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SPECIALE ACQUA
ACQUA > SPECIALE ACQUA > LA POLITICA DELL'ACQUA
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La politica dell'acqua

L'acqua alla radice della guerra?

Anche se i drammatici fatti di cronaca coprono le molteplici cause del conflitto tra israeliani e palestinesi, quella in corso è anche una vera e propria guerra dell'acqua.

 

Parecchi lo hanno detto, ma pochi hanno ascoltato: l'acqua in medioriente è un'arma strategica. Da oltre un decennio, infatti, tutti gli analisti più attenti hanno identificato nell'acqua una delle ragioni più probabili di un conflitto nell'area mediorientale.
Le vaste aree desertiche, la scarsità di piogge e la scarsa qualità dell'acqua del Giordano, poca e salmastra, sono gli ingredienti che vanno a comporre lo scenario di un conflitto possibile e forse già iniziato tra popolazioni arabe ed israeliane.
In una parte del conflitto di questi giorni, che ha origine nel periodo Biblico, l'acqua gioca un ruolo determinante, che è necessario analizzare per comprendere gli scenari futuri che potrebbero delinearsi in altre parti del mondo.




Il Mar di Galilea: una delle risorse contese

Lo scenario

Il territorio dello Stato d'Israele, con una superficie di 20.700, poco meno dell'area occupata dalla Lombardia, è in buona parte composto da territori montuosi ed aridi.
Una popolazione complessiva di sette milioni e mezzo d'abitanti, (quattro milioni di ebrei, un milione di arabi residenti nello stato d'Israele e due milioni e mezzo nei territori occupati e nella striscia di Gaza) in crescita, un'agricoltura intensiva ed aggressiva, lo sviluppo industriale e l'inquinamento sono i fattori che fanno dell'acqua potabile, già di natura scarsa, una risorsa sempre più critica per la popolazione ed una delle radici del conflitto in atto. Secondo l'Autorità Nazionale Palestinese Israele possiede il controllo di quasi tutte le sorgenti ed un terzo degli abitanti della West Bank riceve acqua ad intermittenza.
Conferma questo dato, anche se indirettamente, la parte avversa attraverso il noto quotidiano "Ha'aretz' che in suo reportage afferma che più di mezzo milione di palestinesi nella West Bank non ha ricevuto più acqua da oltre due mesi.
Non migliorano lo scenario i dati di consumo dell'acqua. Per i palestinesi, infatti, sono disponibili tra i 35 ed i 50 litri al giorno, mentre per i coloni ebrei, che vivono nelle stesse zone il consumo pro capite oscilla tra i 280 ed i 350 litri al giorno. Perfettamente in linea con gli standard nord americani.
Gerusalemme 1948: in fila per l'acqua

Le ragioni

Entrambe le parti attingono acqua dal bacino idrico delle montagne della West Bank che è, per questo motivo, uno dei punti critici nella demarcazione della frontiera tra i due stati.
Questa risorsa, infatti, provvede al rifornimento idrico per il trenta per cento della popolazione israeliana e per l'ottanta per cento di quella palestinese.
Anche le altre due risorse della zona, il Mare di Galilea ed il bacino idrico costiero, sono condivise da entrambe le popolazioni, e gli esperti israeliani temono che tutte e tre queste fondamentali ed uniche risorse siano in pericolo a causa dell'aumento dei depositi salini.

Tutti i bacini idrici potrebbero, nel caso si costituisse un vero stato palestinese essere controllate da quest'ultimo, ed e chiaro che per Israele non è nemmeno lontanamente ipotizzabile uno scenario nel quale lo stato ebraico sia dipendente dagli arabi sulla gestione di una risorsa vitale come l'acqua.

Naturalmente da entrambe le parti piovono accuse reciproche sulla scarsità d'acqua che per la verità affligge, anche se in maniera minore, anche la popolazione ebraica.
La commissione israeliana per l'acqua, attraverso un suo portavoce afferma che il problema idrico affligge entrambe le popolazioni e che anche se i numeri denotano una disparità evidente, le ragioni di tale disparità non sono chiare.

Di tutt'altro parere il gruppo israeliano per i diritti umani B'Tselem. In un recente rapporto, il gruppo, dichiara che oltre 215,000 palestinesi in più di 150 villaggi non sono connessi ad alcuna rete idrica e che lo stato d'Israele alloca le risorse idriche in maniera discriminatoria.
L'esistenza di una doppia rete idrica nei territori occupati, una efficiente per gli insediamenti dei coloni, ed una priva della necessaria manutenzione, da oltre 40 anni e con una perdita di circa l'11 per cento dell'acqua, sembrerebbe confermare l'ipotesi del gruppo israeliano.
Altri incrementi della crisi idrica della regione provengono dalla sovrappopolazione dei palestinesi, dall'alto standard di vita dei coloni degli insediamenti e dall'utilizzo illegale dell'acqua potabile per gli usi agricoli.

Tashir Nasir Eldin, direttore generale dell'Autorità Palestinese per l'Acqua in Cisgiordania, ha dichiarato ad "Ha'aretz" che nei mesi estivi la Macarot Israeli Water Company riduce i rifornimenti d'acqua alle aree Palestinesi ed agli insediamenti in maniera considerevole.
Queste riduzioni, secondo Tashir Nasir Eldin non sono uguali e gli insediamenti ottengono pertanto l'acqua di cui necessitano dagli acquedotti comuni.
Anche gli esperti israeliani sono divisi.
Secondo uno di questi esperti spesso le linee degli acquedotti verso le zone palestinesi vengono chiuse, mentre secondo altri esperti l'acqua potabile sarebbe sufficiente per tutta la popolazione, e di conseguenza non c'è nessun piano per la riduzione delle riserve idriche destinate ai palestinesi per favorire gli insediamenti dei coloni israeliani.
Il problema dei palestinesi, sempre secondo gli esperti israeliani sarebbe nell'alto consumo e negli sprechi d'acqua che questi compiono.

L'acqua nella regione è comunque una risorsa ad alto rischio.
A Hebron, per esempio, i 300.000 abitanti hanno un fabbisogno idrico di circa 25.000 metri cubi d'acqua al giorno ma dalla Macarot arrivano solamente 5.500 metri cubi.
Discorso analogo a Betlemme, dove i metri cubi necessari sarebbero 18.000, ma ne arrivano solamente 8.000. I cittadini di Betlemme di conseguenza devono comprare l'acqua dagli abitanti che sono connessi alle linee israeliane, conservando l'acqua nei serbatoi.

I tre principali bacini idrici della regione

Le mediazioni politiche

Neanche la politica è riuscita a trovare un'ipotesi di accordo.
Gli accordi di Oslo del 1993, infatti, anche se davano il controllo dell'acqua al governo israeliano permettevano all'autorità palestinese di utilizzare riserve separate da quelle condivise con gli insediamenti ebraici, ma sono di difficile applicazione a causa della mancanza di fondi per la creazione di queste strutture.
Il gruppo multilaterale per le risorse idriche creato nel 1992 come parte dei negoziati di pace, ha da tempo fallito nell'obiettivo di trovare un accordo sulla condivisione delle risorse idriche comuni.

Anche se uno dei progetti per il miglioramento della qualità e della distribuzione dell'acqua è partito nel 1996, consentendo il miglioramento della qualità della vita di oltre 300.000 palestinesi, la situazione è al di là dall'essere risolta.
Lo scorso anno, infatti, i residenti di Jenin hanno ricevuto in dono dai pacifisti israeliani 150.000 litri d'acqua per superare la crisi idrica della scorsa estate.

Il problema appare in tutta la sua gravità nelle parole di Nabir Sharif, capo dell'autorità Palestinese per l'acqua che afferma: " è necessario che gli stati Uniti convincano Israele che alla fine non ci può essere una pace duratura senza l'acqua. E senza l'acqua non credo che qualsiasi accordo di pace possa durare più a lungo di due o tre anni".

Ora che in tutta la zona la parola è passata ai cannoni dei carri armati israeliani e alle bombe dei kamikaze palestinesi, il problema dell'acqua sembra essere scomparso, ma la bomba idrica, se non disinnescata da entrambe le parti, minerà la base di qualsiasi accordo di pace futuro.

Sergio Ferraris
 
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