» CAMBIAMENTI CLIMATICI /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
BUSH, IL GLOBAL WARMING E LE PERSONE IN CARNE ED OSSA
Negli Usa si avvicinano le elezioni presidenziali e i Democratici cercano di colpire Bush dove sembra fare più male: i temi ambientali. La Camera dei rappresentanti ha approvato un provvedimento, fortemente voluto dalla speaker democratica Nancy Pelosi, che in 786 pagine mette insieme una dozzina di proposte di legge presentate negli ultimi mesi. La cosa non è piaciuta molto al partito Repubblicano e Bush si prepara a mettere il veto perché, secondo loro, questo potrebbe far alzare i costi dell’energia. La legge ha un nome lunghissimo: ‘New direction for energy independence, national security, and consumer protection act’ e punta, sul modello europeo, ad un aumento a livello federale fino al 15% del totale delle energie rinnovabili entro il 2020, con una progressiva riduzione del contributo di petrolio, gas naturale e carbone, ma anche alla rinegoziazione delle concessioni per le perforazioni petrolifere nel Golfo del Messico.
Tutto questo avverrebbe attraverso l’utilizzo della leva fiscale ed il pagamento di penali per le industrie che non si adeguano: si calcola che le nuove misure nei prossimi 10 anni costerebbero circa 16 miliardi in nuove tasse alle multinazionali petrolifere Americane come Exxon Mobil, ConocoPhillips e Chevron. Una ricetta più che indigesta per i Repubblicani e per i loro sostenitori petrolieri. Il Senato Usa aveva già approvato misure di risparmio per le auto, imponendo un limite di 35 miglia per il gallone di carburante entro 2020, sollevando le ire di General Motors e Ford.
Ma dal Senato arriva anche un’altra proposta, stavolta presentata dall’indipendente Joseph Lieberman e dal repubblicano John Warner, rispettivamente presidente e membro del ‘Senate subcommittee on private sector and consumer solutions to global warming and wildlife protection’, si tratta dell’America´s climate security act, a quanto pare molto apprezzato dalla maggioranza dei senatori, che prevede il contenimento ai livelli attuali delle emissioni di gas serra entro il 2012, una riduzione del 10% entro il 2020, e del 70% sotto i livelli attuali entro il 2050. Previsioni che non soddisfano gli ambientalisti americani, ma che bastano a far imbufalire l’amministrazione Bush che ci vede una vicinanza fin troppo palese con le misure dell’odiato Protocollo di Kyoto, i programmi più avanzati dell’Ue e i progetti dell’Onu per un nuovo e più stringente accordo sulle emissioni già nel 2009, in vista della scadenza degli impegni di Kyoto nel 2012. E allora Bush tenta di giocare di anticipo ed in proprio, cerca di scavalcare le Nazioni Unite e il convegno mondiale convocato a Bali per dicembre, ‘invitando’ Onu, Unione Europea (parteciperanno anche delegazioni nazionali di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna) ed 11 Stati industrializzati ma ancora in via di sviluppo, a un congresso a Washington per il 27-28 settembre, nel quale si dovrebbero definire regole e misure di lunga durata per tagliare le emissioni e che entrerebbero in vigore già nel 2008. Un lavoro che Bush, preoccupato per la rilevanza che i temi ‘verdi’ stanno assumendo tra l’elettorato americano e per il ruolo che sta giocando in questo campo il suo ex sfidante (e vincitore nel voto popolare) Al Gore, ha già iniziato a fare a livello nazionale, convocando i maggiori produttori di energia e le industrie responsabili delle maggiori emissioni di CO2, gli stessi gruppi di pressione e le stesse lobby petrolifere che hanno fatto in modo che Bush non ratificasse il Protocollo di Kyoto ritenuto troppo oneroso e dannoso per le industrie Usa. Condoleezza Rice ha invitato al congresso due fedeli alleati degli Usa nella polemica su Kyoto, Australia e Canada, poi la Russia che al Protocollo ha aderito per ultima, il Giappone e soprattutto gli emergenti, anche per livello di inquinamento ed effetto dei cambiamenti climatici sul loro ambiente: Corea del sud, Indonesia, Sudafrica, Messico, Brasile, Cina ed India, sempre più vicina agli Usa dopo la recente firma di un trattato per il nucleare. E proprio dall’Asia e dal subcontinente indiano vengono brutti segnali per l’iniziativa di Bush che sembra in bilico tra le preoccupazioni elettorali interne, la negazione o minimizzazione dei dati scientifici dell’Ipcc, il sordo contrasto alle iniziative dell’Ue e il rifiuto del Protocollo di Kyoto. Infatti, mentre Bush e la Rice convocano i grandi e gli aspiranti tali in un super G8 allargato, i peggiori monsoni degli ultimi anni hanno ucciso centinaia di persone, non solo nei poverissimi Bangladesh e Nepal, ma anche nella rampante India, e l’Onu invoca azioni urgentissime per il risanamento dell’acqua potabile, per aiuti alimentari, medicine e cure alla popolazione travolta dalle acque e da giorni interi di piogge torrenziali che hanno fatto traboccare sbarramenti e dighe, mentre i ghiacciai Hymalaiani fondono per caldo ed inquinamento. Occorrono subito almeno 1,5 milioni di dollari per salvare dalla fame certa 60 mila persone nel solo Nepal, mentre nell’altra potenza nucleare dell’area, il Pakistan, precedenti alluvioni hanno spazzato via 1.400 scuole in Belutcistan e nel Sind, e i bambini rischiano di non ricevere nemmeno la loro minima educazione per molto tempo se non arriveranno gli 872 mila dollari necessari per la ricostruzione. Insomma, mentre i grandi della terra si convocano e si scavalcano in un risiko planetario di geopolitica ambientale ed energetica, il global warming acutizza i fenomeni meteorologici normali, come i monsoni asiatici o gli uragani americani, ed innesca nuovi fenomeni sempre più imprevedibili e violenti, ed a farne concretamente le spese sono uomini e donne e bambini in carne ed ossa che vedono stravolte le loro povere vite, quando riescono a mantenerle, che noi guardiamo distrattamente, in una sfuggente finestra di acqua melmosa e misera desolazione che ci apre un qualche laconico telegiornale, come se quelle vite sconvolte fossero numeri di un grande gioco che ha per posta i destini del pianeta. (Fonte: greenreport)
PER CLIMA ALTALENANTE API IN TILT ED IL MIELE SI RIDUCE DEL 20%
I cambiamenti climatici stanno disorientando anche le api, causando sensibili effetti sulla produzione del miele, che in Valle d’Aosta subirà una contrazione del 20% e che a livello nazionale crollerà anche del 50%. In particolare, per i 500 apicoltori della Valle d’Aosta, tutti associati al Consorzio di tutela, quella del 2007 si presenta come un’annata produttiva all’insegna della qualità, ma non della quantità. Dalle prime stime dell’assessorato regionale all’Agricoltura la produzione si attesterà al di sotto dei mille quintali contro la punta dei 1.200, registrata nel 2006. Per Corrado Adamo dirigente dell'Assessorato la causa va ricercata “nelle abbondanti piogge di maggio e giugno e nelle temperature altalenanti, che hanno compromesso la fioritura del castagno, mentre l’assenza di precipitazioni nei mesi precedenti ha penalizzato la produzione di mieli di tarassaco e tiglio”. La produzione di miele valdostano, che conta 7.200 alveari, rappresenta un mercato di nicchia che produce un fatturato, secondo le annate, che si aggira attorno agli 800 mila euro. Nei 70 laboratori di smielatura vengono attualmente lavorate le varietà millefiori, le monofloreali tarassaco e tiglio, rododendro e castagno, tutti mieli iscritti nell’elenco dei prodotti tradizionali le cui confezioni sono contrassegnate da un sigillo che ne garantisce la provenienza e le caratteristiche qualitative. Per dare ulteriore impulso all’apicoltura la Valle d'Aosta si è dotata di una nuova normativa che punta a riordinare il settore attraverso la protezione e l’incremento degli ecotipi di api locali. Con la nuova legge, inoltre, la Regione intende operare attraverso strumenti più efficaci per il monitoraggio e la programmazione del settore agricolo, definendo anche i parametri per la predisposizione del censimento degli alveari e l’istituzione dell’anagrafe degli allevamenti apistici con l’obiettivo di ottenere per i mieli la Denominazione di origine protetta. (Fonte: ANSA).
APAT: WORKSHOP "INVENTARIO NAZIONALE EMISSIONI DI GAS SERRA 1990 - 2005"
Sulle emissioni di gas serra, l’Italia sta cambiando rotta. Dopo quindici anni di continuo aumento, in controtendenza rispetto al resto d’Europa, le stime preliminari relative al 2006 vedono finalmente una riduzione delle emissioni rispetto all’anno precedente. Il totale delle emissioni italiane diminuirebbe quindi complessivamente dell’1,5%, anche se con andamenti contrastanti nei diversi settori.
Queste stime risentono soprattutto dell’andamento nel settore civile, cioè il riscaldamento e il raffreddamento delle case, in cui le emissioni diminuiscono del 18%, sicuramente anche grazie all’inverno caldo e all’estate mite dello scorso anno. Continua il trend positivo dell’agricoltura dove c’è un calo di emissioni dell’1,5% da un anno all’altro, il contributo dei trasporti è sostanzialmente stazionario (cresce il numero delle auto ma diminuisce il loro uso grazie alle politiche cittadine sul traffico). A guadagnare la maglia nera del contributo ai gas serra sarebbe invece il settore della produzione di energia: le centrali elettriche italiane, a causa del maggiore ricorso al carbone e all’aumento di produzione di kilowattora ‘made in Italy’ fanno aumentare le emissioni italiane di quasi il 5% (4,9%) nel 2006 rispetto al 2005. Nei 15 anni precedenti, invece di avviarsi a diminuire del 6,5% sul livello del 1990, le emissioni italiane erano cresciute sostanzialmente. L’analisi della serie storica dei dati, fino al 2005, mostra, infatti, un Paese che non accorcia le distanze, ma le raddoppia portando il divario con l’obiettivo Kyoto a quasi il 19%. Dal 1990 al 2005, infatti, le emissioni nazionali totali dei sei gas serra sono aumentate del 12,1% rispetto all’anno base (1990). Le sole emissioni di CO2 sono pari all’85% del totale del cocktail di gas serra, e segnano un livello superiore del 13,5% rispetto all’anno di partenza, mentre quelle relative al solo settore energetico risultano cresciute del 14,5% dai livelli del 1990.
Questa l’analisi effettuata nel corso del convegno ‘Inventario delle emissioni di gas serra 1990-2005’, organizzato dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e dall’ARPA Puglia per conto del Ministero dell’Ambiente, come preparazione della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici 2007. Nell’incontro vengono analizzati i dati emersi dal registro nazionale delle emissioni 2007, documento che l’APAT, ogni anno, presenta al Segretariato ONU della Convenzione sui Cambiamenti Climatici, nonché all’Unione europea. Nel corso dell’appuntamento brindisino, è stato presentato anche il primo inventario regionale della Puglia, realizzato nell’ambito di una convenzione tra ARPA, Regione Puglia e Università.
Ampio spazio è stato dedicato, in particolare nella tavola rotonda, all’interazione tra l’inventario nazionale e quelli su scala locale, oltre ad una possibile ripartizione degli obiettivi di riduzione delle emissioni su scala regionale, il cosiddetto Burden Sharing.
Proprio questa divisione dei compiti a livello locale potrebbe facilitare il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, e in questo momento è sicuramente uno degli strumenti principali in mano ai decisori politici per definire politiche di riduzione dell’inquinamento. Il contributo alle emissioni di gas serra è infatti fortemente diversificato nelle regioni italiane: nel 2000 la Liguria guidava la classifica negativa con 13,8 tonnellate di CO2 per abitante ogni anno, seguita a ruota dall’Umbria con 12,8 tonnellate a testa, Sardegna e Veneto con 12,7, mentre tra le regioni più ‘virtuose’ si segnalavano il Trentino Alto Adige, con 5,2 tonnellate per abitante, la Calabria con 5,1 tonnellate e la Campania con 3,7. Per quanto riguarda il trend di crescita dei gas serra fino al 2005, ne sono principali protagoniste le emissioni dovute alla combustione e al consumo di combustibili, responsabili dell’82% della produzione totale. In prima linea i trasporti, principalmente quelli su strada, che tra il 1990 e il 2005 segnano un aumento di emissioni del 26,5%, seguiti dal settore civile col 21,8% e dalla produzione di energia al 19,2%. Ma un forte contributo all’inquinamento arriva dall’uso dei condizionatori: le emissioni in atmosfera di gas fluorati, utilizzati proprio per la refrigerazione e per l’aria condizionata, in questi 15 anni sono aumentate del 145%, indicando un concreto cambiamento nelle abitudini degli italiani.
Anche nel settore rifiuti, responsabile del 3,3% delle emissioni, si è avuta nel 2005 una crescita del 7,9% rispetto a quindici anni prima, a causa dell’aumento delle emissioni di metano dalle discariche, pari al 75% del totale delle emissioni da rifiuti.
Per quel che riguarda gli altri settori, le emissioni derivanti dai processi industriali (quindi non dalla combustione), che rappresentano il 7,1% del totale, sono aumentate nel 2005 dell’11,6%, rispetto al 1990. Tale crescita si riferisce principalmente all’incremento delle emissioni prodotte dalle industrie chimiche (+16,2%) e dalla produzione di cemento (+13%). Diminuiscono invece le emissioni nel settore agricolo, che rappresentano il 6,4% del totale. Rispetto ai livelli del 1990, si registra, infatti, un calo dell’8,3%, soprattutto per quanto riguarda le emissioni da fermentazione enterica (-11%) e quelle che derivano dalle deiezioni animali (-7,4%), quest’ultima dovuta alla diminuzione nel numero di capi allevati, specie bovini e vacche da latte. Anidride carbonica a parte, sono sensibilmente in discesa gli altri quattro gas serra considerati nell’Inventario nazionale. Tra il 1990 e il 2005, le loro emissioni sono scese; in particolare, quelle da ossidi da zolfo hanno avuto un crollo del 76,7%, il monossido di carbonio e gli ossidi di zolfo del 46,4% e 42,6%. Si tratta di inquinanti che sono stati ridotti dalle politiche europee e nazionali sulla qualità dell’aria e sulla combustione industriale. (Fonte: sito internet Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici 2007)
GLOBAL WARMING: 'SCIENCE', E' IL MEDITERRANEO A RISCHIARE DI PIU', SOTTO ACCUSA IL TURISMO!
In Europa la regione mediterranea è una delle più vulnerabili ai cambiamenti climatici; lo rivela uno studio pubblicato via web sulla rivista Science e ripreso dal quotidiano britannico ‘The Independent’. I ricercatori, guidati da Dagmar Schroeter dell’istituto ‘Potsdam’ per la ricerca degli effetti climatici in Germania, hanno cercato di valutare gli effetti del riscaldamento globale su una gamma di ecosistemi quali silvicoltura, agricoltura e turismo; ebbene, secondo gli scienziati “il Mediterraneo è apparso il più vulnerabile ai cambiamenti globali” a causa della sua sensibilità alla siccità ed all’aumento delle temperature. Lo studio commissionato da 58 organizzazioni tra governi, industrie, associazioni di coltivatori dei 14 Stati originari dell’Unione, più Norvegia e Svizzera, ha utilizzato diversi modelli climatici che preannunciano dati allarmanti: tra il 20 e il 38% della popolazione mediterranea potrebbe a breve risentire della carenza d’acqua. Un dato che già nel 1995 vedeva circa 193 milioni di persone, su una popolazione totale di 383 milioni di europei, alle prese con questo problema. Con ogni probabilità, prosegue lo studio, la penuria dell’acqua nelle zone mediterranee è stata aggravata dall’aumento della domanda per irrigazione e turismo.
Schroeter aggiunge: “I responsabili delle riserve naturali dovranno far fronte anche ai cambiamenti notevoli nell’abbondanza e nella distribuzione delle specie animali e delle piante. Questi cambiamenti potrebbero avere implicazioni anche per le identità culturale degli abitanti e per le forme tradizionali di utilizzazione delle terre e del turismo”. Per l’Europa del Nord invece sono previsti incrementi delle piogge, delle foreste e una diminuzione di terre destinate all’agricoltura. Nelle zone montane, infine, potrebbe aumentare lo scioglimento dei ghiacciai: un fattore che, sempre secondo gli scienziati, potrebbe cambiare i flussi dell’acqua verso valle e ridurre il rifornimento idrico nei momenti di picco della domanda, oltre ad aumentare il rischio di inondazioni in inverno. (Fonte: MeteoLive.it)
» RINNOVABILI //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
ARRIVANO I PANNELLI SOLARI 'SPALMABILI'
Un giorno i pannelli solari potrebbero essere semplicemente ‘spalmati’ su fogli di plastica e applicati su tetti e apparecchi elettrici. Il sogno è dei ricercatori del New Jersey Institute of Technology, che hanno sviluppato un prototipo di cella fotovoltaica ottenuta da nanotubi al carbonio. Secondo lo studio, descritto dal journal of materials chemistry, la procedura sviluppata per la loro costruzione è ‘economica’ e ‘semplice’. I nanotubi sono molecole formate da atomi di carbonio disposti a cilindro, 50mila volte più piccoli dei capelli umani. Questi tubi microscopici sono in grado di trasportare gli elettroni usando lo stesso principio dei cavi elettrici, ma con un’efficienza maggiore rispetto, ad esempio, al rame. I ricercatori hanno ‘unito’ ai nanotubi alcuni fullereni, altre molecole formate sempre da atomi di carbonio disposti però secondo la forma di un pallone da calcio. La reazione è avvenuta sfruttando le microonde, con un procedimento piuttosto comune in chimica organica. “Il processo è semplice - sostiene Somenath Mitra, che ha coordinato lo studio - un giorno questo tipo di celle fotovoltaiche potrebbe essere spalmato ad esempio sul tetto di un’auto, provvedendo all’energia per metterla in movimento”. Nella struttura ideata dagli ingegneri americani, alcuni polimeri colpiti dal sole emettono elettroni, che vengono ‘catturati’ dai fullereni e trasportati dai nanotubi per generare la corrente. Secondo lo studio, l’aggiunta dei nanotubi migliora le prestazioni dei pannelli con i soli fullereni, la cui efficienza energetica raggiunge al massimo il 4%, portandola vicino al 10%. (Fonte: ANSA)
RIZHAO, DOVE LA CINA E' ALL'AVANGUARDIA SUL SOLARE
Non a caso in cinese Rizhao significa ‘città del sole’. E' questo il nome della città di quasi tre milioni di abitanti sulla costa della penisola dello Shandong, nel nord della Cina, che a quanto pare non ha scelto la via del carbone, ma quella dei raggi solari. Un ambiente sano che ne ha fatto anche una meta turistica. Secondo i dati riportati nel volume ‘State of the world 2007’, qui il 99% delle famiglie dei quartieri centrali della città usa scaldacqua solari mentre molti semafori, segnali stradali luminosi e punti luce nei parchi sono alimentati da pannelli fotovoltaici. Nei quartieri periferici e nei villaggi circostanti, più del 30% delle famiglie utilizza scaldacqua solari e sono più di 6.000 quelle che sfruttano l’energia del sole in cucina, mentre almeno 60.000 serre sono riscaldate da pannelli solari. Qui il reddito pro-capite è anche più basso di quello della media cinese, ma la provincia di Shandong offre sovvenzioni per l’uso dell’energia solare. I finanziamenti arrivano, più che agli utilizzatori finali, alle attività di ricerca e all’industria dei boiler solari. E a Rizhao tutti i nuovi edifici devono essere dotati di pannelli per catturare i preziosi raggi. Secondo i calcoli del sindaco, Li Zhaoqian, il costo di uno scaldacqua solare è stato ridotto ai livelli di quello a energia elettrica: circa 190 dollari, il 4-5% del reddito annuo di una famiglia media della città e l’8-10% di quello di una famiglia di contadini. (Fonte: ANSA).
CIPRO: LA CHIESA ORTODOSSA INVESTE 230 MILIONI DI DOLLARI NEL SOLARE
La Chiesa Ortodossa Greca di Cipro ha annunciato un gigantesco piano di investimento nell’energia solare. Il valore del progetto sarebbe superiore ai 230 milioni di dollari. L’arcivescovo Chrysostomos II, riferisce la BBC, ha fatto sapere che verrà costruita una fabbrica che realizzerà pannelli fotovoltaici per la produzione di energia solare.
Il progetto arriva dopo che il governo cipriota aveva annunciato tagli alle forniture di elettricità nel 2008 nel caso l’isola non fosse capace di assicurare ulteriori rifornimenti di energia elettrica. Il rischio è quello di vedersi tagliare le forniture elettriche. (Fonte: LiberoMercato)
» MOBILITA' SOSTENIBILE ///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
STUDIO, AUTO ELETTRICHE TAGLIANO UN TERZO CO2
L’utilizzo massiccio di auto totalmente elettriche permetterebbe di risparmiare un terzo delle emissioni di CO2, anche se alimentate con corrente prodotta da centrali ‘convenzionali’. E’ il risultato di uno studio dell’istituto di ricerca californiano Electric Power Research Institute (Epri). Una delle principali critiche che vengono mosse all’utilizzo di auto elettriche alimentate dalle prese di corrente comuni è che l’energia viene comunque prodotta da centrali che inquinano, e quindi il bilancio delle emissioni è in passivo. Lo studio americano ribalta però questa idea: dai calcoli fatti, se l’80% delle automobili nel 2050 fosse alimentato a batteria si risparmierebbero 612 milioni di tonnellate l’anno di CO2, mentre una previsione più prudente, con il 20% dei veicoli ‘convertiti’ ad energia elettrica, parla di almeno 162 milioni di tonnellate. Il modello matematico applicato dai ricercatori ha tenuto conto delle emissioni extra delle centrali elettriche per alimentare le auto, ma ha posto una condizione: gli impianti utilizzati non devono essere alimentati a carbone, altrimenti il risparmio di CO2 si trasforma in un leggero aumento. Al momento attuale le macchine elettriche più usate sono quelle ibride, in cui la batteria viene alimentata dal motore ‘tradizionale’ dell'auto. I modelli totalmente elettrici, però, che secondo gli esperti entreranno sul mercato a partire dal 2010, permetterebbero un risparmio del 33% anche rispetto a quelle ibride. (Fonte: ANSA).
A cura di Fabio Bruno
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