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 » CAMBIAMENTI CLIMATICI /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
 
 EPIDEMIA AFRICANA COLERA CAUSATA DAL RISCALDAMENTO
 Gli  effetti dei cambiamenti del clima sulla salute, che i modelli prevedono  devastanti specie nei paesi in via di sviluppo, sono in realtà già in atto. Lo  dimostra uno studio francese pubblicato dalla rivista Bmc Infectious Deseases, secondo cui il recente emergere di epidemie di colera in  vari stati africani è direttamente legato ai cambiamenti del clima. Il colera è  una malattia infettiva causata da un batterio, il Vibrio Cholerae. Secondo  i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità nel 2004 ci sono stati più di  centomila casi in tutto il mondo, di cui 95mila solo in  Africa. I ricercatori del laboratorio di Genetica ed Evoluzione delle Malattie  Infettive (Gemi) di Parigi hanno cercato di stabilire l’esistenza di una  correlazione tra l’insorgenza del colera in cinque paesi africani (Togo, Costa d’Avorio, Ghana, Benin e Nigeria) e i  cambiamenti climatici nella regione. Per far ciò sono stati presi in esame i  dati dell’Oms sulla malattia tra il 1975 e il 1995, e sono stati  confrontati sia con le variazioni di volume delle piogge sia con un fattore,  chiamato Indice di oscillazione  Indiana (Ioi) che tiene conto di tutti i  parametri legati al clima assegnando un punteggio ad ognuno. Le elaborazioni  statistiche dei ricercatori hanno mostrato che i nuovi focolai di colera sono  strettamente legati all’andamento delle piogge e di altri indici climatici,  come l’Ioi o la concentrazione di fitoplancton vicino  alla costa. “Il numero di casi di colera è aumentato alla fine degli  anni ‘80 - spiega Guillaume  de Magny, che ha coordinato lo  studio - e c’è una sincronia in tutti i paesi che abbiamo studiato. Questa  sincronia è coerente sia con la variazione della pioggia che degli altri  indici dei cambiamenti climatici”. Questo risultato è in accordo con studi  simili fatti in Bangladesh e Sud  America. Una possibile spiegazione del  legame tra clima e colera si può trovare, secondo gli esperti, nel ciclo di  vita del vibrione. Le piogge torrenziali favoriscono la proliferazione nelle  zone costiere del fitoplancton, che a sua volta ospita lo zooplancton che è il  principale habitat del batterio del colera. Questa associazione è destinata a  peggiorare nei prossimi anni: secondo i modelli sul clima, infatti, il  riscaldamento globale provocherà un aumento delle piogge nella zona  equatoriale, che secondo uno studio della Nasa pubblicato recentemente dal Journal of  Climate è già iniziato nel 1979. (Fonte:  ANSA) PROVE DEI MUTAMENTI ARRIVANO DALL'ALTO
 La prima  prova sperimentale di uno degli effetti dei cambiamenti climatici previsti dai  modelli matematici è venuta ‘dall’alto’: i satelliti della Nasa hanno  confermato che negli ultimi anni nella fascia tropicale le piogge stanno  aumentando per effetto del riscaldamento globale. Per l’Italia questa è  una brutta notizia: gli stessi modelli, infatti, prevedono che da noi le  precipitazioni diminuiranno. La ricerca, condotta sui dati degli ultimi 27 anni, ha  usato sia rilevazioni a terra che, dal 1997, quelle dei satelliti della Tropical Rainfall Measuring Mission, un progetto americano-giapponese che ha già lanciato tre  satelliti dedicati a questo tipo di misure. Il risultato è stato che la  tendenza è all’aumento, con una forte impennata dopo il 2000: l’anno più piovoso  è stato il 2005, seguito da 2004, 1998, 2003 e 2002. “Se si guarda alle  piogge totali nel pianeta, queste sono rimaste pressoché invariate -  spiega Guojun Gu, del Goddard Space Flight Center della Nasa - ma nei  tropici, dove cadono circa i due terzi delle precipitazioni, c’è stata una  crescita del 5%”. Secondo lo studio, pubblicato dal Journal of Climate della società meteorologica americana, la causa più  probabile del fenomeno è il riscaldamento del clima, che aumenta  l’evaporazione, soprattutto dagli oceani, e facilita la formazione di nubi.  Dall’analisi è stato tolto il contributo dei fenomeni naturali come le correnti  oceaniche tipo ‘El Nino’, che aumentano le precipitazioni equatoriali, e le  massicce eruzioni vulcaniche, che invece le diminuiscono. Per allargare le  osservazioni al resto del pianeta. “Queste osservazioni sono perfettamente  coerenti, tranne qualche piccolo discostamento in alcune zone, con le  previsioni dell’International Panel on Climate Change (Ipcc) -  spiega Vincenzo Ferrara, coordinatore scientifico della Conferenza Nazionale sui  Cambiamenti Climatici organizzata dal ministero dell'Ambiente il 12 e il 13  settembre a Roma - e sono la prima verifica sperimentale dei modelli  utilizzati. L’aumento delle piogge riguarda però solo la fascia equatoriale e  quella subtropicale a Sud dell’Equatore, mentre da noi, che pure siamo relativamente  vicini ai tropici, la previsione è che ci sarà una diminuzione delle piogge”.  Le elaborazioni dell’Ipcc parlano di una perdita di 0,3-0,5 mm di pioggia  al giorno nell’area del Mediterraneo. Un valore che, se proiettato al 2100, porta ad  una riduzione del 25% rispetto ad oggi. Inoltre si prevede che le piogge si  concentreranno in meno giorni rispetto alla norma, dando vita ad un aumento dei  fenomeni violenti come le alluvioni che già si cominciano a vedere anche da  noi. “Il cambiamento della distribuzione porta a due conseguenze - spiega ancora Ferrara - nel caso di piogge violente l’acqua non penetra nel  terreno, anzi lo erode e ne asporta le sostanze nutritive trascinando  tutto in mare, non ricaricando le falde acquifere. Inoltre aumentano ovviamente  i danni sia all’ecosistema, sia alle strutture dell’uomo, provocati dalle  alluvioni”. (Fonte: ANSA) LA CHIOCCIOLA D'ALDABRA, CAMPANELLO DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
 
 L’atollo di Aldabra, uno dei  più grandi del mondo, è sperduto a 426 chilometri a nord-ovest della punta nord del Madagascar e a 1.150  chilometri a sud-ovest di Mahé, la principale isola delle Seychelles di cui fa parte, dal  1983 è Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco per la sua grande importanza per  la biodiversità, visto che ospita la più grande popolazione mondiale di  tartarughe terrestri giganti (Geochelone Aldabrachelys gigantea), con più di 150 mila  esemplari, spettacolari colonie di uccelli, tra i quali il rallo dalla gola bianca, unica  specie sopravvissuta nell’Oceano Indiano di uccello inadatto al volo. A  preoccupare biologi e ricercatori non sono queste specie simbolo, ma  l’estinzione di una chiocciola endemica. Una preoccupazione che può sembrare esagerata  davanti ad un umile gasteropode, ma la Rachistia aldabrae può essere il primo sfortunato  pioniere del cambiamento climatico. Le ricerche delle chiocciole fatte su tutte  le isole dell’atollo di Aldabra e in quelle vicine non hanno dato risultati, e la  scomparsa della lumaca non è dovuta, come in altri casi di estinzione di  animali più noti, come il dodo o la tigre della Tasmania, a introduzione di specie alloctone entrate in  competizione alimentare con quelle autoctone, predatori ed attività umane  dirette, ma ad un cambiamento ambientale globale con visibili ripercussioni  locali. Sembra che l’aumento della siccità abbia colpito le popolazioni in  ‘letargo’ durante gli usuali periodi asciutti, riducendone il periodo di  attività degli adulti, ma ad essere più colpiti sarebbero state le giovani  chiocciole che tollerano peggio la ‘disseccazione’. Quindi il successo  riproduttivo della Rachistia aldabrae  sarebbe stato del tutto compromesso dalla siccità  sempre più prolungata. La prova, secondo i ricercatori che indagano sul  preoccupante fenomeno, è nel fatto che dal 2000 si trovano solo conchiglie di  adulti. La causa sarebbe tutta nella diminuzione verticale delle piogge tra gli  anni 80 e 90 che hanno portato ad un’alta mortalità giovanile e al conseguente  invecchiamento della popolazione con la completa estinzione di tutte le  popolazioni tra il 1997 e il 2000. Ma gli scienziati sottolineano che anche se  la siccità non avesse fatto strage di queste sfortunate lumache, alla loro  estinzione ci avrebbe pensato l’innalzamento del livello del mare che sembra  destinato a sommergere Aldabra ed altre isole coralline. Un caso di estinzione  ‘climatica’ di un’intera specie per ora inusuale, non causata da predatori  importati o dall’uomo, ma che nel futuro potrebbe divenire sempre meno rara, a  cominciare da quanto va accadendo a molte specie di anfibi, i vertebrati che  più sembrano soffrire i primi effetti del riscaldamento globale e per i quali  si stima che 170 specie  siano scomparse dal 1980 ad oggi, mentre un terzo delle 5.918 specie  conosciute è minacciato di estinzione. Secondo i ricercatori la chiocciola di  Aldabra, rane e rospi potrebbero essere i nuovi e globali ‘canarini delle miniere di  carbone’ che avvertivano con la loro morte della presenza di gas,  la loro scomparsa e rarefazione segnalerebbe l’aumento dei gas serra e l’inizio  di quella vasta diminuzione della biodiversità che potrebbe far scomparire  migliaia di specie animali, trasformando il nostro pianeta in un posto più  povero di vita e di bellezza. Riusciremo a prestare attenzione all’allarme che  ci arriva da quei piccoli gusci calcinati su uno sperduto atollo africano? (Fonte: greenreport)
 BELGIO: PRESENTATA PRIMA STAZIONE POLARE ECOLOGICA
 E’ stata esposta a Bruxelles, prima di cominciare il  lungo cammino verso l’Antartide, la futuristica stazione polare eco-compatibile  ‘Principessa Elisabetta’, concepita e progettata  dall’esploratore, ingegnere e ambientalista belga Alain Hubert per monitorare il riscaldamento del pianeta. La struttura,  considerata un vero e proprio gioiello per la ricerca sui cambiamenti  climatici, sarà attiva dall’estate australe 2008-2009 per sei mesi all’anno, e  provvederà al 90% del proprio fabbisogno energetico  in modo autosufficiente sfruttando risorse rinnovabili: il sole e i venti, che  nella regione  raggiungono anche i 200 chilometri orari. La ‘Principessa Elisabetta’, ribattezzata dai media belgi ‘struttura a  emissioni zero’ per le sue caratteristiche di rispetto ecologico, sarà infatti  corredata da 6 turbine eoliche dalla potenza di 6 kW ciascuna e da ben 300 metri quadrati di pannelli fotovoltaici da 35 kW, che ne ricopriranno la superficie esterna. Inoltre, come viene reso  noto dalla Fondazione polare internazionale (Fpi), la stazione non produrrà  rifiuti e provvederà al riciclaggio integrale dell’acqua utilizzata. (Fonte:  ANSA) 
 » RINNOVABILI  ////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// 
 
 CONCENTRAZIONE SOLARE, ANCHE LA SARDEGNA CI PROVA
Un nuovo impianto di  energia solare a Mores in Sardegna. Lo realizzerà la pubblica  amministrazione con il benestare della Regione e del Ministero dell’Ambiente.In un momento nel quale in Sardegna si registrano movimenti sul piano delle  rinnovabili - come l’iniziativa fortemente voluta dal sindaco di Loceri che ha invitato i cittadini della nuova provincia di Ogliastra a sottoscrivere  apposite richieste per la realizzazione degli impianti fotovoltaici - il comune  di Mores tradurrà in pratica il primo progetto pilota per autoprodurre  energia elettrica da conversione dei raggi solari. La centrale con potenza  d’azione superiore a 1 megawatt darà un totale di più di 2 milioni  kW/h di energia nell’arco di un anno. Il comune della provincia di Sassari  raggiungerà, così i suoi obiettivi, ossia rendere la comunità di Mores autosufficiente per i propri consumi elettrici, rappresentare un modello  esemplificativo per lo sfruttamento dell’energia solare, rilanciare l’economia  locale e recuperare aree degradate del territorio circostante, oltre,  naturalmente combattere l’effetto serra e diminuire l’immissione di CO2 in  atmosfera. Per non alterare le caratteristiche architettoniche del paese e per  evitare l’istallazione casuale di tanti pannelli sui tetti la scelta  dell’amministrazione è stata quella di costruire una centrale solare di  produzione di energia fuori dall’abitato. Nello specifico i 7.014 pannelli solari occuperanno una superficie di 9.700 metri quadri nella  zona dell’ex cava di sabbia della Pertusa e l’altopiano di Su Monte che sovrasta il paese. E con un investimento iniziale di 10 milioni di euro il comune prevede di poter ottenere entro il 2007 un ricavo finale derivato  dalla vendita di energia elettrica pari a 16 milioni di euro. E sì  perché non solo l’impianto sarà in grado di coprire l’intero fabbisogno degli  oltre 200 abitanti, ma sarà, secondo i calcoli degli esperti, anche in  grado di fornire energia in più da vendere ai vicini. Ammesso che una centrale  fotovoltaica istallata in una cava e lontana dalla città (o in altre aree  degradate) possa avere i suoi aspetti positivi, rimane il fatto che non è detto  che gli impianti a terra e concentrati siano il modello da seguire. Anzi,  proprio nell’ottica di un necessario sviluppo dell’installazione di pannelli  solari e fotovoltaici è al contrario auspicabile che prevalga la scelta di  apporli su strutture già esistenti o da realizzare come i tetti delle città. La  gestione e lo sviluppo delle energie alternative pretendono un modello opposto  (e quindi decentrato, fino all´individualizzazione) a quello attuale basato  sulla concentrazione di impianti. (Fonte: greenreport)
 
 ENERGIA DAL MARE
 Arriva da  oltreoceano il prototipo di una boa costruita come un muscolo artificiale, che  assorbe l’energia del moto ondoso e la trasforma in elettricità. Produce ancora  poca elettricità, ma promette grandi passi in avanti grazie alla semplicità  della tecnologia impiegata. Si tratta del prototipo recentemente completato dai  ricercatori del SRI International (Stanford Research Institute), situato nel Menlo Park, in California,  basato sullo sfruttamento del moto ondoso dell’Oceano per la produzione di energia  elettrica, fino ad oggi poco utilizzato per l’irregolarità e l’imprevedibilità  della fonte, costituita appunto dalle onde del mare, che come ovvio risultano  incostanti e non sempre della medesima intensità su lunghi periodi. Lo studio,  condotto e coordinato dal ricercatore capo Roy Kornbluh, e collaudato  sul campo per la prima volta sul litorale della Florida, ha dato come risultato  una tecnologia poco costosa per il tipo di materiali impiegati e di sicura  fortuna grazie alle potenzialità insite nelle capacità applicative della boa e  in grado di competere con le altre tecnologie di produzione di elettricità con  le fonti rinnovabili di energia. I sistemi tradizionalmente impiegati  prevedevano l’utilizzo di dispositivi elettromagnetici convenzionali come le  dinamo a trasmissione complessa, i pistoni idraulici e le turbine, con una  certa vulnerabilità di tutto il sistema dato dagli ingranaggi di trasmissione  sottoposti a gravi sollecitazioni e facilmente corruttibili o difettosi. Il  cuore di questo nuovo sistema invece è riconducibile ad un nastro in gomma,  dello spessore di 0,1 mm, assicurato ad una zavorra: un cilindro situato  nell’asse centrale verticale della boa, lasciato libero, contiene un rotolo di  materiale di tipo elastico, una sorta di fascia in gomma, che si allunga e si  contrae seguendo il movimento oscillatorio della boa stessa, separando e  ricongiungendo gli elettrodi, costituiti da un polimero grasso che contiene i  materiali conduttivi. Una piccola batteria applica una tensione attraverso gli  elettrodi; quando la gomma torna nuovamente indietro arrotolandosi attorno al  cilindro, viene generata una forza dagli elettrodi e aumenta la tensione. In  questo modo la scossa del moto ondoso viene assorbita dall’elastico e permette  di accumulare l’energia prodotta, come spiega Yoseph Bar-Cohen,  ricercatore senior del Laboratorio di Propulsione Jet della NASA a Pasadena. In sostanza il dispositivo funziona come  un muscolo artificiale, che si espande e si contrae quando viene sottoposto ad  uno sforzo, generando in questo caso elettricità. Nel suo funzionamento, il  sistema è stato progettato in modo tale che una porzione dell’energia rimane  immagazzinata nel dispositivo, in modo che la batteria inserita al suo interno  possa servire al primo ciclo d’inizio della generazione di energia della boa.  Finora l’elettricità prodotta non è sufficiente per alimentare altro se non una  lampadina da 5 Watt, ma aumentando lo spessore e la lunghezza del  cuore in gomma, ottimizzando l’elettronica del sistema e migliorando il disegno  della forma della boa, si potrebbe giungere a produrre un chilowatt di  elettricità. Inoltre, l’alta tensione applicata alla boa porterebbe il  vantaggio di trasmettere in modo più efficiente l’elettricità dal dispositivo  all’accumulo di energia tramite i cavi subacquei. Un ulteriore passo avanti  sarà quindi modificare le componenti della boa affinché possano assecondare le  condizioni esterne di utilizzo, dalle condizioni atmosferiche avverse alla  variabilità e discontinuità del moto ondoso, per prevedere un loro immediato  utilizzo, per esempio, come sistemi di comunicazione per la navigazione, che si  autoalimenterebbero tramite una configurazione di impianto stand-alone. Se  questo tipo di tecnologia non verrà abbandonata, in futuro sarà possibile prevedere  una rete puntiforme di diffusione di queste boe per la generazione controllata  di energia elettrica gestita da un operatore remoto, sfruttando una delle  risorse rinnovabili maggiormente presenti sul Pianeta come l’acqua degli  Oceani. Forse non tutti sanno che anche il nostro Paese, dal 2002, sta con successo  sperimentando una tecnologia di sfruttamento del moto ondoso per trasformare  l’energia delle correnti marine in corrente elettrica. Si tratta del progetto ENERMAR, che utilizza una turbina brevettata KOBOLD. Questo impianto pilota è stato installato nello  stretto di Messina, ormeggiato a 150 metri dalla costa di fronte alla cittadina  di Ganzirri, in cui la massima velocità della corrente, mai assente, è  di circa 2 m/s e la profondità del mare è di 20 metri.  L’efficienza globale misurata è pari a circa il 23%, mentre la quantità  di energia che è possibile ottenere in un anno dal sito è circa 22.000  kilowattora. L’impianto è costituito da una turbina idraulica ad asse  verticale tripala con diametro di 6 metri, assicurata ad una piattaforma  galleggiante dal diametro di 10 metri, da tre pale, ognuna delle quali è  sostenuta da due bracci carenati con rivestimento in carboresina, costituite da  una struttura interna di longheroni longitudinali e centine in acciaio, di  dimensione di 5 metri, e una corda di 0.4 metri che consente di ottenere un  numero di Reynolds variabile tra 0,8 milioni e 2 milioni a seconda delle  condizioni di funzionamento. Progetto e disegno della pala e delle parti  strutturali del rotore della turbina sono frutto del Dipartimento di  Progettazione Aeronautica dell’Università di Napoli. La piattaforma  sperimentale galleggiante, che segnala la presenza del sistema ENERMAR, sfrutta l’energia contenuta nelle correnti marine  anche per l’accensione di 60 riflettori. Com’è facilmente intuibile,  grazie ad una tecnologia così avanzata e che ha reso noto il nome dell’Italia  nel campo dell’utilizzo delle risorse disponibili in natura, si ottiene una  quantità enorme di energia ‘pulita’, rinnovabile e costante. Questo progetto, i  cui brillanti risultati sono disponibili e facilmente verificabili, è la  dimostrazione che usufruire di una risorsa come il mare, dal quale  fortunatamente la nostra penisola è circondata, non solo è auspicabile, ma è  possibile e sarà senza dubbio una delle fonti principe di produzione di energia  rinnovabile.
 (Fonte:  Technologyreview, Enertop di Elisa Gabrieli)
 
 LO STADIO DI MANCHESTER CITY A ENERGIA EOLICA
 
 La squadra del Manchester  City ha provvisto il proprio stadio di una turbina eolica che andrà a  coprire la maggior parte del fabbisogno energetico. Alta 85 metri, ha  una capacità di 2 MW e generazione di 4,1 milioni di kWh,  l’equivalente fabbisogno energetico di 1.248 abitazioni e l’equivalente  risparmio di quasi 3.600 tonnellate di CO2. Gli eventuali surplus di  produzione di energia saranno immessi nella rete di distribuzione. Inoltre sono  stati realizzati sistemi di riduzione e di riciclaggio dei rifiuti, introdotti  veicoli elettrici nella zona e potenziati i trasporti pubblici e l’uso della  bicicletta per raggiungere lo stadio. Per mense e bar verranno acquistati  prodotti locali con imballaggi ridotti al minimo. Altri progetti, inoltre,  prevedono l’installazione di sistemi di raccolta delle acque piovane per i  servizi igienici e per innaffiare il prato e le altre aree verdi della zona. Un  eco-progetto che segue altri esempi già messi in pratica. A cominciare era  stato il mondiale ecologico di Germania 2006 quando, per la prima volta, la Fifa ha cercato di ridurre l’impatto ambientale e di compensarlo con degli  investimenti a favore dell’ecologia nei Paesi meno sviluppati. Per questo il  progetto Green goal ha raccolto e investito, durante i mondiali, almeno 1,2 milioni in progetti di prevenzione climatica in Sud Africa, Paese  che ospiterà i Mondiali del 2010, e in India. La Fifa si è  impegnata a partecipare per 400.000 euro, mentre la Federcalcio  tedesca (DFB) investirà 500.000 euro in una centrale moderna a gas  biologico - produzione di energia elettrica attraverso il letame - in India,  nella regione del Tamil Nadu. Questo impianto permetterà, così, di  ridurre 30.000 tonnellate di gas dannosi. (Fonte: ANSA)
 
 
 » MOBILITA' SOSTENIBILE ///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
 EUROPEI SCHIAVI DELL'AUTO
 
 
 Anche se l’automobile privata rimane il principale mezzo di  trasporto, i cittadini Ue sono ben consapevoli del suo impatto sull’ambiente e  sul traffico. Secondo un’indagine di opinione dell’Eurobarometro, la maggior  parte degli Europei è a favore di misure che promuovano l’utilizzo dei  trasporti pubblici e per incoraggiare una mobilità più sostenibile. L’indagine  di opinione dell’Eurobarometro è stata condotta nei 27 Stati  membri dell’Unione Europea su un campione scelto a caso di circa 26.000 persone  in merito a questioni relative alla politica dei trasporti dell’Ue, tra cui il  trasporto urbano, le questioni ambientali, il traffico, la sicurezza aerea e i  diritti dei passeggeri aerei. Prima di tutto c’è una conferma: il trasporto  motorizzato privato predomina nell’Unione Europea. L’81% dei  cittadini Ue possiede un’automobile nel proprio nucleo familiare. La  maggioranza dei cittadini dell’Ue (51%) indica  l’automobile come il principale modo di trasporto, seguita dai mezzi pubblici (21%), dagli  spostamenti a piedi (15%) e dalla  motocicletta (2%). Gli  Europei lo sanno: i miglioramenti del trasporto pubblico, quali ad esempio  orari migliori (29%) e  migliori collegamenti verso destinazioni abituali (28%)  potrebbero incoraggiare quanti utilizzano principalmente l’automobile per la  mobilità quotidiana ad utilizzarla meno frequentemente. Tuttavia, una  percentuale significativa (22%) di  automobilisti dichiara che in nessun caso sarebbe disposto a utilizzare meno  l’automobile. La stragrande maggioranza dei cittadini Ue (78%) è del  parere che il tipo di automobile e il modo in cui viene utilizzata abbiano un  impatto importante sull’ambiente. Per la maggioranza (35%) degli  intervistati, il migliore mezzo per invertire il trend all’aumento delle  emissioni di anidride carbonica (CO2) dovute al trasporto stradale sarebbe  permettere solo la vendita di veicoli meno inquinanti. Per il 30% degli  intervistati, invece, il mezzo più efficace per ridurre le emissioni di CO2  consiste nell’incoraggiare, soprattutto tramite agevolazioni fiscali,  l’acquisto di veicoli a ridotto consumo di carburante. Alla domanda in merito  al metodo da loro utilizzato nel corso dell’ultimo anno per risparmiare  carburante, più della metà degli intervistati, conducenti principali nel loro  nucleo familiare, hanno risposto di aver modificato il loro stile di guida (57%) o di essersi  spostati maggiormente a piedi o in bicicletta (56%). E’,  invece, inferiore la percentuale di persone che ha utilizzato più spesso i  trasporti pubblici (26%) o sono  passati ad un’automobile a ridotto consumo di carburante (25%), mentre  il 16% non ha utilizzato nessuno dei  metodi proposti nel questionario e il 4% ha  utilizzato tutti i metodi citati. Secondo il 36% dei  cittadini Ue, il metodo migliore per incoraggiare l’utilizzo di biocarburanti è  quello renderli meno costosi tramite agevolazioni fiscali. Seguono, con il 32% di  favorevoli, misure miranti a imporre ai costruttori la produzione di automobili  a biocarburante. Tre cittadini Ue su quattro (74%) sono ben  consapevoli che il tipo di automobile e il modo in cui sono utilizzate hanno  un’influenza importante sulla situazione del traffico nel loro ambiente  immediato. La stragrande maggioranza degli intervistati (90%) ritiene  che la situazione del traffico nella loro area dovrebbe essere migliorata  tramite un migliore sistema di trasporti pubblici (49%),  l’introduzione di restrizioni all’accesso al centro città (17%), limiti  di velocità (17%) o pedaggi (5%). Una  esigua maggioranza di cittadini Ue è disposta a pagare di più per utilizzare  mezzi di trasporto meno inquinanti (54%).  Tuttavia, la maggioranza dei cittadini Ue (60%) non  condivide l’affermazione che tutti gli utenti della strada dovrebbero pagare un  pedaggio per compensare la congestione e i danni ambientali, mentre il 35% degli  intervistati si dichiara d’accordo. (Fonte: ANSA). 
      A cura di Fabio  Bruno Leggi le "news" dei numeri passati:Newsletter n°1
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