ACQUA
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HANNO DETTO DELL'ACQUA
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Hanno
detto dell'acqua
Acqua e
dintorni
di Emilio Molinari
Perché
alle soglie del terzo millennio, un gruppo
di intellettuali di diversi paesi ha sentito
il bisogno di costituire un Comitato per
un Contratto mondiale sull'acqua?
Perché anche nel nostro paese abbiamo
sentito questo bisogno e ci siamo costituiti
in comitato italiano mentre su tutto il
territorio vanno diffondendosi comitati
locali?
Rispondendo sinteticamente, è perché
stiamo prendendo coscienza di due grandi
ed epocali questioni:
- l'acqua su questo nostro pianeta, sul
quale tutti stiamo aggrappati e vogliamo
vivere, ricchi e poveri, del Sud o del Nord
del mondo, bianchi o neri, cristiani o mussulmani,
l'acqua dicevo, quella meravigliosa mescolanza
di idrogeno e ossigeno senza la quale non
c'è vita, va rapidamente riducendosi;
- l'acqua su questo pianeta sta per diventare
una merce da comprare e vendere, da possedere
e con la quale fare affari e profitti.
Pensiamoci, non sono cose da poco, ma sopratutto
sono cose che non possono più essere
ignorate dai cittadini. Ecco, in queste
due realtà stanno le ragioni di un
Movimento, di un Manifesto e di una Campagna
per fare dell'acqua un bene comune di tutta
l'umanità e un diritto umano inalienabile
e non contrattabile, proprio in quanto diritto.
Facciamo tutto ciò anche perché
siamo costretti a prendere atto che il senso
profondo di ciò che sta succedendo
attorno all'acqua non trova posto nell'agenda
politica delle istituzioni e dei partiti
e non lo trova nemmeno nell'agenda delle
grandi associazioni ambientaliste.
Lo facciamo perché non esiste ancora
una presa di coscienza nell'opinione pubblica,
che nella sua dimensione più ampia
forse ignora che l'acqua sul pianeta Terra
non è una risorsa rinnovabile e inesauribile
che si rinnova continuamente col ciclo climatico
dell'evaporazione e delle piogge. No! L'acqua
buona, l'acqua dolce, l'acqua da bere, l'acqua
per le funzioni e per le attività
vitali umane si disperde, si inquina e le
piogge non assicurano l'identico riequilibrio,
nel riempimento delle falde e degli invasi.
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La
ricerca dell'acqua
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Inoltre,
spesso dimentichiamo che questa straordinaria
risorsa è insostituibile. Possiamo
vivere senza petrolio, possiamo sostituirlo
col carbone o con l'energia degli animali
o delle nostre braccia. Ma l'acqua non è
sostituibile e ciò la rende unica
e come tale va considerata, trattata, regolata
e amministrata praticamente, giuridicamente
e costituzionalmente.
Proviamo a pensare a come oggi, di fronte
all'esaurirsi delle risorse energetiche
fossili, il nostro modello di sviluppo,
pur di mantenere il Pil, sembra indirizzare
la ricerca verso combustibili vegetali che
però, inesorabilmente, richiedono
acqua per la loro coltivazione, oppure si
orienta verso il combustibile idrogeno che,
ancora una volta, è ricavabile dall'acqua.
Acqua quindi, ancora acqua e sempre acqua.
Per queste ragioni l'acqua non deve e non
può essere considerata un bene economico
e tanto meno privato. Non può essere
considerata una merce e il petrolio del
2000. Non dovremmo mai cessare di ribadire
a noi stessi che, così come ci risulta
chiaro che la luce del sole non può
essere oscurata per poterne privatizzare
l'uso, per le stesse ragioni nessuno può
imprigionare l'aria, né l'acqua può
diventare di proprietà o gestione
di qualcuno.
Il
debito idrico
Bene, a questo punto forse vale la pena
di mettere in evidenza alcuni dati significativi
della realtà idrica del mondo.
Nel pianeta solo il 3 per cento circa dell'acqua
è acqua dolce e comprende quella
imprigionata nei ghiacciai delle calotte
polari e nelle distese nordiche, quella
sotterranea e, infine, quella compresa nel
sistema dell'acqua superficiale e dell'atmosfera;
ovunque, in misura diversa, è evidente
l'impatto sui sistemi idrici dell'inquinamento
da agricoltura, industria e insediamenti
abitativi.
In più, fiumi importanti vengono
imbrigliati e deviati e le loro acque prelevate
senza pensare al futuro o a chi vive lungo
il loro corso: il Colorado, il fiume Giallo
i grandi fiumi del mare d'Aral, il Nilo,
ecc. stentano ad arrivare al mare, 1'uso
a monte determina deserti a valle e conflitti
tra stati e popoli e persino tra comunità
della stessa nazione o della stessa regione.
Per esempio, nei conflitti israelo-palestinesi
o Iran-Irak la componente acqua ha pesato
e pesa non poco, così come in molti
conflitti dell'Africa nera.
Le falde di numerosissimi paesi sono sottoposte
a prelievi tali da determinare un vero e
proprio irrecuperabile debito idrico. In
altri termini, si pompa dalle falde più
di quanto la natura è in grado di
riempire di nuovo (né più
né meno come un conto in banca).
Se si pensa che, con la cosiddetta rivoluzione
verde, gran parte delle attività
agricole avvengono in regime di debito idrico,
si ha la dimensione della gravità
del problema.
La Cina settentrionale, l'India, il Pakistan,
gli Usa, il nord Africa, il Medio Oriente
assommano complessivamente un debito idrico
annuo pari a due volte la portata del Nilo:
in Cina le falde si abbassano di un metro
e mezzo ogni anno. E come non ricordare
la falda di Ogalalla, negli Usa, la più
grande del pianeta, che serve ben 8 stati,
che possedeva un volume d'acqua pari a 200
volte la portata del fiume Colorado; ebbene,
questa falda ha perso, dal 1960, un volume
pari a 18 volte la portata del Colorado.
Orientamenti
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L'acqua
non deve e non può
essere considerata un
bene economico e tanto
meno privato. Non può
essere considerata una
merce, una sorta di petrolio
del 2000.
Non dovremmo mai cessare
di ribadire che, così
come ci risulta chiaro
che la luce del sole non
può essere oscurata
per poterne privatizzare
l'uso, per le stesse ragioni
nessuno può imprigionare
l'aria, né l'acqua
può diventare di
proprietà o gestione
di qualcuno.
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E che dire dei Balcani. La guerra chimica
non dichiarata dagli Usa e dall'Unione europea,
con i bombardamenti degli impianti di Belgrado
e Novi Sad e i criminali interessi di una
sola multinazionale mineraria dell'oro che
vi ha versato cianuro, hanno ferito quasi
mortalmente il grande cuore idrico d'Europa,
il Danubio.
Ora la natura ci sta presentando i conti,
e sotto accusa è un modello di sviluppo,
un modello sociale e uno stile di vita del
tutto insostenibile. Acqua, aria, le fonti
della vita stessa battono cassa. Abbiamo
inquinato, cementificato, deforestato, asfaltato,
prelevato e disperso troppo e la nuova religione
capitalista della globalizzazione neoliberista
chiede ancora di più, sempre di più.
L'acqua è così un bene comune
maltrattato e dilapidato. Dal 1960 a oggi,
i consumi di acqua sono triplicati. Dal
1996 stiamo usando più della metà
delle acque di superficie che restituiamo
inquinate dalle nostre attività.
Inoltre, nel mondo, le falde fossili non
rinnovabili sono pressoché all'esaurimento.
Nell'Arabia Saudita completamente, mentre
nel Magreb non dispongono di più
di 40 anni.
L'acqua
è un diritto umano non rispettato
La parte del leone nel prelievo dell'acqua
la fa l'agricoltura con il 70 per cento
dei prelievi, il 20 per cento va all'industria
e il 10 per cento alle attività domestiche
e di svago. L'acqua potabile giornaliera
pro capite disponibile è passata,
negli ultimi 40 anni, da 17.000 metri cubi
a 7.500 metri cubi, ancora sufficiente per
tutti gli abitanti della terra (se si considera
che 1.700 metri cubi è il minimo
oltre al quale una società entra
nello stress-idrico), ma a condizione che
si affermino in fretta principi diversi
da quelli dominanti oggi.
L' acqua è ancora sufficiente. Eppure
un miliardo e 400 milioni di persone soffrono
per mancanza di acqua potabile e si calcola
che nel 2020 ben 3 miliardi e 600 milioni
di persone saranno in queste condizioni.
E non basta registrare la diversa distribuzione
territoriale delle risorse idriche sul pianeta
ma, ancora una volta, occorre fare i conti
con l'iniqua distribuzione dei consumi e
la totale assenza di una cultura e di una
politica solidale e collettiva tra e verso
tutti gli abitanti della Terra.
Occorre ricordare che il 20 per cento della
popolazione, quello che detiene 1'86 per
cento delle ricchezze del pianeta, consuma
anche 1'88 per cento dell'acqua disponibile.
Un'automobile necessita di 400.000 litri
d'acqua per la sua fabbricazione: più
o meno il 70 per cento del parco automobili
è concentrato nel Nord del mondo.
Una tonnellata di cereali necessita di 1.000
tonnellate d'acqua: il 60 per cento delle
terre irrigate nel mondo serve per alimentare
l'11 per cento della popolazione più
ricca. E il 79 per cento della produzione
agricola serve all'alimentazione animale,
per fornire carne alla tavola dei ricchi.
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Baraccopoli
sulle rive di un fiume inquinato nelle
Filippine
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Poca
e inquinata
L'acqua è perciò un problema,
un problema moderno e non più eludibile
da uomini, donne e istituzioni: mondiali,
nazionali e locali. È un problema
che in forme diverse coinvolge tutti i paesi.
Se nei paesi del sottosviluppo è
la carenza d'acqua o la sua potabilizzazione
il problema di fondo, nei paesi sviluppati
come l'Italia i problemi sono quelli dell'inquinamento,
della contaminazione dello sperpero e del
prelievo abusivo d'acqua sia di falda che
di superficie, per effetto di una agricoltura
chimico-intensiva, dell'industria e delle
discariche più o meno abusive di
rifiuti tossico-nocivi gestite dalla criminalità
organizzata in un quadro di interessi e
connivenze con le istituzioni e le imprese.
In Italia, sono più di 3.000 i siti
da bonificare censiti e altre decine di
migliaia del tutto sconosciuti, una vera
e propria bomba a tempo per il patrimonio
idrico.
Solo il 20 per cento delle acque di superficie
risulta non inquinato. Le acque di prima
falda utilizzate negli anni '50 negli acquedotti
municipali in molte città come Milano,
ricche di sorgive (fontanili), sono state
da tempo abbandonate perché irrimediabilmente
inquinate. Oggi a Milano si pompa in terza
falda a 120 metri circa e si corre il rischio
che, se si preleva troppo, si richiama acqua
inquinata dalle falde superiori.
A questi problemi strutturali, legati agli
insostenibili modelli produttivi e consumisti,
si aggiungono gli incredibili sprechi di
un'amministrazione della cosa pubblica piegata
ai più disparati interessi privati
e clientelari e a una propensione consumistica
dei cittadini, ancor più esasperata
rispetto ad altri paesi. L'Italia preleva
il 32 per cento delle proprie disponibilità
idriche contro il 20 per cento della media
europea; con 980 metri cubi di prelievo
annuo pro capite, è la prima consumatrice
d'acqua in Europa e la seconda nel modo
dopo gli Usa.
L'Italia detiene il primato anche nel consumo
per uso domestico (250 litri pro capite
al giorno, contro i 160 della Germania)
ed è la maggior consumatrice di acqua
minerale del mondo: il 70 per cento degli
italiani non beve più acqua del rubinetto.
E gli sprechi di un'altrettanto assurda
negligenza della pubblica amministrazione
fanno sì che il 35 per cento della
popolazione servita dalla rete acquedottistica
non disponga di acqua sufficiente; nel Sud
tale percentuale sale al 70 per cento.
Solo 1/3 degli acquedotti è dotato
di impianti di potabilizzazione e le perdite
in rete sono dell'ordine del 35 per cento,
contro il 10-15 per cento della Germania.
Con l'acqua buona degli acquedotti si puliscono
le strade, si innaffiano le aiuole dei giardini
pubblici e privati e i campi da golf, spesso
si riempiono le piscine. In agricoltura,
i sistemi di irrigazione a pioggia sono
pressoché sperimentali.
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Un
acquedotto
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Lo scandalo minerale
La gestione delle concessioni all'utilizzo
delle fonti minerali è una giungla
scandalosa, dove al privato viene praticamente
regalata acqua di fonte al prezzo simbolico
di 0,01 cent al litro mentre la si
vende a 0.25 - 0.51 €uro e più.
Ma tutta la politica delle acque minerali
si fonda su un colossale imbroglio dei cittadini
ed è esemplificativa di una privatizzazione
già in atto.
L'acqua minerale, nata come acqua curativa
di particolari fonti con particolari proprietà,
è stata per queste ragioni posta
in un regime di libero mercato e regolata
dalla domanda e dall'offerta. Successivamente,
tale regime è stato esteso alle acque
di sorgente indifferenziatamente e al di
là di particolari proprietà
curative. Ora, con la direttiva europea,
anche l'acqua dei rubinetti può essere
imbottigliata e messa sul mercato, cosa
che la Parmalat si è subito affrettata
a fare con la dicitura "acqua da bere".
Il risultato è semplice: l'acqua
del rubinetto, quella dell'acquedotto pubblico
che normalmente paghiamo, depurazione compresa,
0,001 €uro al litro (pari a
1,3 lire), costa in regime privato
e in bottiglia 0.15 -0.25 €uro al litro,
con buona pace delle multinazionali come
la Nestlè e la Danone che controllano
il 35 per cento delle acque minerali. È
solo questione di pubblicità. Poi
si riesce a far bere ciò che si vuole
al prezzo che si vuole.
I numeri dell'acqua
Proseguendo, in Italia è praticamente
impossibile definire con una approssimata
certezza il consumo d'acqua. Non si conoscono
le quantità e la qualità delle
acque prelevate, la dislocazione delle derivazioni
e captazioni, le concessioni rilasciate,
ecc. Negli ultimi anni le captazioni abusive
sono aumentate del 70 per cento nel Mezzogiorno
e i prelievi abusivi superano quelli legittimi.
Ma anche i costi vivono in un regime di
incertezza. In tutta l'Europa è ormai
acquisito che il settore domestico finanzia
l'agricoltura. In Italia ciò si sostanzia
nel fatto che il canone del settore agricolo
è dal 1933 al 1994 diminuito di ben
4 volte, il costo per l'uso umano è
aumentato di ben 12 volte. Infatti, a parità
di modulo quantitativo ed equiparando i
costi a oggi, si può osservare che:
agricoltura
costo modulo 1933 = €uro 131.69
costo modulo 1994 = €uro 36.15
consumo umano
costo modulo 1933 =€uro 134.27
costo modulo 1994 = €uro 1549.37
C'è
sicuramente qualcosa da rivedere in questa
agricoltura europea ipersostenuta dal pubblico
intervento, che divora abbondantemente il
50 per cento dei finanziamenti europei e
alla quale si regala acqua indefinitamente,
il più delle volte per produrre,
come nel caso italiano, cose che finiscono
al macero, occupando non più del
4 per cento della popolazione attiva.
Infine, vale la pena segnalare la dispersione
in una ridda di enti della gestione dell'acqua
nel nostro paese: 13.000 acquedotti, 7.000
enti gestori, 1.110 municipalizzate, 330
delle quali liberalizzate e trasformate
in Spa, 30 totalmente privatizzate, 40 in
procinto di diventarlo.
L'acqua come il petrolio?
No, grazie.
Bene, tutta questa carrellata di cifre e
considerazioni, per sostanziare e ribadire
di nuovo che l'acqua è un grande
problema, nel quale convergono tanti altri
problemi: ambientali, economici, di classe,
di equilibri internazionali, di democrazia,
di potere, ecc., e che occorre quindi trovare
il bandolo della matassa da cui partire.
Ecco, il bandolo da cui partire è
ancora una volta la riaffermazione dei principi
generali del contratto mondiale: Acqua
diritto umano e sociale, Acqua bene comune
dell'umanità.
Sono principi che penso dovrebbero entrare
nel Dna del nostro pensiero e del nostro
agire, per darci ogni volta la dimensione
del "peccato contro la collettività"
che si commette quando viene sprecata, inquinata
o consumata in abuso per il gioco dei "ricchi".
E da questi principi, l'ho già detto,
discende il rifiuto dell'idea che l'acqua
possa essere il petrolio del futuro, capitalisticamente
gestito e messo sul mercato.
Viviamo un'era dove i servizi entrano, in
modo determinante, nel business delle imprese
private e vengono iscritti col consenso
dei partiti e dei governi nell'agenda del
Wto. L'acqua entra in questa voce servizi
e in questa feroce tendenza del mercato,
e tutto ciò è dirompente dal
punto di vista della tenuta del vivere collettivo
di una società. Il capitale privato
non intende più operare solo nell'industria,
nell'agricoltura, nelle miniere, ecc., vuole
libertà d'agire a tutto campo nelle
infrastrutture dei servizi che fanno funzionare
la comunità, (acqua, elettricità,
gas, trasporti, polizia, rifiuti, strade,
scuola, persino carceri, ecc.). Tutto deve
essere sottoposto alle regole del mercato.
Deve essere sottratto alla politica, intesa
come insieme di valori e scelte determinate
dall'interesse del vivere comune.
Su questa cultura si sta modellando la scuola
e tutto il sistema educativo mondiale, che
a sua volta si intende privatizzare e piegare
ai bisogni liberi da ogni principio etico
o morale delle multinazionali. Tutto ciò
spezza l'idea stessa del bene comune.
Acqua come diritto
o come bisogno?
E se anche l'acqua entra nel gioco del libero
mercato, l'umanità può stare
certa che è come se avesse firmato
una cambiale in bianco per le prossime guerre.
A tale proposito vorrei ricordare che il
vicepresidente della Banca mondiale, Ismail
Serageldin, ha sostenuto che le guerre del
2000 saranno per l'acqua. Ma è proprio
la Banca mondiale a giocare un ruolo determinante
nel far accettare ai dirigenti politici
dei paesi sviluppati e sottosviluppati le
proprie regole statutarie, che sostengono
appunto l'investimento privato nei servizi,
acqua compresa.
Ebbene, il ruolo della Banca mondiale si
è misurato all'Aia, quando dal 17
al 22 di marzo del 2000 ha promosso la Conferenza
mondiale sull'acqua, conclusasi con una
risoluzione nella quale ogni idea di acqua
diritto umano è stata accantonata
affermando, per la prima volta, il principio
dell'acqua come bisogno umano. La differenza
è enorme. Il concetto di diritto
implica che la collettività debba
farsi carico di assicurare l'estensione
a tutti di tale diritto, ovunque si trovino
e indipendentemente dal fatto se possono
o no pagarlo. Quando si parla di bisogno,
invece, ci si riferisce implicitamente alla
capacità del singolo di soddisfare
tale bisogno.
Un semplice cambio di termini, ma che esemplifica
chiaramente come si stia sistematicamente
smantellando il riconoscimento di diritti
umani e sociali inalienabili come quello
di non morire di sete, per affermare invece
il principio della responsabilità
individuale. Tocca all'individuo soddisfare
i propri bisogni con la ricchezza "conquistata".
Ma la Banca mondiale sostiene che l'acqua
scarseggia per effetto dell'aumento della
popolazione, che occorre farla pagare di
più per dissuaderne i consumi eccessivi,
che le infrastrutture di captazione, messa
in rete, trattamento e depurazione costano
troppo per i poteri pubblici e necessitano
di alta tecnologia, tutte cose che solo
i privati posseggono e possono sostenere,
a patto di creare loro le condizioni perché
possano sviluppare il water management:
ovvero il business.
Ma non è così. E forse non
c'è nemmeno bisogno di citare il
presidente del "River Network"
per sapere che le imprese private non investono
se non hanno ottenuto garanzie finanziarie
dagli stati e crediti dalla Banca mondiale
e dal Fondo monetario internazionale.
Ecco, il bandolo della matassa è
rispondere a questo ordine di problemi su
scala globale, ma capendo che la dimensione
della battaglia si sviluppa anche nei confronti
dei parlamenti nazionali e delle municipalità
locali e, soprattutto, nell'opera di informazione
e formazione di una coscienza e di una cultura
politica nuova e alternativa al neoliberismo
e al social-liberismo, cioè battere
l'idea che tutto possa o debba essere privatizzato
opponendo per prima cosa ai sostenitori
delle tesi neoliberiste in materia di servizi
alcuni argomenti.
- Non è detto che la domanda d'acqua
debba per forza aumentare, perché
non è detto si debba continuare con
simili ritmi di produzione industriali o
di consumi, che ormai sono insostenibili
per l'aria, il territorio, il clima, ecc.,
perché non è detto che si
debba continuare con un'agricoltura chimicizzata,
intensiva e idrodistruttiva.
- Non è detto che sia l'annunciato
aumento della popolazione del terzo mondo
il fattore che innalzerà esponenzialmente
il deficit idrico mondiale perché,
come abbiamo visto, esso dipende principalmente
dal modello di consumi della popolazione
dei paesi sviluppati. Il problema non è
la nascita dei bambini nel Burkina Faso,
il problema è la nascita dei bambini
Usa, ognuno dei quali consuma ogni giorno
30 volte l'acqua che consuma il bimbo del
Burkina.
- Non è una buona ragione nemmeno
quella che, facendo pagare di più
l'acqua attraverso la privatizzazione, si
costringe la gente a consumare meno. La
politica di qualsiasi privato è quella
di vendere sempre di più al prezzo
sempre più alto.
L'Italia
e l'acqua
Il problema è quello di fare i conti
in ogni paese con le forme specifiche che
assume la privatizzazione. E nel nostro
paese questa è in atto in modo strisciante
da lungo tempo. Occorre perciò fare
i conti con leggi come le varie Bassanini,
salutate positivamente dai più, che
hanno via via praticamente vincolato tutti
i Comuni alla liberalizzazione dei servizi,
liquidando le vecchie, alcune anche efficienti
e in attivo, Municipalizzate dell'energia,
del gas e dell'acqua, trasformandole in
Spa, operanti alcune a tutto campo, anche
all'estero. Il business è iniziato,
vanno formandosi poderose Multiutility,
come Acea, Aem, ecc., e va aprendosi il
mercato italiano all'ingresso di quelle
straniere: Vivendi, Lyonnes des Eaux.
Mettere l'acqua ai primi posti dell'agenda
politica delle istituzioni italiane vuol
dire perciò operare un ribaltamento
delle priorità: non più le
privatizzazioni ma, per esempio, mettere
mano allo stato pietoso della gestione del
territorio. A partire dalle ormai periodiche
alluvioni e dai disastri che provocano:
nel solo bacino del Po, dal '90 al '97,
si sono spesi 361 miliardi €uro
( pari a 7.000 miliardi di lire) e si stima
che in futuro occorreranno 206-258 milioni
di €uro all'anno (pari a
400-500 miliardi di lire )per tamponare
i danni provocati dai mutamenti climatici
e dai dissesti idrogeologici. Per continuare
con le emissioni dei gas serra e i mutamenti
climatici, con gli inquinamenti agricoli,
la desertificazione, la salinizzazione,
la deforestazione, il malgoverno dei bacini
(si pensi allo scandalo del bacino Lambro,
Seveso, Olona); allo sperpero insostenibile
degli usi domestici e voluttuari, piscine,
campi da golf, ecc.
È mettere ordine al "disordine"
dei regimi locali di proprietà d'uso
e di gestione dell'insieme delle risorse
idriche: tutto ciò che ha consentito
uno sfruttamento individualistico talvolta
di vero e proprio privilegio feudale e mafioso
o di moderna corruzione.
Ci sono tante cose da fare per una politica
degna di questo nome, basta ricominciare
dai diritti collettivi. Cominciando magari
con l'affermare qui nel nostro paese, nei
nostri comuni, i principi che vogliamo estendere
universalmente: i costi per garantire a
tutti i cittadini il diritto all'acqua devono
essere presi in carico dall'intera comunità,
attraverso la fiscalità collettiva;
a ogni persona devono essere garantiti gratuitamente
40 litri di acqua al giorno, in quanto rappresentano
il minimo indispensabile; i quantitativi
successivi devono essere pagati secondo
la progressività dei consumi; infine,
occorre individuare la soglia oltre la quale
scatta l'abuso e il reato contro l'interesse
umano.
Non abbiamo la presunzione della verità,
ma siamo convinti che non ci sia più
tempo per l'indifferenza; la natura ci sta
chiedendo di saldare conti terribili ed
esige risposte, per il bene delle generazioni
prossime e ormai vicinissime: quelle dei
nostri figli.
di Emiliano Molinari