finanziarie e riorganizzazione nella distribuzione della proprietà) applicati soprattutto a partire dal 1960 specialmente nei Paesi densamente popolati dell'Asia, quali l'Indonesia e l'India, che hanno consentito un incremento significativo delle rese agricole, ma non hanno risolto il problema sociale delle campagne, anzi in alcuni casi lo hanno aggravato.

Rivoluzione verde e allargamento dell'irrigazione hanno consentito di intensificare le attività agricole su zone già coltivate o di ampliare la coltivazione in aree ambientalmente meno adatte, con conseguenze spesso non positive. Infatti, se l'irrigazione inizialmente assicura migliori rendimenti, sul periodo medio-lungo può innescare fenomeni di salinizzazione, desertificazione, degrado del suolo per erosione che comportano la perdita di terreni anche estesi nei quali sono stati compiuti ingenti investimenti. Fenomeni di questo tipo si verificano sempre più frequentemente in zone aride, come i margini del Sahel, l'Iraq, alcune zone della Cina o nella regione del lago di Aral.

Inoltre, l'impiego di ingenti quantitativi di additivi chimici in agricoltura comporta l'inquinamento dei corpi idrici nei quali affluiscono tali prodotti veicolati dalle acque meteoriche e di dilavamento. A questo si aggiunge la contaminazione prodotta dagli scarichi civili urbani e industriali, sempre più disseminati nel territorio a seguito del decentramento produttivo. Spesso, di conseguenza, le acque vengono rese inutilizzabili per l'uso alimentare con gravi danni sulla salute e costi economici per i cittadini molto pesanti. A volte la loro qualità è così degradata o la concentrazione salina così elevata che non sono neppure più adatte per l'irrigazione.

Per fare fronte alla penuria idrica che si profila, il primo ambito nel quale intervenire è dunque l'agricoltura. Questo si può fare in vari modi: promuovendo la ricerca di varietà botaniche meno esigenti dal punto di vista idrico e più resistenti alla siccità; ripristinando forme di agricolture più tradizionali e meno intensive; migliorando la distribuzione irrigua laddove essa è effettivamente indispensabile.

Oggi solo il 40 per cento dell'acqua captata giunge alla destinazione finale nei campi; oltre la metà si disperde lungo il cammino per evaporazione o per infiltrazione attraverso condutture approssimative. L'irrigazione a goccia, che conduce direttamente l'acqua alla radice delle piante, consente di risparmiare moltissima "materia prima" ed evitare gli sprechi, anche se si tratta di un procedimento non semplice e costoso. Ma anche i grandi lavori ingegneristici di captazione, accumulo e distribuzione sono costosi e spesso hanno avuto e continuano ad avere un ruolo non secondario nel determinare l'indebitamento estero di Paesi poveri.

 

Un contatore idrico

Uso domestico e uso industriale
Gli altri settori di utilizzo dell'acqua sono quello civile per uso domestico e quello industriale.

La domanda del primo è in crescita anche perché cresce l'inurbamento e le città multimilionarie si moltiplicano. È soprattutto in esse che il bisogno di acqua per uso alimentare e igienico è alto e la carenza particolarmente nefasta. Ormai la domanda urbana di acqua è concorrenziale alla destinazione agricola e si hanno tensioni fra città e campagna. Certamente una strada obbligatoria per le città sarà quella di disporre di acquedotti paralleli: uno con acqua di prima qualità per uso alimentare e un altro con acqua più scadente per le altre destinazioni. Questo è il cammino che intraprendono i Paesi più ricchi, mentre in molte metropoli del Terzo Mondo il punto da affrontare è la costruzione di un acquedotto, infrastruttura spesso assente in vaste parti delle città.

Infine, l'industria è la terza principale utente dell'acqua, sia per produrre energia elettrica, sia per utilizzarla nel ciclo produttivo. Il primo tipo di intervento modifica molto la morfologia fluviale, mentre il secondo può avere un grave impatto inquinante con materiali che rimangono in circolazione per tempi molto lunghi.


Le grandi dighe

Dietro l'espansione dell'irrigazione e della produzione di energia elettrica vi sono spesso opere infrastrutturali faraoniche: i grandi invasi e le grandi dighe si sono moltiplicate soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo grazie alle nuove possibilità tecniche e ingegneristiche. Se nel 1950 si censivano 5.268 dighe di oltre 30 metri, esse erano divenute 12.707 nel 1971, 18.200 nel 1988, mentre altre 774 erano in costruzione nel 1997.

Questi interventi modificano radicalmente la morfologia del paesaggio, le caratteristiche idriche dei sistemi fluviali nonché le condizioni sociali delle popolazioni delle regioni coinvolte. Spesso trascinano con sé tensioni fra i vari Paesi rivieraschi i cui diversi interessi non sono sempre conciliabili. E, infine, spingono Paesi poveri a indebitarsi sul mercato internazionale con oneri che possono diventare un cappio. Peraltro, non sempre i risultati economici e tecnici di questi interventi rispondono alle aspettative: la durata di vita del bacino, ridotto per l'affluire di sedimenti solidi, può essere più breve del previsto; la produzione di energia può risultare minore se le portate si riducono per gli imprevisti climatici e lo stesso discorso vale per l'alimentazione dei canali irrigui; terre messe faticosamente a coltura intensiva possono decadere per la salinizzazione del suolo causata dall'irrigazione stessa, costringendo ad abbandonare aree che si speravano altamente produttive.

Alcuni esempi possono rendere più chiara la situazione.

La diga di Assuan risale al 1970 e intercetta il medio corso del Nilo in Egitto in un invaso della capacità di 162 km3; ha consentito di mettere a coltura molte terre che hanno assicurato derrate agricole alla popolazione in espansione e ha fornito una certa quantità di energia indispensabile per usi civili e industriali. Oggi, tuttavia, il bacino ha una capacità ridotta per il deposito delle alluvioni, che non svolgono più la fondamentale funzione di fertilizzare i suoli agricoli con il loro limo come era avvenuto per millenni. Di conseguenza è aumentato il ricorso a additivi chimici costosi, inquinanti e malsani. Inoltre, i Paesi a monte della diga, in particolare il Sudan e la Tanzania, rivendicano l'accesso a una maggiore quantità di acqua e fanno progetti per opere che modificherebbero significativamente il rapporto fra il fiume e la grande diga. Le trattative per trovare una strada che soddisfi le parti non sono semplici e i rischi di contrapposizioni sono reali.

La Turchia ha un progetto, avviato nel 1989 e in parte già realizzato, di sviluppo regionale dell'Anatolia sud-orientale: esso prevede su 75.000 km3 13 progetti di sviluppo integrato (6 sul Tigri e 7 sull'Eufrate) incentrati sulla costruzione di 22 invasi in grado di raccogliere 60 km3 di acqua, 19 centrali elettriche e l'irrigazione di 1,7 milioni di ettari. La zona è abitata da popolazioni curde che vedranno parte delle loro terre inondate e il quadro economico radicalmente modificato nell'ambito di un forte controllo da parte dell'amministrazione centrale. Il progetto è molto costoso e la sua fattibilità dipende anche dalle scelte di alcuni Paesi europei di concedere oppure no prestiti. Inoltre, con questi interventi la Turchia sarà in condizione di controllare il deflusso dei due fiumi mesopotamici in Siria e Irak, ponendo questi due Paesi in una situazione di dipendenza.

Il quadro si complica ulteriormente se si tiene conto del fatto che il problema dell'acqua è uno dei più gravi in Israele e che parte delle opzioni militari in questo Paese sono state determinate da obiettivi idraulici: le alture del Golan e la Cisgiordania, infatti, consentono di dominare il Giordano. L'avvicinamento della Turchia a Israele potrebbe portare anche ad aiuti idrici della prima al secondo; nello stesso momento la Turchia potrebbe lasciare Siria e Irak a secco, come già è accaduto alla vigilia della guerra dell'inizio del 1991 contro l'Irak. In una zona già così complessa dal punto di vista della stabilità politica, cambiare l'idrologia vuol dire voler giocare col fuoco, se mi si consente l'espressione.

Il terzo esempio che vorrei citare è quello della diga delle Tre Gole in Cina sul fiume Changjiang: si tratta di un manufatto alto 85 metri, lungo due chilometri, destinato a creare un invaso di 64.000 km2 per una lunghezza di 600 km ma una capacità di solo 39 km3. Deciso nel 1992 e iniziato nel 1994, questo intervento faraonico avrà un costo elevatissimo e suscita moltissime preoccupazioni. La sua funzione sarà di fornire energia elettrica, agevolare la navigazione e moderare le piene, ma molti dubbi sui reali risultati vengono avanzati da molti osservatori. Quello che invece è sicuro è che vi saranno conseguenze sul clima in una vasta area regionale, che verranno sommerse diverse città (alcune di oltre un milione di abitanti) e reperti storici importanti, che terre di buona coltivazione scompariranno sotto i flutti e che un milione e 200 mila persone dovranno essere trasferite secondo progetti che non sono per niente chiari.

Di fronte a questi esempi di gigantismo, i cui risultati non sempre rispondono alle aspettative e ai costi, è necessario un profondo ripensamento che preveda interventi di minore impatto e che prenda in seria considerazione il rispetto di tutti gli utenti che si affacciano lungo il corso di un fiume.


La normativa italiana
La normativa recente in materia di acque per quanto riguarda l'Italia è raccolta in tre provvedimenti. Nel 1989 è stata emanata la legge numero 183, "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo". Essa istituisce le Autorità di bacino che hanno il compito di gestire i fiumi nella loro interezza, considerandoli ecosistemi unitari, al fine di contenere il dissesto idrogeologico che è una delle massime piaghe del territorio del nostro Paese. I bacini di rilievo nazionale sono l'Isonzo, il Tagliamento, il Livenza, il Piave, il Brenta-Bacchiglione, l'Adige, il Po, l'Arno, i Tevere, il Liri-Garigliano e Volturno.

Nel corso di oltre un decennio le Autorità di bacino hanno fatto un grosso lavoro di raccolta di dati, di elaborazione di piani, in particolare per identificare le aree a rischio. Molto difficile è tuttavia l'applicazione dei progetti elaborati perché incontrano spesso l'opposizione degli enti locali che desiderano amministrare il territorio con maggiore libertà e senza sottostare a vincoli. Ma una gestione meno aggressiva del territorio stesso è sempre più necessaria alla luce del ripetersi di fatti calamitosi, che si moltiplicano provocando tanti danni proprio perché gli insediamenti non rispettano i vincoli posti dai quadri ambientali: la frana di Sarno e la piena di Soverato, unite all'alluvione del Po e dei suoi affluenti dell'autunno 2000, confermano l'urgenza di una nuova relazione con il governo delle acque.

Vi è poi la legge 36 del 1994, "Disposizioni in materia di risorse idriche", nota come "Legge Galli", che promuove il servizio idrico integrato e quindi prevede una riorganizzazione radicale del settore della captazione, distribuzione e depurazione delle acque sostituendo al mosaico degli acquedotti esistenti unità più razionali per dimensione e gestione. L'obiettivo è il risparmio idrico al fine di assicurare uno sviluppo sostenibile, tale cioè da garantire alle generazioni future la disponibilità di risorse idriche sufficienti e di buona qualità. I servizi sono organizzati in base al principio di efficacia ed efficienza e sono privatizzati rispetto alla gestione attuale, spesso direttamente nelle mani delle amministrazioni comunali. Anche in questo caso vi sono aspetti positivi e altri che lo sembrano meno: mentre è molto condivisibile i principio del risparmio idrico (ad esempio attraverso la doppia conduttura, una per l'acqua potabile e un'altra per acqua meno pregiata per usi correnti), meno persuasivo è il probabile ingresso di grandi gruppi internazionali nella gestione di un bene di base e insostituibile come l'acqua.

Il terzo provvedimento, la legge 152 del 1999, "Disposizione sulla tutela delle acque dall'inquinamento" è, come evidente, di grande importanza dal punto di vista della qualità, anche se è prematuro valutarne l'efficacia e l'applicabilità. Certamente non sarà facile, perché la 152/99 va a toccare interessi molto concreti legati all'organizzazione e ai costi della produzione.


Bibliografia

P. Ball, 2000. H2O. Una biografia dell'acqua, Rizzoli, Milano
J. Bethemont, 1999. Les grandes fleuves, Calin, Paris
P. Mc Cully, 1996. Silenced Rivers. The ecology and Politics of large Dams, Zed Books, London-New York
J. Sironneau, 1997. L'acqua. Nuovo obiettivo strategico mondiale, Asterios, Trieste
International River Network, www.irn.org


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