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» CAMBIAMENTI CLIMATICI /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


DALL'INDIA UNA ROADMAP CONTRO L'EFFETTO SERRA

In arrivo entro l’anno il primo piano indiano per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Dopo i reiterati rifiuti ad applicare il protocollo di Kyoto, l’India muove i primi passi verso una maggiore attenzione all’ambiente. Siamo ancora lontani dal porre un tetto alle emissioni di gas serra, di cui il Paese asiatico produce il 4 per cento delle emissioni globali, ma Nuova Delhi ha deciso di tracciare una roadmap per aumentare l’efficienza energetica senza minare la crescita e di ricorrere maggiormente a fonti rinnovabili. Se ne occuperà un comitato tecnico, voluto dal primo ministro Manmohan Singh, che si è riunito per la prima volta il 13 luglio 2007. Il nuovo Consiglio sui cambiamenti climatici è composto da ministri, ambientalisti, industriali e giornalisti, per un totale di 21 membri. Il comitato cercherà di creare cooperazione e consenso sulle strategie da adottare per combattere gli effetti dell’innalzamento delle temperature, che minaccia le vite di milioni di persone nel subcontinente indiano. Le linee guida saranno pronte entro il prossimo meeting delle Nazioni Unite sul clima, che si terrà a dicembre a Bali. Una decisione presa sulla spinta delle pressioni internazionali, che segue un’iniziativa simile presentata quest’anno dalla Cina, l’altro grande inquinatore asiatico, che ha promesso di ridurre le emissioni di gas serra pro capite, rifiutando però di porre un limite alle emissioni di anidride carbonica. L’India, che negli ultimi anni è cresciuta a un tasso dell’8-9 per cento, e si stima produca ogni anno il 2-3 per cento in più di gas tossici, ha sempre rifiutato simili vincoli, sostenendo di essere impegnata a sfamare e sollevare dalla povertà il suo miliardo di abitanti e accusando i Paesi ricchi di aver bruciato combustibili fossili sin dalla Rivoluzione Industriale. Tuttavia, i recenti allarmi sui cambiamenti climatici hanno convinto Nuova Delhi della grave minaccia climatica per il subcontinente indiano. “Stiamo rispondendo all’urgenza della situazione”, ha detto Sunita Narain, a capo del Centro per la Scienza e l’ambiente di Nuova Delhi. Grandi città, quali Bombay e Calcutta, sono in pericolo per l’innalzamento del livello del mare causato dallo scioglimento dei ghiacciai Himalayani. Carestie dovute a siccità o inondazioni potrebbero diventare più frequenti con l’aumento delle temperature. (Fonte: AGI)


ENEA - CONVEGNO "CLIMATE CHANGE AND GLACIERS: IMPACTS IN WATER RESOURCES, SEA LEVEL RISE AND MOUNTAIN ENVIRONMENTS"

Il 6 e 7 Luglio 2007 si è tenuto a Roma il convegno scientifico internazionale “Climate change and glaciers: impacts in water resources, sea level rise and mountain environments, organizzato dall’Ambasciata del Cile in Italia e sostenuto dal Ministero Cileno degli Affari Esteri, in collaborazione con il Ministero Italiano degli Affari Esteri.
Il convegno ha visto i ricercatori provenienti sia dall’Europa che dal Sud America concordi nell’affermare che i ghiacciai montani stanno riducendosi rapidamente e che quindi sono necessari approfonditi studi in questo campo. Parallelamente i Governi dei due paesi hanno espresso la loro preoccupazione per i possibili effetti del cambiamento climatico, in particolare quelli che potrebbero interessare le risorse idriche e l’innalzamento del livello marino. Le motivazioni e gli obiettivi della manifestazione sono stati presentati all’apertura dei lavori dall’Ambasciatore del Cile in Italia, Gabriel Valdes, dal Vice Ministro per gli Affari Esteri, Donato Di Santo, e dal Presidente dell’ENEA, Luigi Paganetto. L’evento ha visto la partecipazione di oltre 20 scienziati provenienti da: Argentina, Cile, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Svizzera e Regno Unito in rappresentanza di istituzioni governative, università, centri di ricerca ed organizzazioni internazionali.
I ghiacciai rispondono sensibilmente al clima e sono tra i più chiari indicatori dei suoi cambiamenti e sono, inoltre, di importanza cruciale come risorse idriche terrestri; oltre un miliardo di persone, infatti, dipende dai ghiacciai per l’approvvigionamento di acqua dolce durante la stagione arida.
I ricercatori hanno concordato nell’affermare che è in corso un’intensa e generalizzata contrazione dei ghiacciai delle regioni montane, con un’evidente accelerazione avvenuta negli ultimi decenni e manifestatasi con un’intensificazione dei ritmi di fusione glaciale. L’estensione dei ghiacciai si è ridotta a tal punto da avvicinarsi ai minimi degli ultimi millenni. L’influenza dell’uomo sul clima sta divenendo un fattore di crescente rilevanza e, anche se i ritmi di contrazione glaciale non si modificheranno sensibilmente, è probabile che molti ghiacciai delle aree montane scompariranno nei prossimi decenni.
Oltre agli impatti sulle risorse idriche, i cambiamenti glaciali stanno influenzando il livello dei mari, l’evoluzione del paesaggio naturale, il turismo e i rischi connessi ai ghiacciai come le inondazioni o le frane-valanga. Sono anche state identificate rapide ed inattese variazioni dei ghiacci della calotta Antartica nel settore della Penisola Antartica e del mare di Amudsen, aree fino a poco tempo fa considerate poco reattive ai cambiamenti climatici. Le calotte Antartica occidentale e groenlandese, se completamente fuse, porterebbero ad un innalzamento del livello marino di circa 13 metri. Non è realistico prospettare un simile scenario entro i prossimi secoli, ma sono da tenere in considerazione gli attuali segnali di una modificata dinamica glaciale in queste aree, che potrebbe concretizzarsi in un aumento del livello marino anche superiore ai 20-60 cm prospettati entro la fine di questo secolo, secondo quanto dichiarato nel recente documento IPCC, Intergovernmental Panel on Climatic Change.
I ricercatori hanno, inoltre, concordato sulla necessità di intensificare urgentemente gli studi e di approfondire le osservazioni sul ghiaccio terrestre nell’ambito di programmi scientifici globali sulle variazioni climatiche ed ambientali. Sono stati sviluppati progetti per future ricerche e per l’organizzazione in Cile di una conferenza scientifica internazionale sui temi delle variazioni della copertura nevosa e glaciale per approfondirne la conoscenza e rinforzare le collaborazioni internazionali. Il Convegno di Roma è stato realizzato con il contributo dell’ENEA, dell’ENEL e del Centro de Estudios Cientificos (CECS) di Valdivia in Cile e con il patrocinio del Comitato Glaciologico Italiano (CGI), del Governo del Cile e dell’Istituto Antartico Cileno (INACH).
(Fonte: sito ENEA)


CAMBIAMENTI CLIMATICI: GLI IMPATTI CONVENGONO AL NORD EUROPA NEL 40% DEI CASI, MENTRE
IL MEDITERRANEO E' IN PRIMA LINEA


Più caldo? Quattro settori produttivi o ambientali su 10 migliorano nel Nord Europa, otto e mezzo peggiorano nel Mediterraneo. Nel vecchio continente il cambiamento climatico non è uguale per tutti: a fare maggiormente le spese del caldo che avanza e dei fenomeni meteorologici estremi sarà il Sud. I paesi del Nord - Gran Bretagna o Scandinavia - per un periodo abbastanza lungo, potrebbero addirittura trarre dei benefici economici dall’effetto serra, in settori chiave come l’agricoltura, la forestazione, il turismo. Secondo i rapporti internazionali (ONU e Unione Europea), rielaborati dal Ministero per l’Ambiente in vista della Conferenza Nazionale sul Clima, il cambiamento climatico porterà a un miglioramento di quasi il 40% degli indicatori degli impatti sociali e ambientali nel Nord Europa, mentre a peggiorare nel Mediterraneo sono l’85% dei dati.
Tutti, insomma, avranno da perdere, dall’aggravamento dell’effetto serra, ma paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia saranno maggiormente danneggiati nelle loro economie, oltre che nei loro ecosistemi, dall’innalzarsi della colonnina di mercurio.
Nella partita doppia dei danni/benefici attesi, il Nord Europa ha infatti ben 17 motivi per dire di sì ai cambiamenti climatici sui 44 indicatori socio-ambientali individuati, mentre il Mediterraneo vede un miglioramento in soli 6 campi sul totale di 42. E certo non in settori particolarmente significativi.
Secondo le previsioni dei ricercatori nei paesi meridionali del continente aumenteranno gli areali di diffusione di rettili e anfibi, diminuirà la domanda di energia in inverno e, come dovunque in Europa, si ridurranno le ondate di freddo. Inoltre, i cambiamenti del clima indurranno (o costringeranno) le autorità competenti ad un miglioramento della gestione integrata della fascia costiera (minacciata dall’innalzamento del livello del mare) e dei laghi costieri che aumenteranno le loro dimensioni.
Sui 42 indicatori presi in considerazione per il Mediterraneo sono ben 34 quelli che indicano un peggioramento della situazione ambientale ed economica. A cadere verticalmente, nei nostri paesi, saranno la disponibilità di acqua, la durata della copertura nevosa, il turismo estivo oltre a quello invernale, l’area fertile per l’agricoltura, i raccolti estivi e invernali, l’estensione delle spiagge sabbiose. Aumenteranno la domanda di energia estiva, le ondate di caldo, le possibilità di contrarre malattie legate all’acqua o alla diffusione di insetti dannosi, lo stress idrico. Situazione molto diversa per il Nord Europa, che vedrà migliorare le condizioni dell’agricoltura, del turismo, la bilancia energetica durante i mesi invernali. Ma che sarà martoriato da alluvioni (lo abbiamo visto nelle settimane passate), da tempeste e maggiore innalzamento degli oceani.
Secondo quanto riportato dall’Ipcc, il gruppo di scienziati che per l’Onu ha elaborato le stime per il cambiamento climatico, il clima in Europa continuerà a cambiare nel corso del 21° secolo, ma non in maniera uniforme tra regioni. Tutto il continente si riscalda di una media di 0,1-0,4 gradi per decennio, ma le precipitazioni durante il Novecento sono aumentate a nord del 10-40% e diminuite a sud di oltre il 20% e questo trend è destinato a rimanere sostanzialmente stabile. Gli scenari indicano che il riscaldamento avrà luogo soprattutto in inverno nel nord e soprattutto in estate nel Mediterraneo. Le precipitazioni invernali aumenteranno nel nord e diminuiranno nel sud, ma a calare vertiginosamente nelle regioni meridionali del continente saranno soprattutto le precipitazioni totali annue. La disponibilità di acqua nel Mediterraneo in estate potrebbe ridursi dell’80%, le necessità di irrigazione cresceranno per l’agricoltura mediterranea, mentre nel nord rimarranno stabili o diminuiranno. Scenderà nel sud l’affidabilità dell’energia idroelettrica.
A nord il clima più caldo e la maggiore quantità di anidride carbonica in circolo nell’atmosfera faranno aumentare la produttività agricola, mentre nel Mediterraneo e nei Balcani diminuirà. Le aree adatte alla coltivazione del mais potrebbero aumentare del 30-50% in Irlanda, Scozia, Svezia meridionale e Finlandia, mentre la stessa pianta avrà sempre maggiori difficoltà a crescere nell’area mediterranea, così come i girasoli e la soia. Le foreste guadagneranno terreno nei paesi settentrionali e si ritireranno nel meridione. Se vorrà sopravvivere, gran parte del turismo mediterraneo dovrà adattarsi ad un cambiamento di stagione, spostarsi verso la primavera e l’autunno, e comunque le alte temperature porteranno ad una migrazione verso nord dei flussi turistici. Vede generalmente nero l’industria europea dello sci, vista la mancanza di copertura nevosa che si prevede soprattutto per l’inizio e la fine della stagione: sulle Alpi orientali ci saranno quattro settimane di neve in meno in inverno e sei in estate, per ogni grado di aumento della temperatura. Nelle montagne tra Lombardia e Svizzera si calcolano 50 giorni in meno con 2 gradi in più di temperatura e a precipitazioni inalterate. Nel 2050, la domanda di riscaldamento potrebbe ridursi del 5-10% in Gran Bretagna, e quella di elettricità dell’1-3%, con 2 gradi di temperatura in più, e per il 2100 si calcola un risparmio di almeno 20-30%. Nel Mediterraneo, a fronte di un risparmio di riscaldamento per 2-3 settimane, si prevede una crescita per il raffreddamento degli edifici di 2-5 settimane: già nel 2030 le necessità di energia elettrica per i condizionatori potrebbero innalzarsi di quasi il 30%.
Per contro, ad aumentare nel Nord saranno i fenomeni che già vediamo in atto: alluvioni invernali, intensità delle tempeste atlantiche. A perderci, o comunque a doversi adeguare a scenari in drammatico cambiamento sarà il sistema assicurativo, che oggi copre questo genere di catastrofi ma non la siccità, di nuovo penalizzando il sud del continente. (Fonte: sito internet Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici 2007)


CALAMARI GIGANTI INVADONO ACQUE DELLA CALIFORNIA

I calamari giganti, come quelli descritti dai film catastrofici, stanno invadendo le acque della California. Lo conferma uno studio apparso sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science, secondo cui questi predatori, una volta solo tropicali, stanno sfruttando i cambiamenti climatici per ampliare il loro raggio d’azione. I ricercatori del californiano Monterey Bay Aquarium Research Institute hanno studiato con un veicolo sottomarino la fauna delle acque del golfo della California per 16 anni, osservando una sempre maggiore presenza dei calamari (Dosidicus gigas) a partire dal 1997, e una parallela drastica diminuzione del luccio, il principale abitante della zona e uno dei ‘piatti preferiti’ dei calamari. “Le principali ragioni per l’invasione sono i cambiamenti climatici, uniti alla diminuzione dei predatori - ha spiegato Bruce Robinson, che ha coordinato lo studio - alcuni degli esemplari osservati hanno raggiunto i 50 chilogrammi di peso e i due metri di lunghezza. Questi animali mangiano tutto quello che trovano sulla loro strada, e a quanto pare sono più bravi degli altri a adattarsi alle nuove condizioni”. I principali predatori dei calamari, tonni e squali, sono in rapida diminuzione nell’area, sia per effetto della pesca che del riscaldamento delle acque. In assenza dell’anello superiore della catena alimentare, i ‘diavoli rossi’, come vengono chiamati dai pescatori messicani, hanno invaso il territorio, aiutati anche dalla corrente ‘El Nino’ che ha riscaldato le acque della California. Avvistamenti di questi animali sono stati fatti comunque lungo tutto il Pacifico fino in Alaska, una prova della loro grande capacità di adattamento. (Fonte: ANSA)


» RINNOVABILI //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


FOTOVOLTAICO, NUOVI PANNELLI SARANNO 'ROSA'

In futuro l’energia ‘verde’ potrebbe cambiare colore e nella realtà diventare ‘rosa’. Lo sostengono i ricercatori dell’Ohio State University che hanno sviluppato un nuovo tipo di pannello fotovoltaico che utilizza ossidi di questo colore. Secondo lo studio pubblicato dal Journal of the American Chemical Society, pannelli ottenuti con ossidi di rutenio, che sono rossi, e di zinco, che invece sono bianchi, permettono di produrre energia elettrica ad un quarto del costo di quelli al silicio. “Per il momento l’efficienza corrisponde alla metà di quelli tradizionali - spiega Yiying Wu, che ha condotto lo studio - ma stiamo lavorando per renderla comparabile agli altri”. Quella che utilizza composti di metalli è una metodologia nuova per la produzione di celle fotovoltaiche. Un altro elemento recentemente impiegato dai ricercatori americani è un ossido misto di zinco e stagno, che sta dando buoni risultati. “I pannelli tradizionali appaiono blu perché hanno una copertura antiriflesso - spiega ancora il ricercatore - questa però assorbe la luce verde, che è quella più forte nello spettro del sole. Con questi nuovi materiali invece non serve la copertura”. I pannelli descritti da Wu contengono nanoparticelle di ossidi, e la loro efficienza varia dal 4 al 9%. L’obiettivo è di raggiungere il 15%, quella dei pannelli al silicio, con una diversa combinazione di metalli e riducendo la dimensione delle nanoparticelle. (Fonte: ANSA)



BIOENERGIA E AGROINDUSTRIA, NASCE L'ASSOCIAZIONE SCIENTIFICA DELLE COLTURE NON FOOD

Proprio in questi giorni in cui il dibattito sui biocarburanti e le bioenergie si fa più incandescente, arriva la notizia che è stata fondata a Roma la Società italiana di bioenergia e agroindustria (Siba). Un’associazione scientifica senza scopo di lucro che riconosce come obiettivo principale quello di riunire i ricercatori interessati allo studio delle colture food e non-food le cui produzioni sono destinate all’industria per la produzione di energia rinnovabile e/o di prodotti alimentari e non ad alto valore aggiunto. Come è noto, nel settore non-food, l’azienda agraria è considerata la fonte di materie prime rinnovabili per la produzione di energia elettrica e termica, amido, fibra e cellulosa, lubrificanti e carburanti. Nel settore food, il consumo dei prodotti trasformati dall’industria tende ad aumentare: oltre al prodotto fresco (I gamma), a quello conservato in scatola (II gamma) ed a quello surgelato (III gamma), sono entrati nel mercato i prodotti della cosiddetta IV gamma (ortaggi lavorati, tagliati e confezionati, pronti per l’uso) e della V e VI gamma (prodotti precotti e grillati).
Si tratta – spiegano i fondatori in una nota - di comparti piuttosto complessi e fortemente interdisciplinari accomunati da una stessa prerogativa: organizzazione della produzione in filiera. Questa comprende una pluralità di soggetti che rivestono un diverso ruolo e sono impegnati in varie attività: ottenimento in campo della materia prima; raccolta, pre-trattamento e stoccaggio; tecnologie di processing e di conversione in derivati industriali; grande distribuzione organizzata; retailing; consumo. Ciascun segmento della filiera presenta peculiarità proprie e sollecita interventi specifici di ricerca e sperimentazione. Probabilmente – aggiungono - proprio tale complessità e marcata diversificazione hanno impedito sino ad oggi l’aggregazione di competenze scientifiche di così vasta e diversa estrazione. D’altra parte, è altrettanto vero che tali competenze devono sempre più dialogare e comprendersi, anche per il crescente interesse del comparto e la maggiore attenzione alle tematiche ambientali. Peraltro, i risultati ottenuti dalla ricerca e dalla sperimentazione devono essere portati prontamente all’attenzione degli operatori (utenti della ricerca) per essere calati nella realtà operativa. Tale concetto, ovvio e di validità generale, è particolarmente pertinente al settore agro-industriale, nel quale scelte sbagliate in un segmento della filiera possono avere conseguente negative sia a valle che a monte della catena.  La Siba – concludono - si pone, quindi, come punto di raccordo fra queste varie discipline, per promuoverne le opportune sinergie, creando momenti di incontro e discussione. Infatti, la Società si impegna ad organizzare un convegno scientifico, a cadenza annuale o biennale, e gestirà una pagina web per le interazioni fra i soci e con le altre società scientifiche; il sito conterrà, inoltre, informazioni relative alla vita della società, agli iscritti, ai convegni, meeting, corsi e workshop che riguardano le aree di pertinenza delle bioenergie e dell’agroindustria. E il primo convegno si terrà a Salerno dal 22 al 24 ottobre. Inoltre, la società si avvarrà di ‘Agroindustria’, che diventerà la sua rivista ufficiale e rappresenta la sede primaria di pubblicazione dei risultati scientifici e degli Atti dei convegni. I soci fondatori sono: Paolo Ranalli, Amedeo Alpi, Gianpietro Venturi, Luigi Frusciante, Ferruccio Pittaluga, David Chiaramonti (del Crear dell’Università di Firenze), Leonetto Conti, Federico Magnani. (Fonte: greenreport)



PRODUZIONE BIOGAS, ITALIA TERZO PAESE DELL'UNIONE EUROPEA

L’Italia è il terzo Paese europeo per la produzione di energia primaria prodotta a partire dal biogas. Le stime arrivano da EurObserv’ER, l’Osservatorio delle energie rinnovabili, sul Barometro biogas 2007, che valuta la produzione del 2006 in 353,8 TEP (migliaia di tonnellate equivalenti al petrolio) costituite quasi essenzialmente dal biogas prodotto dalle discariche (310,8). Minimo è stato l’apporto delle stazioni di depurazione urbane e industriali con 0,9 TEP, mentre la categoria ‘altri biogas’, comprensiva, nel barometro biogas 2007, delle unità decentralizzate di biogas agricolo, delle unità di metanizzazione di rifiuti municipali solidi e di unità centralizzate di codigestione, ha prodotto 42,1 TEP. Globalmente in Italia il settore ha fatto solo un modestissimo passo avanti rispetto all’anno precedente passando da 343,5 a 353,8 TEP, con un aumento percentuale inferiore allo 0,3%. La performance del nostro Paese accusa così un notevole ritardo rispetto alla crescita registrata nell’Unione Europea dove, mediamente, la produzione di energia primaria da biogas è salita del 13,6%. La Germania è il Paese europeo con la maggior produzione: l’anno scorso si sono sfiorati i 2.000 TEP e più precisamente, secondo le stime del Barometro biogas 2007, 1.923,2 TEP. A differenza di quanto avviene in Italia il contributo del biogas proviene dai diversi settori anche se la voce ‘altri biogas’ rappresenta quasi la metà del quantitativo globale tedesco. Le discariche hanno fornito 573,2 TEP, le stazioni di depurazione 369 TEP e gli altri biogas 980 TEP. Secondo quanto recitano le cifre la Germania, con un aumento percentuale di oltre il 20% dal 2005 al 2006, punta decisamente sull’uso dei biogas. Meno brillante appare lo sviluppo del mercato britannico che, al primo posto nel 2005 con 1.600 TEP, ha incrementato di soli 96 TEP la propria produzione nel 2006 cedendo lo scettro di prima della classe alla Germania. La produzione britannica proviene per circa il 90% dalle discariche. Il resto è prodotto dalle stazioni di depurazioni mentre gli ‘altri biogas’ non producono neppure un TEP di energia primaria. Nel 2006 i biogas hanno permesso di produrre energia primaria pari a 5.346,7 TEP a fronte dei 4.707,6 del 2005. Le discariche continuano a restare la principale fonte di produzione di biogas con 2.946,2 TEP nel 2005 e 3.116,2 TEP nel 2006, ma si nota un notevole incremento nel settore degli ‘altri biogas’, che hanno fatto registrare un’impennata di oltre il 40% passando da 859,8 nel 2005 a 1.281,1 TEP nel 2006. (Fonte: ANSA)




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MOBILITA' SOSTENIBILE ///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


ROMA SCOMMETTE SULLE BICICLETTE (ELETTRICHE E NON)

Il Comune ha lanciato una nuova campagna di impulso alla mobilità sostenibile favorendo l’uso degli eco-incentivi del ministero dell’ambiente. Lo ha fatto grazie all’intesa stipulata dall’assessorato capitolino all’ambiente e l’Ancma (l’associazione nazionale dei rivenditori di cicli e motocicli). Con questo accordo, già noto, chi rottama un vecchio motorino ‘euro 0’ (immatricolazione prima del 2001) può acquistare una bici elettrica con lo sconto fino a 700 euro, oppure una normale bicicletta con sconto fino a 250 euro (fino a un massimo del 30% dell’importo). Il Comune intende soprattutto rilanciare la campagna del ministero sperando così di dare un’accelerata decisiva alla rottamazione dei motorini in vista della scadenza del 1° novembre 2007, quando il divieto di circolazione per i vecchi mezzi a due ruote inquinanti all’interno dell’Anello ferroviario sarà esteso anche ai residenti in quest’area, mentre ancora oggi riguarda solo chi risiede oltre l’Anello e transita al suo interno.
Al di là di questo, comunque, le ragioni per approfittare degli sconti, magari pensando ad una bicicletta, sono più che valide: un vecchio ‘cinquantino’ a due tempi scarica nell’atmosfera emissioni  pari a quelle di 63 auto non catalitiche a benzina. E la bicicletta è un ottimo mezzo di spostamento in città sulle brevi e medie distanze. Il Comune spinge molto anche per le bici elettriche a pedalata assistita che, sottolinea in una nota “grazie al motore che fa il grosso del lavoro, sono ideali per abbinare comodità di viaggio e moderato esercizio fisico quotidiano”. Osserviamo però che la bici elettrica ha comunque bisogno di essere spesso ricaricata e questo significa spostare l’inquinamento (anche se probabilmente minore rispetto a quello di un motorino) da un’altra parte. Per produrre energia, infatti, si utilizzano quasi esclusivamente fonti fossili. L’optimum quindi sarebbe quello che l’energia prodotta per caricare le bici fosse generata da fonti rinnovabili, ma al momento queste sono molto limitate. Riteniamo quindi esser molto più ecologico usare una bici ‘normale’ oppure, se proprio del motorino non se ne può fare a meno, prenderne uno che consuma il meno possibile e a quattro tempi. La bici, però, è l’unica a non avere controindicazioni e non serve solo per lo svago domenicale: è un vero mezzo di trasporto che sostituisce egregiamente l’automobile, fa risparmiare soldi e fa bene alla salute, alla propria e a quella di tutti. Con l’iniziativa Comune-Ancma, poi, al vantaggio economico si aggiunge la praticità: sono i negozianti stessi che pensano alla rottamazione del motorino, basta portarglielo. Finora sono circa 50 i rivenditori che si sono offerti di partecipare alla campagna, dieci quelli che già praticano gli sconti e la rottamazione.  (Fonte: greenreport)


     A cura di Fabio Bruno

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