Newsletter - Green Cross
////////// • EDITORIALEIN PRIMO PIANOPUNTI DI VISTA • NEWS AGENDA LINK • //////////

news

» CAMBIAMENTI CLIMATICI /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


EPIDEMIA AFRICANA COLERA CAUSATA DAL RISCALDAMENTO

Gli effetti dei cambiamenti del clima sulla salute, che i modelli prevedono devastanti specie nei paesi in via di sviluppo, sono in realtà già in atto. Lo dimostra uno studio francese pubblicato dalla rivista Bmc Infectious Deseases, secondo cui il recente emergere di epidemie di colera in vari stati africani è direttamente legato ai cambiamenti del clima. Il colera è una malattia infettiva causata da un batterio, il Vibrio Cholerae. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità nel 2004 ci sono stati più di centomila casi in tutto il mondo, di cui 95mila solo in Africa. I ricercatori del laboratorio di Genetica ed Evoluzione delle Malattie Infettive (Gemi) di Parigi hanno cercato di stabilire l’esistenza di una correlazione tra l’insorgenza del colera in cinque paesi africani (Togo, Costa d’Avorio, Ghana, Benin e Nigeria) e i cambiamenti climatici nella regione. Per far ciò sono stati presi in esame i dati dell’Oms sulla malattia tra il 1975 e il 1995, e sono stati confrontati sia con le variazioni di volume delle piogge sia con un fattore, chiamato Indice di oscillazione Indiana (Ioi) che tiene conto di tutti i parametri legati al clima assegnando un punteggio ad ognuno. Le elaborazioni statistiche dei ricercatori hanno mostrato che i nuovi focolai di colera sono strettamente legati all’andamento delle piogge e di altri indici climatici, come l’Ioi o la concentrazione di fitoplancton vicino alla costa. “Il numero di casi di colera è aumentato alla fine degli anni ‘80 - spiega Guillaume de Magny, che ha coordinato lo studio - e c’è una sincronia in tutti i paesi che abbiamo studiato. Questa sincronia è coerente sia con la variazione della pioggia che degli altri indici dei cambiamenti climatici”. Questo risultato è in accordo con studi simili fatti in Bangladesh e Sud America. Una possibile spiegazione del legame tra clima e colera si può trovare, secondo gli esperti, nel ciclo di vita del vibrione. Le piogge torrenziali favoriscono la proliferazione nelle zone costiere del fitoplancton, che a sua volta ospita lo zooplancton che è il principale habitat del batterio del colera. Questa associazione è destinata a peggiorare nei prossimi anni: secondo i modelli sul clima, infatti, il riscaldamento globale provocherà un aumento delle piogge nella zona equatoriale, che secondo uno studio della Nasa pubblicato recentemente dal Journal of Climate è già iniziato nel 1979. (Fonte: ANSA)


PROVE DEI MUTAMENTI ARRIVANO DALL'ALTO

La prima prova sperimentale di uno degli effetti dei cambiamenti climatici previsti dai modelli matematici è venuta ‘dall’alto’: i satelliti della Nasa hanno confermato che negli ultimi anni nella fascia tropicale le piogge stanno aumentando per effetto del riscaldamento globale. Per l’Italia questa è una brutta notizia: gli stessi modelli, infatti, prevedono che da noi le precipitazioni diminuiranno. La ricerca, condotta sui dati degli ultimi 27 anni, ha usato sia rilevazioni a terra che, dal 1997, quelle dei satelliti della Tropical Rainfall Measuring Mission, un progetto americano-giapponese che ha già lanciato tre satelliti dedicati a questo tipo di misure. Il risultato è stato che la tendenza è all’aumento, con una forte impennata dopo il 2000: l’anno più piovoso è stato il 2005, seguito da 2004, 1998, 2003 e 2002. “Se si guarda alle piogge totali nel pianeta, queste sono rimaste pressoché invariate - spiega Guojun Gu, del Goddard Space Flight Center della Nasa - ma nei tropici, dove cadono circa i due terzi delle precipitazioni, c’è stata una crescita del 5%”. Secondo lo studio, pubblicato dal Journal of Climate della società meteorologica americana, la causa più probabile del fenomeno è il riscaldamento del clima, che aumenta l’evaporazione, soprattutto dagli oceani, e facilita la formazione di nubi. Dall’analisi è stato tolto il contributo dei fenomeni naturali come le correnti oceaniche tipo ‘El Nino’, che aumentano le precipitazioni equatoriali, e le massicce eruzioni vulcaniche, che invece le diminuiscono. Per allargare le osservazioni al resto del pianeta. “Queste osservazioni sono perfettamente coerenti, tranne qualche piccolo discostamento in alcune zone, con le previsioni dell’International Panel on Climate Change (Ipcc) - spiega Vincenzo Ferrara, coordinatore scientifico della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici organizzata dal ministero dell'Ambiente il 12 e il 13 settembre a Roma - e sono la prima verifica sperimentale dei modelli utilizzati. L’aumento delle piogge riguarda però solo la fascia equatoriale e quella subtropicale a Sud dell’Equatore, mentre da noi, che pure siamo relativamente vicini ai tropici, la previsione è che ci sarà una diminuzione delle piogge”. Le elaborazioni dell’Ipcc parlano di una perdita di 0,3-0,5 mm di pioggia al giorno nell’area del Mediterraneo. Un valore che, se proiettato al 2100, porta ad una riduzione del 25% rispetto ad oggi. Inoltre si prevede che le piogge si concentreranno in meno giorni rispetto alla norma, dando vita ad un aumento dei fenomeni violenti come le alluvioni che già si cominciano a vedere anche da noi. “Il cambiamento della distribuzione porta a due conseguenze - spiega ancora Ferrara - nel caso di piogge violente l’acqua non penetra nel terreno, anzi lo erode e ne asporta le sostanze nutritive trascinando tutto in mare, non ricaricando le falde acquifere. Inoltre aumentano ovviamente i danni sia all’ecosistema, sia alle strutture dell’uomo, provocati dalle alluvioni”. (Fonte: ANSA)


LA CHIOCCIOLA D'ALDABRA, CAMPANELLO DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

L’atollo di Aldabra, uno dei più grandi del mondo, è sperduto a 426 chilometri a nord-ovest della punta nord del Madagascar e a 1.150 chilometri a sud-ovest di Mahé, la principale isola delle Seychelles di cui fa parte, dal 1983 è Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco per la sua grande importanza per la biodiversità, visto che ospita la più grande popolazione mondiale di tartarughe terrestri giganti (Geochelone Aldabrachelys gigantea), con più di 150 mila esemplari, spettacolari colonie di uccelli, tra i quali il rallo dalla gola bianca, unica specie sopravvissuta nell’Oceano Indiano di uccello inadatto al volo. A preoccupare biologi e ricercatori non sono queste specie simbolo, ma l’estinzione di una chiocciola endemica. Una preoccupazione che può sembrare esagerata davanti ad un umile gasteropode, ma la Rachistia aldabrae può essere il primo sfortunato pioniere del cambiamento climatico. Le ricerche delle chiocciole fatte su tutte le isole dell’atollo di Aldabra e in quelle vicine non hanno dato risultati, e la scomparsa della lumaca non è dovuta, come in altri casi di estinzione di animali più noti, come il dodo o la tigre della Tasmania, a introduzione di specie alloctone entrate in competizione alimentare con quelle autoctone, predatori ed attività umane dirette, ma ad un cambiamento ambientale globale con visibili ripercussioni locali. Sembra che l’aumento della siccità abbia colpito le popolazioni in ‘letargo’ durante gli usuali periodi asciutti, riducendone il periodo di attività degli adulti, ma ad essere più colpiti sarebbero state le giovani chiocciole che tollerano peggio la ‘disseccazione’. Quindi il successo riproduttivo della Rachistia aldabrae sarebbe stato del tutto compromesso dalla siccità sempre più prolungata. La prova, secondo i ricercatori che indagano sul preoccupante fenomeno, è nel fatto che dal 2000 si trovano solo conchiglie di adulti. La causa sarebbe tutta nella diminuzione verticale delle piogge tra gli anni 80 e 90 che hanno portato ad un’alta mortalità giovanile e al conseguente invecchiamento della popolazione con la completa estinzione di tutte le popolazioni tra il 1997 e il 2000. Ma gli scienziati sottolineano che anche se la siccità non avesse fatto strage di queste sfortunate lumache, alla loro estinzione ci avrebbe pensato l’innalzamento del livello del mare che sembra destinato a sommergere Aldabra ed altre isole coralline. Un caso di estinzione ‘climatica’ di un’intera specie per ora inusuale, non causata da predatori importati o dall’uomo, ma che nel futuro potrebbe divenire sempre meno rara, a cominciare da quanto va accadendo a molte specie di anfibi, i vertebrati che più sembrano soffrire i primi effetti del riscaldamento globale e per i quali si stima che 170 specie siano scomparse dal 1980 ad oggi, mentre un terzo delle 5.918 specie conosciute è minacciato di estinzione. Secondo i ricercatori la chiocciola di Aldabra, rane e rospi potrebbero essere i nuovi e globali ‘canarini delle miniere di carbone’ che avvertivano con la loro morte della presenza di gas, la loro scomparsa e rarefazione segnalerebbe l’aumento dei gas serra e l’inizio di quella vasta diminuzione della biodiversità che potrebbe far scomparire migliaia di specie animali, trasformando il nostro pianeta in un posto più povero di vita e di bellezza. Riusciremo a prestare attenzione all’allarme che ci arriva da quei piccoli gusci calcinati su uno sperduto atollo africano? (Fonte: greenreport)


BELGIO: PRESENTATA PRIMA STAZIONE POLARE ECOLOGICA

E’ stata esposta a Bruxelles, prima di cominciare il lungo cammino verso l’Antartide, la futuristica stazione polare eco-compatibile ‘Principessa Elisabetta’, concepita e progettata dall’esploratore, ingegnere e ambientalista belga Alain Hubert per monitorare il riscaldamento del pianeta. La struttura, considerata un vero e proprio gioiello per la ricerca sui cambiamenti climatici, sarà attiva dall’estate australe 2008-2009 per sei mesi all’anno, e provvederà al 90% del proprio fabbisogno energetico in modo autosufficiente sfruttando risorse rinnovabili: il sole e i venti, che nella regione raggiungono anche i 200 chilometri orari. La ‘Principessa Elisabetta’, ribattezzata dai media belgi ‘struttura a emissioni zero’ per le sue caratteristiche di rispetto ecologico, sarà infatti corredata da 6 turbine eoliche dalla potenza di 6 kW ciascuna e da ben 300 metri quadrati di pannelli fotovoltaici da 35 kW, che ne ricopriranno la superficie esterna. Inoltre, come viene reso noto dalla Fondazione polare internazionale (Fpi), la stazione non produrrà rifiuti e provvederà al riciclaggio integrale dell’acqua utilizzata. (Fonte: ANSA)


» RINNOVABILI //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


CONCENTRAZIONE SOLARE, ANCHE LA SARDEGNA CI PROVA

Un nuovo impianto di energia solare a Mores in Sardegna. Lo realizzerà la pubblica amministrazione con il benestare della Regione e del Ministero dell’Ambiente.
In un momento nel quale in Sardegna si registrano movimenti sul piano delle rinnovabili - come l’iniziativa fortemente voluta dal sindaco di Loceri che ha invitato i cittadini della nuova provincia di Ogliastra a sottoscrivere apposite richieste per la realizzazione degli impianti fotovoltaici - il comune di Mores tradurrà in pratica il primo progetto pilota per autoprodurre energia elettrica da conversione dei raggi solari. La centrale con potenza d’azione superiore a 1 megawatt darà un totale di più di 2 milioni kW/h di energia nell’arco di un anno. Il comune della provincia di Sassari raggiungerà, così i suoi obiettivi, ossia rendere la comunità di Mores autosufficiente per i propri consumi elettrici, rappresentare un modello esemplificativo per lo sfruttamento dell’energia solare, rilanciare l’economia locale e recuperare aree degradate del territorio circostante, oltre, naturalmente combattere l’effetto serra e diminuire l’immissione di CO2 in atmosfera. Per non alterare le caratteristiche architettoniche del paese e per evitare l’istallazione casuale di tanti pannelli sui tetti la scelta dell’amministrazione è stata quella di costruire una centrale solare di produzione di energia fuori dall’abitato. Nello specifico i 7.014 pannelli solari occuperanno una superficie di 9.700 metri quadri nella zona dell’ex cava di sabbia della Pertusa e l’altopiano di Su Monte che sovrasta il paese. E con un investimento iniziale di 10 milioni di euro il comune prevede di poter ottenere entro il 2007 un ricavo finale derivato dalla vendita di energia elettrica pari a 16 milioni di euro. E sì perché non solo l’impianto sarà in grado di coprire l’intero fabbisogno degli oltre 200 abitanti, ma sarà, secondo i calcoli degli esperti, anche in grado di fornire energia in più da vendere ai vicini. Ammesso che una centrale fotovoltaica istallata in una cava e lontana dalla città (o in altre aree degradate) possa avere i suoi aspetti positivi, rimane il fatto che non è detto che gli impianti a terra e concentrati siano il modello da seguire. Anzi, proprio nell’ottica di un necessario sviluppo dell’installazione di pannelli solari e fotovoltaici è al contrario auspicabile che prevalga la scelta di apporli su strutture già esistenti o da realizzare come i tetti delle città. La gestione e lo sviluppo delle energie alternative pretendono un modello opposto (e quindi decentrato, fino all´individualizzazione) a quello attuale basato sulla concentrazione di impianti. (Fonte: greenreport)



ENERGIA DAL MARE

Arriva da oltreoceano il prototipo di una boa costruita come un muscolo artificiale, che assorbe l’energia del moto ondoso e la trasforma in elettricità. Produce ancora poca elettricità, ma promette grandi passi in avanti grazie alla semplicità della tecnologia impiegata. Si tratta del prototipo recentemente completato dai ricercatori del SRI International (Stanford Research Institute), situato nel Menlo Park, in California, basato sullo sfruttamento del moto ondoso dell’Oceano per la produzione di energia elettrica, fino ad oggi poco utilizzato per l’irregolarità e l’imprevedibilità della fonte, costituita appunto dalle onde del mare, che come ovvio risultano incostanti e non sempre della medesima intensità su lunghi periodi. Lo studio, condotto e coordinato dal ricercatore capo Roy Kornbluh, e collaudato sul campo per la prima volta sul litorale della Florida, ha dato come risultato una tecnologia poco costosa per il tipo di materiali impiegati e di sicura fortuna grazie alle potenzialità insite nelle capacità applicative della boa e in grado di competere con le altre tecnologie di produzione di elettricità con le fonti rinnovabili di energia. I sistemi tradizionalmente impiegati prevedevano l’utilizzo di dispositivi elettromagnetici convenzionali come le dinamo a trasmissione complessa, i pistoni idraulici e le turbine, con una certa vulnerabilità di tutto il sistema dato dagli ingranaggi di trasmissione sottoposti a gravi sollecitazioni e facilmente corruttibili o difettosi. Il cuore di questo nuovo sistema invece è riconducibile ad un nastro in gomma, dello spessore di 0,1 mm, assicurato ad una zavorra: un cilindro situato nell’asse centrale verticale della boa, lasciato libero, contiene un rotolo di materiale di tipo elastico, una sorta di fascia in gomma, che si allunga e si contrae seguendo il movimento oscillatorio della boa stessa, separando e ricongiungendo gli elettrodi, costituiti da un polimero grasso che contiene i materiali conduttivi. Una piccola batteria applica una tensione attraverso gli elettrodi; quando la gomma torna nuovamente indietro arrotolandosi attorno al cilindro, viene generata una forza dagli elettrodi e aumenta la tensione. In questo modo la scossa del moto ondoso viene assorbita dall’elastico e permette di accumulare l’energia prodotta, come spiega Yoseph Bar-Cohen, ricercatore senior del Laboratorio di Propulsione Jet della NASA a Pasadena. In sostanza il dispositivo funziona come un muscolo artificiale, che si espande e si contrae quando viene sottoposto ad uno sforzo, generando in questo caso elettricità. Nel suo funzionamento, il sistema è stato progettato in modo tale che una porzione dell’energia rimane immagazzinata nel dispositivo, in modo che la batteria inserita al suo interno possa servire al primo ciclo d’inizio della generazione di energia della boa. Finora l’elettricità prodotta non è sufficiente per alimentare altro se non una lampadina da 5 Watt, ma aumentando lo spessore e la lunghezza del cuore in gomma, ottimizzando l’elettronica del sistema e migliorando il disegno della forma della boa, si potrebbe giungere a produrre un chilowatt di elettricità. Inoltre, l’alta tensione applicata alla boa porterebbe il vantaggio di trasmettere in modo più efficiente l’elettricità dal dispositivo all’accumulo di energia tramite i cavi subacquei. Un ulteriore passo avanti sarà quindi modificare le componenti della boa affinché possano assecondare le condizioni esterne di utilizzo, dalle condizioni atmosferiche avverse alla variabilità e discontinuità del moto ondoso, per prevedere un loro immediato utilizzo, per esempio, come sistemi di comunicazione per la navigazione, che si autoalimenterebbero tramite una configurazione di impianto stand-alone. Se questo tipo di tecnologia non verrà abbandonata, in futuro sarà possibile prevedere una rete puntiforme di diffusione di queste boe per la generazione controllata di energia elettrica gestita da un operatore remoto, sfruttando una delle risorse rinnovabili maggiormente presenti sul Pianeta come l’acqua degli Oceani.
Forse non tutti sanno che anche il nostro Paese, dal 2002, sta con successo sperimentando una tecnologia di sfruttamento del moto ondoso per trasformare l’energia delle correnti marine in corrente elettrica. Si tratta del progetto ENERMAR, che utilizza una turbina brevettata KOBOLD. Questo impianto pilota è stato installato nello stretto di Messina, ormeggiato a 150 metri dalla costa di fronte alla cittadina di Ganzirri, in cui la massima velocità della corrente, mai assente, è di circa 2 m/s e la profondità del mare è di 20 metri. L’efficienza globale misurata è pari a circa il 23%, mentre la quantità di energia che è possibile ottenere in un anno dal sito è circa 22.000 kilowattora. L’impianto è costituito da una turbina idraulica ad asse verticale tripala con diametro di 6 metri, assicurata ad una piattaforma galleggiante dal diametro di 10 metri, da tre pale, ognuna delle quali è sostenuta da due bracci carenati con rivestimento in carboresina, costituite da una struttura interna di longheroni longitudinali e centine in acciaio, di dimensione di 5 metri, e una corda di 0.4 metri che consente di ottenere un numero di Reynolds variabile tra 0,8 milioni e 2 milioni a seconda delle condizioni di funzionamento. Progetto e disegno della pala e delle parti strutturali del rotore della turbina sono frutto del Dipartimento di Progettazione Aeronautica dell’Università di Napoli. La piattaforma sperimentale galleggiante, che segnala la presenza del sistema ENERMAR, sfrutta l’energia contenuta nelle correnti marine anche per l’accensione di 60 riflettori. Com’è facilmente intuibile, grazie ad una tecnologia così avanzata e che ha reso noto il nome dell’Italia nel campo dell’utilizzo delle risorse disponibili in natura, si ottiene una quantità enorme di energia ‘pulita’, rinnovabile e costante. Questo progetto, i cui brillanti risultati sono disponibili e facilmente verificabili, è la dimostrazione che usufruire di una risorsa come il mare, dal quale fortunatamente la nostra penisola è circondata, non solo è auspicabile, ma è possibile e sarà senza dubbio una delle fonti principe di produzione di energia rinnovabile.
(Fonte: Technologyreview, Enertop di Elisa Gabrieli)



LO STADIO DI MANCHESTER CITY A ENERGIA EOLICA

La squadra del Manchester City ha provvisto il proprio stadio di una turbina eolica che andrà a coprire la maggior parte del fabbisogno energetico. Alta 85 metri, ha una capacità di 2 MW e generazione di 4,1 milioni di kWh, l’equivalente fabbisogno energetico di 1.248 abitazioni e l’equivalente risparmio di quasi 3.600 tonnellate di CO2. Gli eventuali surplus di produzione di energia saranno immessi nella rete di distribuzione. Inoltre sono stati realizzati sistemi di riduzione e di riciclaggio dei rifiuti, introdotti veicoli elettrici nella zona e potenziati i trasporti pubblici e l’uso della bicicletta per raggiungere lo stadio. Per mense e bar verranno acquistati prodotti locali con imballaggi ridotti al minimo. Altri progetti, inoltre, prevedono l’installazione di sistemi di raccolta delle acque piovane per i servizi igienici e per innaffiare il prato e le altre aree verdi della zona. Un eco-progetto che segue altri esempi già messi in pratica. A cominciare era stato il mondiale ecologico di Germania 2006 quando, per la prima volta, la Fifa ha cercato di ridurre l’impatto ambientale e di compensarlo con degli investimenti a favore dell’ecologia nei Paesi meno sviluppati. Per questo il progetto Green goal ha raccolto e investito, durante i mondiali, almeno 1,2 milioni in progetti di prevenzione climatica in Sud Africa, Paese che ospiterà i Mondiali del 2010, e in India. La Fifa si è impegnata a partecipare per 400.000 euro, mentre la Federcalcio tedesca (DFB) investirà 500.000 euro in una centrale moderna a gas biologico - produzione di energia elettrica attraverso il letame - in India, nella regione del Tamil Nadu. Questo impianto permetterà, così, di ridurre 30.000 tonnellate di gas dannosi. (Fonte: ANSA)




»
MOBILITA' SOSTENIBILE ///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


EUROPEI SCHIAVI DELL'AUTO

Anche se l’automobile privata rimane il principale mezzo di trasporto, i cittadini Ue sono ben consapevoli del suo impatto sull’ambiente e sul traffico. Secondo un’indagine di opinione dell’Eurobarometro, la maggior parte degli Europei è a favore di misure che promuovano l’utilizzo dei trasporti pubblici e per incoraggiare una mobilità più sostenibile. L’indagine di opinione dell’Eurobarometro è stata condotta nei 27 Stati membri dell’Unione Europea su un campione scelto a caso di circa 26.000 persone in merito a questioni relative alla politica dei trasporti dell’Ue, tra cui il trasporto urbano, le questioni ambientali, il traffico, la sicurezza aerea e i diritti dei passeggeri aerei. Prima di tutto c’è una conferma: il trasporto motorizzato privato predomina nell’Unione Europea. L’81% dei cittadini Ue possiede un’automobile nel proprio nucleo familiare. La maggioranza dei cittadini dell’Ue (51%) indica l’automobile come il principale modo di trasporto, seguita dai mezzi pubblici (21%), dagli spostamenti a piedi (15%) e dalla motocicletta (2%). Gli Europei lo sanno: i miglioramenti del trasporto pubblico, quali ad esempio orari migliori (29%) e migliori collegamenti verso destinazioni abituali (28%) potrebbero incoraggiare quanti utilizzano principalmente l’automobile per la mobilità quotidiana ad utilizzarla meno frequentemente. Tuttavia, una percentuale significativa (22%) di automobilisti dichiara che in nessun caso sarebbe disposto a utilizzare meno l’automobile. La stragrande maggioranza dei cittadini Ue (78%) è del parere che il tipo di automobile e il modo in cui viene utilizzata abbiano un impatto importante sull’ambiente. Per la maggioranza (35%) degli intervistati, il migliore mezzo per invertire il trend all’aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) dovute al trasporto stradale sarebbe permettere solo la vendita di veicoli meno inquinanti. Per il 30% degli intervistati, invece, il mezzo più efficace per ridurre le emissioni di CO2 consiste nell’incoraggiare, soprattutto tramite agevolazioni fiscali, l’acquisto di veicoli a ridotto consumo di carburante. Alla domanda in merito al metodo da loro utilizzato nel corso dell’ultimo anno per risparmiare carburante, più della metà degli intervistati, conducenti principali nel loro nucleo familiare, hanno risposto di aver modificato il loro stile di guida (57%) o di essersi spostati maggiormente a piedi o in bicicletta (56%). E’, invece, inferiore la percentuale di persone che ha utilizzato più spesso i trasporti pubblici (26%) o sono passati ad un’automobile a ridotto consumo di carburante (25%), mentre il 16% non ha utilizzato nessuno dei metodi proposti nel questionario e il 4% ha utilizzato tutti i metodi citati. Secondo il 36% dei cittadini Ue, il metodo migliore per incoraggiare l’utilizzo di biocarburanti è quello renderli meno costosi tramite agevolazioni fiscali. Seguono, con il 32% di favorevoli, misure miranti a imporre ai costruttori la produzione di automobili a biocarburante. Tre cittadini Ue su quattro (74%) sono ben consapevoli che il tipo di automobile e il modo in cui sono utilizzate hanno un’influenza importante sulla situazione del traffico nel loro ambiente immediato. La stragrande maggioranza degli intervistati (90%) ritiene che la situazione del traffico nella loro area dovrebbe essere migliorata tramite un migliore sistema di trasporti pubblici (49%), l’introduzione di restrizioni all’accesso al centro città (17%), limiti di velocità (17%) o pedaggi (5%). Una esigua maggioranza di cittadini Ue è disposta a pagare di più per utilizzare mezzi di trasporto meno inquinanti (54%). Tuttavia, la maggioranza dei cittadini Ue (60%) non condivide l’affermazione che tutti gli utenti della strada dovrebbero pagare un pedaggio per compensare la congestione e i danni ambientali, mentre il 35% degli intervistati si dichiara d’accordo. (Fonte: ANSA).


     A cura di Fabio Bruno

Leggi le "news" dei numeri passati:
Newsletter n°1

Newsletter n°2
Newsletter n°3 - 4
Newsletter n°5
Newsletter n°6
Newsletter n°7
Newsletter n°8
Newsletter n°9
Newsletter n°10


Per eventuali richieste di cancellazione: remove@greencross.it