» CAMBIAMENTI CLIMATICI /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
G8 E IL CLIMA - ACCORDO TRA I GRANDI PER DIMEZZARE LE EMISSIONI DI GAS SERRA
I Paesi del G8, nella dichiarazione del 7 Giugno 2007 “Growth and responsabilità in the world economy”, hanno affermato di impegnarsi in una “riduzione sostanziale” delle emissioni globali di gas serra, basandosi sui risultati degli ultimi rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change) e sulle decisioni dell’Unione Europea, Giappone e Canada di dimezzare almeno le emissioni globali entro il 2050, coinvolgendo tutti i maggiori emettitori incluse le principali economie emergenti. Questo viene considerato un passo avanti nella protezione del clima, anche se gli accordi presi non sono vincolanti. L’UNFCC (United Nations Framwork Convention of Climate Change) viene riconosciuta dal G8 come il quadro in cui vanno intraprese le azioni in questo senso. I grandi del G8 hanno richiamato il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” ed hanno sottolineano che i provvedimenti devono essere presi inizialmente dai paesi industrializzati, ma, anche, che è necessaria la partecipazione di ogni singola nazione, in particolar modo i Paesi ad maggior crescita economica. Questi ultimi sono invitati a ridurre l’intensità di carbonio (carbon intensity) del proprio sviluppo economico. L’accordo raggiunto prevede la partecipazione in maniera costruttiva dei Paesi del G8 alla Conferenza, organizzata dalla UNFCCC, che si svolgerà in Indonesia a Dicembre 2007. L’obiettivo di questa riunione è quello di raggiungere un accordo esaustivo post-Kyoto/post-2012, che coinvolga i maggiori produttori di gas serra. E’ di fondamentale importanza, continua la dichiarazione, che questi ultimi si accordino entro la fine del 2008 su un contributo dettagliato per un nuovo quadro globale, che favorirebbe un accordo globale sotto la UNFCCC nel 2009.
I dettagli, su come questi obiettivi debbano essere raggiunti, verranno negoziati dai ministri dell’ambiente della UNFCCC. E’ stata accettata la proposta degli Stati Uniti, di organizzare nel loro paese, un incontro tra i maggiori Paesi emettitori alla fine di questo anno per facilitare il dialogo ed il lavoro su strategie di lungo termine con le grandi economie emergenti, tra cui ricordiamo: il Brasile, la Cina, l’India, il Messico ed il Sud Africa. Questo processo deve comprendere, tra le altre cose, obiettivi e piani, in linea con le circostanze nazionali, un ambizioso programma di lavoro nell’ambito della UNFCCC e lo sviluppo e l’uso di tecnologie compatibili con il clima. I Grandi 8 affermano poi: l’importanza strategica della tecnologia nella lotta ai cambiamenti climatici e per migliorare la sicurezza energetica; il loro impegno contro la deforestazione, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, incoraggiando anche lo sviluppo e l’attuazione di una “Forest carbon partnership” in supporto del lavoro dell’ONU; l’importanza dell’adattamento, oltre che della mitigazione, ai cambiamenti climatici, e del “Nairobi Work Programme on impacts, vulnerability, and adaptation to climate change” della UNFCC; l’importanza della biodiversità.
Alcune posizioni durante la discussione – L’Unione Europea voleva fissare un obiettivo vincolante: la riduzione delle emissioni di gas serra del 50% rispetto ai valori del 1990 al 2050, per evitare il superamento di 2°C rispetto alle temperature del 1990. La posizione degli Stati Uniti è stata di non fissare obiettivi vincolanti. Il Giappone ha tenuto una posizione intermedia, concordando in termini generali sull’obiettivo dell’Ue, ma proponendolo un accordo con obiettivi non vincolanti. Il Canada ha seguito la linea degli Usa su impegni di riduzione non vincolanti. L’Unione Europea, prima del vertice, si era incontrata separatamente con il Giappone ed il Canada. Nelle dichiarazioni congiunte rilasciate al termine dei due vertici Ue - Giappone (5 giugno) e Ue- Canada (4 giugno), i leader esprimevano, tra le altre cose, il loro accordo sulla necessità di stabilire un obiettivo di lungo termine di riduzione delle emissioni globali di gas serra di almeno il 50% al 2050. Da Pechino è arrivata la posizione della Cina sui cambiamenti climatici. L’ex Impero Celeste si è detto pronto ad affrontare la sfida, ma resta convinto del fatto che la responsabilità principale spetti alle nazioni più ricche. A quanto si afferma nel primo Piano ad hoc elaborato dal governo, però, la Cina non sacrificherà il suo sviluppo economico alle pressioni internazionali. Tra gli obiettivi delineati da Pechino, l'aumento dell'efficienza energetica del 20% entro il 2010, l'incremento, dal 7 al 10%, della quota delle fonti rinnovabili sulla produzione totale di energia, lo sviluppo di nuove varietà di colture agricole in grado di sopportare lunghi periodi di siccità, l'espansione della superficie boschiva.
Alcune reazioni politiche dopo la dichiarazione finale – Angela Markel, il cancelliere tedesco, che ha condotto il vertice, è rimasta, comunque, soddisfatta, perché ritiene un successo il fatto che tutti i partecipanti abbiano accettato i risultati dell’IPCC e che sono pronti ad impegnarsi seriamente nella lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il Segretario Esecutivo UNFCCC Yvo de Boer, la dichiarazione del G8 rafforza il processo multilaterale sui cambiamenti climatici nell’ambito della UNFCCC e ha aperto la strada per le negoziazioni a Bali. (Fonte: e-gazette)
WORKSHOP SU " CAMBIAMENTI CLIMATICI E I PROCESSI DESERTIFICAZIONE"
Tra le prime vittime dell’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi ricordiamo il suolo, sottoposto all’incremento delle temperature ed alla scarsità idrica: è la desertificazione. Questo problema, ormai, colpisce un terzo del territorio italiano, ed è destinato ad espandersi oltre le regioni del Meridione, attualmente le più colpite. Infatti, oggi, la Sardegna, la Sicilia, la Calabria, la Basilicata e la Puglia sono le regioni, che rischiano maggiormente la desertificazione. Il processo di desertificazione potrebbe coinvolgere, in un prossimo futuro, aree importanti della Pianura Padana, a causa dell’impatto dell’agricoltura usa e getta; la Liguria percorsa dagli incendi; il Piemonte colpito da episodi prolungati di siccità. La perdita di suolo fertile è dovuta, anche, dal sovra sfruttamento delle risorse idriche: la Liguria e la Valle d’Aosta sono le regioni dove è maggior l’impiego dell’acqua in modo incontrollato o la si rende indisponibile, insieme all’Abruzzo, al Lazio, alla Puglia, alla Calabria e alla Basilicata. Le regioni più virtuose nello sfruttamento della risorsa idrica sono: Umbria, Campania ed Emilia Romagna. Questa la situazione dell’Italia “a rischio desertificazione”, fotografata dai lavori del primo workshop preparatorio della Conferenza Nazionale sul Clima “Le variazioni climatiche e i processi di desertificazione: verso i piani di monitoraggio e strategie di riduzione della vulnerabilità e di adattamento”, svoltosi ad Alghero il 21 e 22 giugno presso il Chiostro di San Francesco. Ad organizzarlo, il Ministero dell’Ambiente, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici (APAT) e l’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Sardegna (ARPA). Ai lavori, aperti dal sottosegretario all’Ambiente Bruno Dettori, hanno partecipato: l’Assessore regionale all’Ambiente, Cicito Morittu, il direttore generale dell’ARPA Sardegna, Carla Testa, il Commissario Straordinario dell’APAT, Giancarlo Viglione, il coordinatore della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici, Vincenzo Ferrara, ed il consulente della Convenzione ONU per la lotta alla desertificazione, Valerio Calzolaio.
Il Sottosegretario Dettori ha chiesto “un impegno comune di tutti gli Stati per affrontare questi problemi, adottando misure strategiche che riducano l’impatto dei cambiamenti climatici”. L’esponente del governo ha ricordato che per questo, in occasione del 17 giugno, giornata mondiale della desertificazione, l’esecutivo ha rivolto un appello a tutte le Istituzioni. “I risultati sono positivi- ha commentato-e incoraggiano a continuare nella stessa direzione”.
E’ necessario affrontare i cambiamenti climatici, che sono in continua crescita, e determinano rischi di desertificazione, ormai sempre più evidenti. Questi, oltre a provocare la perdita della produttività biologica dei suoli e quindi anche della biodiversità, generano mutamenti negativi nelle opportunità di sviluppo delle diverse regioni italiane in termini di iniziative economiche nell’agricoltura, nel turismo nell’occupazione e nella distribuzione della ricchezza.
Tra desertificazione e cambiamenti climatici esiste una relazione strettissima, che genera effetti a “doppio senso”: l’aumento della temperatura e la scarsità idrica sono conseguenze dei cambiamenti climatici, mentre la desertificazione agisce sui mutamenti climatici provocando la riduzione dei suoli fertili e della vegetazione, limitandone le capacità naturali di assorbimento della CO2.
“Per questo- ha sottolineato nel suo intervento il Commissario Straordinario dell’APAT, Giancarlo Viglione- bisogna iniziare a pensare a cosa accadrà tra 50 anni, quando il livello del mare cambierà, i ghiacciai tenderanno a sciogliersi e la desertificazione sarà un dato di fatto. Si parla di un futuro molto vicino-ha proseguito- per cui i workshop non potranno essere solo conversazione, ma dovranno porre le basi per nuove strategie governative. Anche la scelta di fare la Conferenza nazionale a settembre non è casuale, ma mira a far entrare in Finanziaria azioni concrete per i cambiamenti climatici, mentre la scelta della Sardegna per il primo workshop induce a sperare che il Sud modifichi l’approccio verso l’ambiente”.
La Conferenza nazionale sul clima concentrerà i suoi lavori sulla strategia di adattamento. La scelta del Ministero dell’Ambiente di avvalersi del sistema delle agenzie ambientali è stata fatta proprio per sottolineare l’importanza di far fronte comune nel risolvere il problema della desertificazione. E’ fondamentale, inoltre, trovare soluzioni ed agire verso i paesi più a rischio del processo di desertificazione, che sono tradizionalmente i più poveri.
L’acqua è stata da poco dichiarata un bene comune e un diritto umano di cui garantire l’accesso, ma occorrono azioni concrete che determinano scelte quotidiane coerenti e un uso più razionale delle risorse.
Le regioni italiane più vulnerabili alla desertificazione sono: la Sardegna, la Sicilia, la Calabria, la Basilicata e la Puglia ai causa dei fenomeni di salinizzazione, erosione, acidificazione e perdita del territorio. Una percentuale, che varia tra il 15% e il 35% del territorio di ciascuna Regione, registra fenomeni locali sempre più estremi ed irreversibili e, soprattutto, in continuo peggioramento. In altre Regioni, a causa dei recenti fenomeni di scarsità idrica, sono presenti situazioni nuove ed aree vulnerabili.
Le principali conseguenze del fenomeno della desertificazione sono: riduzione dei raccolti nelle aree più calde, incremento degli insetti dannosi, aumento del rischio di incendi nelle aree affette da siccità.
“Anche se si eliminassero istantaneamente tutte le emissioni- ha spiegato il coordinatore della Conferenza nazionale sui Cambiamenti Climatici 2007, Vincenzo Ferrara- gli effetti dei cambiamenti climatici andrebbero avanti per almeno 70 anni, finché la Terra non troverebbe un equilibrio basato su un nuovo livello energetico. Serve quindi una strategia di adattamento, perché i processi già in atto, dal rischio idrogeologico fino all’erosione delle coste, evidenziano la necessità di razionalizzare le risorse naturali”.
Oggi la siccità, insieme alla maggior frequenza di alluvioni, influenza negativamente le produzioni agricole, con effetti drammatici specialmente nell’agricoltura di sussistenza. Se si considera, inoltre, che l’impatto della siccità sulla disponibilità ambientale delle risorse agricole si manifesta su scale di tempo estremamente differenti, ma tutte alquanto brevi, risulta immediatamente chiaro il bisogno di adottare, da subito, misure di prevenzione; bastano infatti solo 3 mesi di siccità per incidere sull’umidità dei suoli (siccità meteorologica), dai 3 ai 6 mesi per influenzare negativamente la produttività delle colture (siccità agronomica) e dai 6 ai 12 mesi per determinare una riduzione del livello delle falde acquifere e fluviali (siccità idrologica).
Inoltre, uno studio del CNR-ISAC di Bologna relativo ai cambiamenti climatici in atto in Italia, segnala una crescita delle temperature medie annuali- negli ultimi due secoli- di 1,7 °C (pari ad oltre 0,8 °C per secolo), con un aumento di 1,4 °C (pari a 2,8 °C per secolo) solo negli ultimi 50 anni, circa il doppio rispetto a quello medio del pianeta.
I valori relativi alle escursioni termiche giornaliere, nonché alla durata e all’intensità delle ondate di calore estivo, non accennano a diminuire (il 2003 è stato il più caldo mai registrato in questi ultimi 200 anni).
In questo quadro è scontata l’importanza di ridurre al minimo le conseguenze di origine antropica, in particolare il sovra sfruttamento delle risorse idriche. L’uso indiscriminato della risorsa acqua, provocato sia da prelievi eccessivi che dall’inquinamento di diversa origine (urbano- agricolo- industriale), comporta riduzioni significative delle acque sotterranee di cui l’Italia è ricca. Si può tranquillamente affermare che nell’ultimo decennio la quantità di acqua prelevata da corpi idrici superficiali si è raddoppiata. Valle d’Aosta e Liguria sono le punte estreme dello sfruttamento idrico insieme all’Abruzzo, Lazio, Puglia, Calabria e Basilicata. Umbria, Campania e Emilia Romagna rappresentano invece le punte minime di prelievo di acqua imputabili, con ogni probabilità, a fattori climatici ma anche all’utilizzo di pratiche agricole a minor impatto.
Per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici devono essere realizzati piani, programmi e procedure di adattamento, nonché pratiche di gestione del rischio idrico. (Fonte: comunicato stampa del convegno sulla desertificazione)
A WASHINGTON UN MEETING ITALIA - USA SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI
La riunione annuale del gruppo di esperti, impegnato all’interno del programma di cooperazione scientifica e tecnologica Italia-Usa sui cambiamenti climatici, si è svolta a Washington nello scorso giugno. Il programma è stato attivato nel 2002, in seguito alla dichiarazione congiunta del 19 luglio 2001 che impegnava i due Paesi a sviluppare programmi comuni di ricerca sui cambiamenti climatici e sulle tecnologie innovative a "basso contenuto di carbonio".
Numerose le attività previste: modellistica climatica - Progetto COLUMBUS, per la valutazione della variabilità interannuale e regionale del clima e per lo studio dell'effetto degli aerosol di origine antropica (inquinamento atmosferico) sul clima globale e regionale; ciclo del carbonio, per la valutazione del ruolo degli oceani e delle foreste nei cambiamenti climatici; impatti dei cambiamenti climatici sui climi mediterranei e sulle regioni dell'emisfero nord; impatti dei cambiamenti climatici sulla salute; tecnologie a basse emissioni di carbonio; fonti rinnovabili di nuova generazione; cattura e sequestro del carbonio; tecnologie dell'idrogeno e delle celle a combustibile.
Per la parte Usa, coordinata da Harlan Watson, responsabile per i Global Affairs del Dipartimento di Stato, hanno partecipato al programma la National Science Foundation, la Environmental Protection Agency, la National Ocean Atmosphere Agency, il Department of Energy, il Goddard Space Institute. Per la parte italiana, coordinata da Corrado Clini, direttore generale per la Ricerca Ambientale e lo Sviluppo del Ministero dell'Ambiente, hanno partecipato il Centro EuroMediterraneo sui Cambiamenti Climatici, gli Istituti Scientifici Nazionali di Ricerca (Cnr, Enea, Ingv), il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, la Fondazione Eni Enrico Mattei, le Università di Milano, Roma, Bologna, Firenze, Torino, Pisa, Tuscia, le Imprese italiane Ansaldo, Enel, Eni, Fiat-Centro Ricerche, Ausimont - Solvay, Pirelli, Nuvera.
Un ulteriore programma stato avviato con l'Università di Harvard per la ricerca e la formazione di esperti italiani, e dei paesi in via di sviluppo, sui temi dello sviluppo sostenibile.
La riunione di Washington, svoltasi immediatamente dopo il vertice G8, ha favorito la ripresa del dialogo tra Unione Europea e USA sui cambiamenti climatici nella prospettiva di un impegno globale per la riduzione delle emissioni dei gas serra. (Fonte: e-gazette)
SICUREZZA A RISCHIO SUL CLIMA
Un rapporto, destinato ai ministri tedeschi ed anche a tutti i politici, spiega cosa può accadere se non si affrontano i cambiamenti climatici, in relazione alla sicurezza socio-politica di molte aree del mondo. Questo rapporto è stato pubblicato dal German Advisory Council on Global Change (WBGU) con l'obiettivo di indirizzarlo ai Ministri tedeschi, ma anche a tutti i decision makers a livello internazionale. Il documento ("Climate Change as a Security Risk") sottolinea che, senza un’azione decisa all’attenuazione del riscaldamento globale, verrà superata la capacità delle società di adattarvisi. La non azione causerebbe, in alcune regioni del Mondo, processi di destabilizzazione interna, crisi politiche, fino al fallimento dello Stato, generando vari tipi di conflitti nazionali e mettendo sotto pressione la comunità internazionale.
Le classiche politiche di sicurezza non sono in grado di affrontare in maniera adeguata queste nuove minacce. Questo comporta che le politiche climatiche e le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici devono diventare gli strumenti chiave di una politica di sicurezza preventiva. (Fonte: IPCC Focal Point Nazionale)
» RINNOVABILI //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
COME INVESTO IN ENERGIE RINNOVABILI
L’UNEP (United Nations Environment Programme) ha realizzato un rapporto in cui è stata eseguita l’analisi sullo stato attuale dello sviluppo e degli investimenti a livello globale nell’energia sostenibile, incluse le energie rinnovabili e l’efficienza energetica.
In questo rapporto (Global Trends in Sustainable Energy Investment 2007 - Analysis of Trends and Issues in the Financing of Renewable Energy and Energy Efficiency in OECD and Developing Countries), è evidenziato che gli investimenti, nei settori analizzati, stanno aumentando velocemente, in risposta a varie sfide e preoccupazioni a livello globale, come i cambiamenti climatici, l’aumento della domanda energetica e la sicurezza energetica.
Le transizioni finanziarie delle industrie operanti nelle tecnologie rinnovabili e nell’efficienza energetica, durante il 2006, hanno superato la cifra record di 100 miliardi di dollari. La maggior parte, circa 70,9 miliardi di $, è stata utilizzata per nuovi investimenti, con un incremento del 43% rispetto al 2005 e del 158%, se il calcolo viene fatto in riferimento al 2004. In base ai dati del primo trimestre, secondo il rapporto, il trend verrà confermato anche nel 2007. Le nuove energie rinnovabili hanno contribuito solo per il 2% alla produzione mondiale di energia, in compenso, nel 2006, sono riuscite ad attrarre circa il 18% degli investimenti del settore energetico, con l’eolico in testa seguito dal solare e dai biocombustibili. I capitali provengono principalmente da fondi di investimento internazionali e dalle borse, segno che questo settore viene considerato maturo e, ormai, alla stessa stregua degli altri settori industriali.
Il rapporto mostra che l’Europa e gli Stati Uniti investono insieme il 70% del totale. La Cina viene considerata, dagli estensori del rapporto, la nazione in maggiore espansione: oggi detiene una quota del 9% sul totale globale degli investimenti. Il contributo dei rimanenti Paesi in via di Sviluppo è pari al 21%. Le informazioni, contenute nel rapporto, sono uno strumento strategico per capire la situazione attuale dello sviluppo dei settori energetici sostenibili e per pesare l’impegno futuro in questi settori degli operatori pubblici e privati. (Fonte: Qualenergia)
NUOVE FRONTIERE DEL SOLARE
Gerhard Knies del TERC (Cooperazione Transmediterranea sulle Energie Rinnovabili) ha presentato uno studio, in cui è riportato, che il deserto è in grado di fornire l’energia per l’intera popolazione mondiale. Infatti, in 5,7 ore il deserto riceve tanta energia dal sole quanta ne è necessaria in un anno a livello mondiale, mentre il numero di giorni sufficienti ad uguagliare l’energia prodotta dalle fonti fossili è 47. Per ottenere una reale svolta in campo energetico si deve solamente occupare una minima parte del deserto sahariano, circa 160 kmq pari allo 0,13% dei deserti mondiali, per realizzare gli impianti e le attività ad esse connesse. Le Nazioni coinvolte in questo studio sono state 50, localizzate in Europa, Nord Africa e Medio Oriente; sono state analizzate sia la richiesta che il potenziale di fonti rinnovabili. Gli scenari hanno messo in evidenza la già nota tendenza all’aumento della popolazione ed alla continua desertificazione: ecco perché il deserto può costituire il nucleo di partenza per il nuovo solare. Lo studio presentato da Knies ha collegato virtualmente tutti i paesi attraverso una rete fitta di impianti di connessione, che prendono energia dal sole del deserto africano. In tal senso “l’Italia –ha detto lo studioso tedesco- ha la struttura politica per raggiungere gli obiettivi dall’Africa”. Una sorta di “ponte tra l’Africa e l’Europa”. Per quanto riguarda i costi di trasmissione del sole dal deserto, sono pari, secondo lo studio, a 0,014 centesimi a kWh per arrivare a 0,010 nel 2050. (Fonte: ansa)
BREVETTO ITALIANO PER CONCENTRATORE SOLARE
E’ stata realizzata e brevettata una nuova tecnologia per la concentrazione dell’energia solare (solare termodinamico). Il dispositivo, denominato “spirale solare” capta la radiazione solare a qualsiasi altezza si trovi il sole e la concentra su un fuoco lineare.
''La grande innovazione di questa invenzione - spiega in una nota il prof. Alessandro Mascioli, presidente dell'Andi (Associazione nazionale degli inventori) - consiste nel fatto che, a differenza di altri dispositivi esistenti, che utilizzano l'energia solare per la produzione di calore ad alta temperatura o per eventuale concentrazione su celle fotovoltaiche, il nuovo sistema non necessita di inseguire il sole ruotando intorno ad un asse, evitando, quindi, le complicazioni costruttive legate all'inseguimento della radiazione solare''. ''Tra le possibili applicazioni del nuovo concentratore - spiega l'inventore designato Adolfo Altieri, geologo e presidente di SuperNovaEnergie srl - ci sono la produzione di acqua calda per uso sanitario e per riscaldamento, la realizzazione di impianti di solar cooling, saune e impianti di desalinizzazione e la possibilità della contemporanea produzione di energia elettrica fotovoltaica e termica. Le sperimentazioni condotte hanno dato risultati in linea con i calcoli teorici''. (Fonte: ansa)
IL MOTO ONDOSO COME FONTE DI ENERGIA
Un prototipo, per lo sfruttamento dell’energia del moto ondoso, è stato presentato nel corso della manifestazione “Green Week” di Bruxelles. Si chiama “Wave Dragon” è danese ed è costituito da un enorme semicerchio di acciaio. Tramite un sistema di serbatoi movimenta le turbine in grado di produrre energia elettrica. Il dispositivo viene posizionato ad una profondità minima di 20 metri.
Durante la manifestazione, organizzata dalla Commissione Europea, il direttore del progetto Wave Dragon ha illustrato quali sono stati gli sviluppi, che hanno consentito di passare dal primo pesantissimo dispositivo installato a nord della Danimarca ad un vero e proprio “parco ondoso”, che verrà realizzato al largo delle coste gallesi. L’obiettivo del parco è di sopperire al fabbisogno di energia elettrica di circa 3.000 famiglie, consentendo di evitare l’emissione di 1.000 tonnellate di anidride carbonica. Contemporaneamente è nata una compagnia, la Tecnodragon, il cui scopo è di sviluppare nuovi progetti ed ha in programma la costruzione di un nuovo impianto nel mare portoghese. Non sono previsti progetti nel Mediterraneo, perché il moto ondoso è troppo debole per poter essere sfruttato. (Fonte: ansa)
A cura di Fabio Bruno |