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 » CAMBIAMENTI CLIMATICI /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
 
 L’ASIA ALL'OCCIDENTE: "SIETE IMPERIALISTI VERDI"
 
                          I capi di governo asiatici e gli uomini di affari, riuniti a Singapore per la riunione annuale del gruppo di discussione del World  economic forum on East Asia sul global warming, hanno accusato i Paesi  ricchi di criticare eccessivamente la Cina per le sue emissioni di gas  serra, ma intanto di utilizzare il suo lavoro a basso costo e le sue industrie  inquinanti per fare grandi profitti.“Questo è  imperialismo verde” ha detto  senza mezzi termini Mohamed Yakcop, ministro delle finanze della  Malesia, che pure rappresentava uno dei paesi più moderati e filo-occidentali  della regione. L’irrigidimento asiatico sembra la risposta alle pressioni Usa  sulla Cina perché adotti misure più efficaci per mettere un freno alle  emissioni di anidride carbonica, prodotte soprattutto dal carbone che fornisce  i due terzi dell’energia cinese. Ma i governanti asiatici criticano fortemente Stati  Uniti e Australia per non aver sottoscritto il Protocollo di Kyoto che  fissa le quantità di CO2 ed altri gas serra che possono essere emesse dai paesi  industrializzati, mentre la Cina ha firmato il trattato ma è esente  dalle riduzioni di emissioni di CO2 perché considerata Paese in via di  sviluppo, una situazione presa a pretesto da Usa ed Australia per rifiutare  l’adesione a Kyoto. Yakcop ha fatto rilevare che un Paese non può  scegliere quando il cambiamento climatico diventa un problema globale: “Le  aziende che stanno inquinando in Cina sono di proprietà di americani, europei,  giapponesi ed altri. Stanno traendo beneficio dal lavoro poco costoso, dalle  risorse ed allo stesso tempo accusano la Cina di inquinare. Prendiamo atto  dell’ipocrisia dell’equazione”.
 Nel 2006 la Cina ha sorpassato di circa il 7,5% gli Stati Uniti nelle emissioni di CO2, il consumo vorace di carbone e  l’aumento della produzione aumentata del cemento hanno fatto impennare le  emissioni, ma i cinesi ribattono che un americano produce quattro volte più gas  serra di un cinese.
 Un concetto ribadito a Singapore da Chen Feng, presidente della China  Hainan Airlines, che ha detto che non è il momento di dare colpe ma di trovare  una soluzione internazionale, ma le nazioni sviluppate sono quelle che hanno  cominciato a inquinare per prime, “altrimenti così vedo un solo senso: vi  bandiamo prima che diventiate popoli con una buona occupazione”.
 Il presidente americano Bush ha proposto una riunione  dei 15 più grandi produttori di gas serra per definire un obiettivo di  contenimento delle emissioni, il ministro dell’ambiente giapponese Masatoshi  Wakabayashi ha definito la proposta significativa, ma ha detto che era  cruciale che gli inquinatori più grandi partecipassero davvero: “Senza la  partecipazione degli Stati Uniti, della Cina e dell’India, gli emettitori principali,  non arresteremo il riscaldamento globale”.
 Alle accuse asiatiche ha ribattuto Ralph R. Peterson,  presidente dalla U.S. management, design and construction firm, per il quale lo  sviluppo economico dell’Asia sembra insostenibile per l’alto consumo di energia  e la bassa efficienza energetica e tecnologica che contribuisce  all’inquinamento. Secondo Peterson: “Se occorre molta più energia per  produrre un punto di Pil in Asia, allora abbiamo un problema”, e snocciola  le cifre: i prodotti dei Paesi del sud est asiatico, che rappresentano l’11% del totale globale, vengono realizzati usando il 21% per cento del  petrolio mondiale. La produzione cinese è il 5,5% del prodotto interno  lordo mondiale, ma consuma il 15% energia globale. Il rendimento  energetico dell’India è un decimo della media globale, mentre il consumo  di acqua in Cina per unità di Pil è quattro volte la media mondiale. (Fonte: greenreport)
 LE FORESTE DEL NORD ASSORBONO MENO CO2 DEL PREVISTO, QUELLE TROPICALI DI PIU'
 
 Secondo una ricerca del National center for atmospheric  research (Ncar) di Boulder, in Colorado, le foreste temperate dell’emisfero  nord svolgono un ruolo molto minore di quanto finora si pensava nella  mitigazione del riscaldamento globale. Lo studio, che fa la luce sul cosiddetto  dispersore (o pozzo) mancante del carbonio, concludendo che le foreste  tropicali vergini stanno eliminando una percentuale più elevata di CO2. Gli  scienziati del Ncar capeggiati da Britton Stephens hanno analizzato i  campioni d’aria raccolti da velivoli intorno al pianeta durante decine di anni,  senza però che quei dati venissero finora sintetizzati. Si è scoperto così che  circa il 40% dell’anidride carbonica che si presupponeva venisse  assorbita dalle foreste del nord è invece assorbita da quelle tropicali. “Il  nostro studio - dice Stephens - fornirà ai ricercatori molto dati  in più e migliori per capire come gli alberi ed altre piante rispondono  alle emissioni industriali di anidride carbonica, che sono un problema  critico nel riscaldamento globale. Questo li aiuterà a prevedere meglio  i cambiamenti climatici e ad identificare le strategie possibili per la loro attenuazione”. Sembra così risolto uno dei misteri più grandi della  climatologia: cosa succede alla fine al carbonio emesso dalle auto, dalle fabbriche,  dal disboscamento e da altre fonti? Dei circa 8 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno, circa il 40% si accumulano nell’atmosfera e  circa 30% viene assorbito dagli oceani. Gli scienziati ritengono che gli  ecosistemi terrestri, in particolare le foreste, trattengano il resto. Per  trovare questo dispersore terrestre del carbonio, gli scienziati hanno  utilizzato modelli di calcolo che utilizzano i dati dei venti e dell’anidride  carbonica presa appena sopra il livello del suolo, hanno così scoperto che le foreste  temperate dovrebbero assorbire circa 2,4 miliardi di tonnellate all´anno di CO2, ma gli studi a terra hanno rintracciato all’incirca la metà  di quella quantità, questo ha fatto pensare agli scienziati sulla mancanza  di un grande ‘pozzo’ di assorbimento del carbonio nell’emisfero nord del  pianeta. Stephens ed i suoi collaboratori sono partiti da un recente  studio internazionale sullo scambio globale di carbonio, conosciuto come TransCom,  e poi hanno analizzato i campioni presi dai velivoli di ricerca negli ultimi 27  anni, scoprendo così che la maggior parte dei modelli precedenti aveva  sottovalutato significativamente le concentrazioni di CO2 disperse nell’aria  alle latitudini nordiche, particolarmente in estate, quando le piante  contengono più carbonio. Quindi le foreste boreali assorbirebbero solo 1,5  miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, quasi 1 miliardo in meno di  quello che si pensava. Al contrario, sono gli ecosistemi tropicali intatti ad  essere il più potente e importante dispersore di CO2: finora si riteneva che le  foreste tropicali assorbissero 1, 8 miliardi di tonnellate di  carbonio, in gran parte perché gli alberi e le altre piante scaricano CO2 in  atmosfera in seguito agli incendi e agli abbattimenti, ma secondo lo studio del  Ncar da questi ecosistemi si producono ‘solo’ 100 milioni di tonnellate di CO2, anche il disboscamento tropicale sta andando avanti velocemente. “I  nostri risultati indicano che le foreste tropicali intatte stanno catturando  una grande quantità di carbonio. - spiega Stephens - Stanno  contribuendo a ridurre le emissioni industriali di CO2 e il loro effetto  sull’atmosfera è migliore di quanto avevamo pensato”. (Fonte: greenreport)
 APAT: WORKSHOP "CAMBIAMENTI CLIMATICI E DISSESTO IDROGEOLOGICO: SCENARI FUTURI PER UN PROGRAMMA NAZIONALE DI ADATTAMENTO"
 
 Con i cambiamenti climatici cambia in modo  drammatico la geografia del dissesto del suolo. A crescere – con un regime di  piogge di tipo tropicale - saranno le frane lampo, i fiumi di fango che  procedono a una velocità che varia tra i 3 e i 30 chilometri orari,  distruggendo tutto quello che trovano sul loro cammino e che sono anche dieci  volte più letali in termini di vite umane. E’ quanto emerge all’apertura  del workshop ‘Cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico’ che si è  svolto al Castel dell’Ovo di Napoli. A funzionare da innesco alle piogge  violente saranno, nei prossimi anni, i cambiamenti climatici in corso. “I  nostri calcoli ci dicono che ci troveremo di fronte a piogge violente e  concentrate”, spiega il coordinatore scientifico della Conferenza nazionale  sui Cambiamenti climatici, Vincenzo Ferrara. “In una sola giornata di pioggia si concentreranno le stesse quantità che  oggi cadono mediamente in due/tre mesi. Si tratta di condizioni che oggi  già si verificano in situazioni eccezionali: è successo in Piemonte,  dove in una sola giornata sono caduti 200 millimetri di pioggia,  quando la media annuale nel nostro paese è di 800/1.000 millimetri,  in pianura. Questi avvenimenti, simili a quelli che avvengono nei climi tropicali - conclude Ferrara - sono destinati a moltiplicarsi e a diventare la norma. Le precipitazioni  annuali, nei prossimi decenni si concentreranno tutte in pochi giorni, cui  seguiranno mesi di siccità”. Sono queste le condizioni meteorologiche che  daranno luogo ad un inasprimento del dissesto e soprattutto ad un aumento nella  pericolosità delle frane. “Aumenteranno, in maniera che ancora non  riusciamo a calcolare, gli eventi violenti, i fiumi di fango che si generano  soprattutto su versanti di terra”, afferma Claudio Margottini,  dell’Apat. “Diminuiranno le frane lente, quelle che in qualche modo  si possono tenere sotto controllo, mentre aumenteranno drammaticamente le  colate di fango che si formano in luoghi più difficilmente prevedibili e hanno  caratteristiche che ne aumentano la letalità anche dieci volte. Queste  colate di fango- spiega Margottini - avanzano ad una velocità  compresa tra i 3 e i 10 chilometri l’ora, e possono arrivare, in  condizioni di maggiore quantità d’acqua anche a 30 chilometri l’ora.  Creano situazioni che non solo è difficile prevedere ma da cui è difficile  anche scappare”. Le soluzioni per prevedere le colate di fango e per  mettere in sicurezza le regioni che verranno maggiormente colpite da questi  fenomeni (Campania, Calabria, Liguria, Langhe, in modo  particolare) si trovano “non in interventi forti, ma nel governo del territorio”,  conclude Margottini. E dal workshop di Napoli, quinta tappa del percorso  che si concluderà a settembre con la Conferenza nazionale Cambiamenti Climatici  (organizzata per il Ministero dell’Ambiente da Apat, l’Agenzia per la  protezione dell’Ambiente), emergeranno le soluzioni concrete per la gestione  dell’aumento del rischio idrogeologico collegato al clima impazzito.
 “Occorrono 44 miliardi di euro per la messa in sicurezza del nostro territorio: mai  più Sarno”. Queste le parole del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del  Territorio e del Mare Alfonso  Pecoraro Scanio. “In trent’anni sono stati spesi 100 miliardi di euro per l’emergenza. Questa volta discutiamo di prevenzione. Molto importante, ha  detto il Ministro, è l’allarme preventivo in caso di ‘bombe d’acqua’, le  piogge violente che ci aspettano con il cambiamento climatico, che con la loro  azione devastante hanno come conseguenza la perdita di vite umane. Occorre per  questo intervenire anche con un’opera di messa in sicurezza del territorio e  fare squadra in positivo con tutte le Istituzioni e il supporto della comunità  scientifica per affrontare questa sfida”. Napoli, dove si svolge l’incontro,  è il capoluogo di una delle regioni più colpite da questi  fenomeni: “non devono esserci più Sarno, ha aggiunto Pecoraio, è  per questo che nella prossima finanziaria occorre fare di più anche per quanto  riguarda i fondi destinati alle politiche di adattamento ai cambiamenti  climatici, responsabili per la maggior parte della tropicalizzazione del nostro  clima e dei nubifragi”.
 Roberto  Caracciolo dell’Apat ha sottolineato come “i cambiamenti climatici siano  una priorità nel programma di governo del ministro dell’Ambiente”.  Questo problema non è esclusivamente legato al clima, ma può essere “sicuramente  aggravato dalle modalità delle precipitazioni”, quindi va affrontato  nell’ambito di un “complessivo approccio di adattamento ai cambiamenti  climatici”. Serve un doppio approccio che sia “di mitigazione”,  cercando con la “riduzione dei gas serra di non aggravare  ulteriormente la situazione”, e che sia di adattamento per “ridurre il  più possibile le conseguenze del cambiamento climatico sul piano sociale ed economico”.
 Luciano  Capobianco, direttore generale dell’ARPA Campania, ha sottolineato che  siamo ormai di fronte a un “problema quotidiano”, e in quest’ambito ha  rivendicato alla sua Regione la creazione di una serie di Autorità per “affrontare  il problema specifico del dissesto idrogeologico”. Questo però non basta  per “evitare in futuro tragedie come quelle di Sarno e Ischia”, in una  terra “devastata dall’incuria” nella gestione del territorio, quindi serve una “nuova sensibilità a  livello nazionale e locale”. Capobianco ha invitato il  governo a trovare risorse maggiori.
 Importante  la rappresentanza istituzionale che ha seguito i lavori, con il presidente  della Commissione Ambiente del Senato, Tommaso Sodano, che è intervenuto  sulla necessità di un “cambio  di passo nella gestione del territorio”, perché sulla mitigazione “siamo  già molto indietro”.  Negli ultimi 30 anni, “nelle nostre regioni la gestione del  territorio è stata disastrosa”, come dimostrano i 5mila morti e gli “altissimi  costi economici, sempre a valle delle tragedie”. Bisogna invece “intervenire  a monte”, prevenire, e per questo la politica “deve mettersi in ascolto  di quanto emergerà dalla Conferenza sul Clima, i cui risultati devono finire  direttamente nella Finanziaria 2008”, perché vista la “gravità  della situazione non ci si può più dividere tra ambientalisti e non”,  oppure per l’Italia “non ci sarà nessun futuro”. Secondo Sodano,  invece, si continua spesso “a ragionare in modo sconnesso dai dati  acclarati”, come se il problema del clima “non esistesse”, e questo  accade anche nelle zone più colpite dalle sue conseguenze, “ad esempio in Campania col dissesto idrogeologico”. Intervenuto all’incontro  l’Assessore alle Aree Protette e Protezione Civile della Provincia di Napoli, Francesco  Borrelli, che ha voluto sottolineare come “nel quadro della situazione  di rischio idrogeologico in una provincia altamente antropizzata come quella di  Napoli, incida profondamente l’abusivismo edilizio, da contrastare come la  lotta alla criminalità, attraverso la collaborazione tra istituzioni  centrali e locali”.
 “Nella  Regione  Campania” ha affermato Luigi  Nocera, assessore alle politiche ambientali della Giunta regionale Campania “molti gli investimenti in tema di dissesto idrogeologico. Stanziati circa 580  milioni di euro per questa emergenza”.
 Per Teresa  Nanni, Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, che ha  aggiornato ed ampliato il database climatologico in collaborazione con altre  Organizzazioni e con il Ministero dell’Università, “dalle nostre  rilevazioni, emerge che dal 1800 ad oggi la temperatura è salita di 1.7  gradi e di 1.4 solo negli ultimi 50 anni. Dal punto di vista della difesa  del suolo, il dato che preoccupa è che i giorni piovosi diminuiscono in  quasi tutte le nostre Regioni, ma aumenta l’intensità delle precipitazioni. Il  numero dei giorni con precipitazioni, a livello annuale, è diminuito del 10%  in 100 anni, soprattutto nelle regioni centrali, mentre l’intensità è  aumentata del 5% in 100 anni”.
 “Difficile  trovare una definizione convenzionale di ‘frana rapida’, dice il  prof. Luciano Picarelli della Seconda Università di Napoli, la più  corretta è quella che avviene in conseguenza del movimento dei versanti che non  consente alla popolazione di mettersi in salvo, quindi il più pericoloso. Alla  velocità con cui si muove è stata assegnata una magnitudo, un po’ come avviene  per i sismi: le più dannose sono le categorie 6 e 7 (rapide ed  estremamente rapide). Il rischio dipende dalla probabilità dell’evento  innescante, dalla magnitudo della frana e dal grado di utilizzo del territorio,  ma i cambiamenti climatici - soprattutto le precipitazioni, che sono la primacausa di frana - con la riduzione delle piogge annuali ma l’aumento  della loro intensità, giocano la loro parte e favoriscono l’incremento delle  frane rapide”. (Fonte: sito internet Conferenza Nazionale sui  Cambiamenti Climatici 2007)
 
 
 GRAN BRETAGNA: PRESENTATO IL 'CALCOLATORE DELLA CO2'
 
 Il Segretario all'Ambiente del Regno Unito, David  Miliband, ha presentato l'iniziativa di un calcolatore on-line che permette agli utenti  di calcolare la propria ‘impronta di carbonio’. L’Act on  CO2 calculator del Defra (Department for Environment, Food and Rural Affairs, www.defra.gov.uk/ ) è stato progettato per  migliorare la comprensione da parte dei singoli cittadini del legame tra le loro azioni  individuali ed i cambiamenti climatici, attraverso le emissioni di gas serra, e per suscitare una  maggiore consapevolezza delle azioni quotidiane che possono aiutare ad affrontare i  cambiamenti climatici. Il calcolatore è on-line alla pagina: http://actonco2.direct.gov.uk/. (Fonte: Defra)
 
 » RINNOVABILI  ////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// 
 
 FOTOVOLTAICO SBARCA IN STABILIMENTI BALNEARI
La  Regione Lazio e l'Assobalneari Roma hanno firmato un accordo per la sperimentazione del fotovoltaico negli  stabilimenti balneari del litorale romano. La sperimentazione si concluderà  entro la fine del 2007 e vedrà l'installazione di impianti fotovoltaici in  alcuni stabilimenti aderenti ad Assobalneari-Confindustria. Il progetto,  denominato ‘Il fotovoltaico sul mare di Roma’, avrà carattere di  progetto pilota e sarà suscettibile, in futuro, di repliche presso gli impianti  balneari di tutta la costa laziale. “La firma dell'accordo rappresenta un passo  importante per la diffusione delle nuove energie nel nostro territorio”, ha commentato l'assessore  all'Ambiente Filippo Zaratti. “Molti stabilimenti balneari - ha  aggiunto - sono già attivi su questo fronte per quanto riguarda, per  esempio, il solare termico, ma l'iniziativa di oggi metterà  in grado molti stabilimenti di dotarsi di  sistemi per le energie rinnovabili e di sfruttare questo momento  particolarmente favorevole, visto il quadro di incentivazione sia  regionale, sia nazionale”. “Come Regione finanzieremo i progetti selezionati  fino al 20% del costo - ha concluso Zaratti - importo che sarà  cumulabile con gli incentivi previsti dal Conto Energia nazionale”. “La firma di questo accordo volontario - ha commentato il presidente  dell'Assobalneari Roma, Renato Papagni - sancisce per noi il raggiungimento  di un'altra importante tappa nel percorso che porterà gli impianti balneari dei  nostri associati a diventare veri e propri eco-stabilimenti”.  (Fonte: ANSA)
 
 ENEA, IN CAMPANIA E PUGLIA 
SI SPERIMENTA IL SOLE
 
 Liberarsi dalla  schiavitù del petrolio. Più che una scelta appare sempre più una priorità  assoluta e le energie rinnovabili possono essere sempre più un aiuto per fare  fronte a un fabbisogno ogni giorno più elevato di energia. L’acqua, il vento,  ma soprattutto il sole per produrre, attraverso la tecnologia fotovoltaica,  energia pulita e sicura. Una strada, quella del fotovoltaico, in cui l’Enea crede da sempre e su cui lavora e fa ricerche ormai da molti anni. Nel Centro  di Ricerche di Portici, alle porte di Napoli, e nell’Area sperimentale  di Monte Aquilone, a Manfredonia in provincia di Foggia, opera un gruppo di  tecnici, coordinati dall’Ingegner Carlo Privato, che spazia dagli studi  sulle celle fotovoltaiche alle problematiche sui grandi impianti. Ricerche che  potrebbero aiutare l’Italia a incrementare quella minuscola percentuale di  energia elettrica prodotta con tecnologie che non inquinano l’ambiente e che ci  impone il protocollo di Kyoto. Nella strategia complessiva sulle rinnovabili  dell’Enea le attività di Ricerca e Sviluppo nel settore delle tecnologie  fotovoltaiche occupano uno spazio di primaria importanza. Il Centro Ricerche di  Portici e l’Area Sperimentale di Monte Aquilone costituiscono un riferimento  del settore con circa 40 ricercatori e tecnici impegnati su tecnologie  innovative e di elevata valenza strategica per lo sviluppo industriale. “L’Italia  non possiede riserve significative di fonti fossili - spiega l’ingegner Privato,  responsabile Area Fotovoltaica del Dipartimento Tecnologie per l’Energia, Fonti  Rinnovabili e Risparmio Energetico - ma da loro ricava circa il 90%  dell’energia che consuma, con una rilevante dipendenza dall’estero. I costi  della bolletta energetica, già  alti, per  l’aumento della domanda internazionale rischiano di diventare insostenibili per  la nostra economia con le sanzioni previste in caso di mancato rispetto degli  impegni di Kyoto. La transizione verso un mix di fonti di energia e con un peso  sempre maggiore di rinnovabili è, pertanto, strategica per un Paese come il  nostro dove, tuttavia, le risorse idrauliche e geotermiche sono già  sfruttate appieno. L’energia solare è l’unica  risorsa non inquinante (CO2 free) di cui si dispone in misura adeguata alle  esigenze di sviluppo”. E' chiaro, quindi, prosegue Privato, “che  in mancanza di specifici incentivi, la diffusione del fotovoltaico è ancora  limitata dall’alto costo della tecnologia commerciale: il silicio mono e policristallino  in wafer (piccole lastre di silicio dello spessore di qualche decimo di  millimetro). Questa rappresenta circa il 90% del mercato attuale e, essendo  matura industrialmente, non potrà che consentire miglioramenti marginali e  ridotte economie di scala”. “Oggi, però, nel mondo, abbiamo una forte  carenza di silicio e il suo costo crescerà. Dobbiamo guardare, per il futuro, a  tecnologie diverse -conclude Privato - in grado di  condurre ad una sostanziale riduzione dei costi di sistema e a superare il  problema della disponibilità di materia prima. Nel breve-medio termine, le  tecnologie dei film sottili e della concentrazione, che puntano ad una drastica  riduzione del materiale fotosensibile impiegato, sono considerate le  soluzioni con le maggiori potenzialità”. (Fonte: ANSA)
 
 
 » MOBILITA' SOSTENIBILE ///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
 LA LOMBARDIA SPERIMENTA DUE MAXISCOOTER ELETTRICI
 
 Autovetture di servizio sostituite con motoveicoli  ecologici. Al via l’esperimento che garantirà minori emissioni ma anche  risparmi economici.
 Due maxi  scooter elettrici e quindi non inquinanti sono stati consegnati al presidente  della Lombardia, Roberto Formigoni e all’assessore alle Reti, Servizi di  Pubblica Utilità e Sviluppo Sostenibile, Massimo Buscemi, dalla Vectrix.  I due mezzi, in comodato gratuito per tre mesi, sono a disposizione del  personale regionale come alternativa alle autovetture di servizio; al termine  di questo test l’operazione potrà essere ampliata. “L’impegno di Regione  Lombardia per le energie alternative e la sostenibilità – ha detto  l’assessore Buscemi – procede a tutto campo. Ci stiamo impegnando per  realizzare un regolamento che disciplini la bioedilizia nelle nuove costruzioni  e nelle ristrutturazioni dei palazzi lombardi, abbiamo finanziato l’acquisto di  auto ecologiche in sostituzione di quelle particolarmente inquinanti e oggi  sperimentiamo l’utilizzo degli scooter elettrici per tutti quei servizi  giornalieri, effettuati dal personale regionale, che finora venivano svolti  in auto”. I maxi scooter elettrici garantiscono anche un risparmio  economico: 150 euro di ricarica elettrica ogni 10.000 km, contro 750  euro di carburante per uno scooter a benzina. Tra l’altro, i due veicoli  saranno ricaricati con due colonnine che erogano elettricità prodotta con  pannelli fotovoltaici. (Fonte: Ecquologia)
 
      A cura di Fabio  Bruno Leggi le "news" dei numeri passati:
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