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» CAMBIAMENTI CLIMATICI /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


RELAZIONE RIVELA GLI EFFETTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO IN IRLANDA

Secondo una nuova relazione presentata il 29 agosto dal ministro dell’Ambiente irlandese John Gormley, il cambiamento climatico sta già influenzando il paese e si prevede che gli effetti diventino più evidenti nei decenni a venire. La relazione, dal titolo ‘Key Meteorological Indicators of Climate Change in Ireland’, è stata elaborata per l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) dai ricercatori della National University of Ireland di Maynooth. Tale studio rivela che tra il 1890 e il 2004 in Irlanda, la temperatura media annuale è aumentata di 0,7 °C, e che il tasso di riscaldamento è salito in misura rilevante dal 1980. Inoltre, il numero di giorni di gelo si è ridotto e la stagione fredda si è accorciata. Per quanto riguarda le precipitazioni, le aree occidentali, sud-occidentali e settentrionali del paese sono più umide, con piogge più frequenti e anche più intense. “La relazione è un’ulteriore conferma del fatto che gli effetti del cambiamento climatico, in Irlanda, si stanno già verificando e stanno accelerando”, ha commentato Gormley. “Lo studio ci mostra l’assoluta necessità per gli irlandesi di svolgere il loro ruolo nel ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e nell’affrontare il cambiamento climatico”. “L’analisi svolta nella relazione dimostra che l’Irlanda sta facendo fronte agli effetti del cambiamento climatico”, ha aggiunto la dottoressa Mary Kelly, direttore generale dell’EPA. “I cambiamenti saranno maggiori nei prossimi 10 o 20 anni nonostante gli attuali provvedimenti previsti dal protocollo di Kyoto o i futuri interventi post-Kyoto”. “È quindi necessario considerare e sviluppare azioni che consentano di adattarci alle future condizioni climatiche al fine di evitare effetti negativi. L’adattamento ora fa parte dell’agenda europea e nazionale sul cambiamento climatico”. Il ministro Gormley ha confermato che il governo irlandese ha in programma di attuare una strategia nazionale in materia di adattamento. “Ciò fornirà la struttura destinata ad integrare gli effetti dei cambiamenti climatici previsti nel processo decisionale a livello nazionale e locale”, ha spiegato. “È importante creare tale struttura il più velocemente possibile, in modo che, soprattutto in settori quali infrastrutture, progettazione, servizi idrici e gestione delle coste, non si finisca per scegliere investimenti costosi, sbagliati e non effettuati nei posti giusti”. Il ministro ha anche rinnovato il sostegno dell’Irlanda all’obiettivo dell’UE di limitare l’aumento della temperatura media mondiale ai 2 °C oltre i livelli del periodo pre-industriale. “L’Irlanda ha sostenuto appieno e in modo efficace tale obiettivo europeo”, ha affermato. “Stiamo cercando di mantenere gli impegni, previsti dal protocollo di Kyoto, e sosteniamo con forza la posizione dell’UE riguardo ad ulteriori ambiziose riduzioni delle emissioni di gas ad effetto serra fino al 2020 e oltre”. Secondo quanto affermato dal ministro, nei prossimi mesi il governo prevede di avviare alcune iniziative volte a ridurre le emissioni dell’Irlanda, tra cui figurano proposte per ribilanciare le tasse di registrazione del veicolo e di circolazione, la creazione di una commissione per il cambiamento climatico e obiettivi moderni e ambiziosi per l’efficienza energetica nelle nuove abitazioni. In precedenza, il ministro aveva inoltre annunciato nel corso dell’anno alcuni progetti per un’importante campagna di sensibilizzazione pubblica sui cambiamenti climatici. (Fonte: Cordis)

 


LOTTA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI: RIDURRE I GAS SERRA DELL'1,5 PER CENTO ALL'ANNO IN SVIZZERA

In Svizzera le conseguenze dei cambiamenti climatici non sono solo ecologiche ma anche economiche. Lo confermano due studi commissionati dall’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), secondo i quali le variazioni previste (ritiro dei ghiacciai, cambiamento del volume delle precipitazioni, innalzamento del limite delle nevi) influiranno soprattutto sul turismo invernale e sulla produzione di energia idroelettrica. Gli eventi meteorologici estremi legati ai cambiamenti climatici (come piene, frane e ondate di calore), si ripercuoteranno invece in particolare sulla salute della popolazione, sulle costruzioni e sulle infrastrutture.
Se, come previsto dagli attuali studi, la temperatura globale salirà di 3 gradi Celsius, si avranno delle perdite di benessere molto consistenti (1 miliardo di franchi, ovvero 0,15% del PIL nel 2050), che si moltiplicheranno poi rapidamente nella seconda metà del secolo (0,48% del PIL nel 2100). A partire da questo livello di temperatura, per ogni grado di riscaldamento si prevedono in Svizzera ulteriori perdite di benessere comprese tra circa 0,6 miliardi e 1 miliardo di franchi all’anno. Tuttavia, se verranno attuate le necessarie misure di adattamento, un aumento della temperatura globale inferiore ai 2 gradi Celsius comporterà per la Svizzera costi diretti relativamente contenuti e produrrà, entro il 2050, perdite di benessere pari a 500 milioni di franchi. Un tale scenario termico rende tuttavia necessaria una forte riduzione delle emissioni a livello mondiale, che deve essere armonizzata tra i diversi Paesi.  
Inoltre, le conseguenze prodotte dai cambiamenti climatici in altri Paesi influiranno indirettamente anche sull’economia finanziaria e sulle esportazioni della Svizzera, in quanto i danni subiti dall’economia mondiale determineranno una riduzione della domanda di prodotti elvetici. Le conseguenze indirette dei cambiamenti climatici sul nostro Paese saranno probabilmente più importanti di quelle dirette.
Dimezzamento delle emissioni di gas serra entro il 2050
Una politica climatica efficace e di portata internazionale può impedire un considerevole aumento della temperatura nella seconda metà del secolo. In un rapporto pubblicato il 16 agosto 2007, il DATEC indica in che modo la Svizzera potrà sviluppare ulteriormente la propria politica climatica a partire dal 2012, ovvero dopo il primo periodo d’impegno previsto dal Protocollo di Kyoto.
Il Consigliere federale Moritz Leuenberger propone di ridurre dell’1,5 per cento all’anno le emissioni nazionali di gas serra. In tal modo, entro il 2020 le emissioni di questi gas diminuirebbero del 21 per cento rispetto al livello del 1990, conformemente agli obiettivi fissati dall’UE, e del 50 per cento entro il 2050, come auspicato anche dai Paesi del G8. Impegnarsi a favore di una protezione attiva del clima significa anche tutelare le generazioni future. Se non si agisce oggi, infatti, per le generazioni future i cambiamenti climatici avranno conseguenze ancora più gravi. 
Per raggiungere l’obiettivo di riduzione proposto, il rapporto sul clima pubblicato dal DATEC indica due opzioni:

  1. tassa d’incentivazione a destinazione parzialmente vincolata: una simile tassa dovrebbe permettere di ridurre le emissioni dell’1,5 per cento all’anno. Per raggiungere questo risultato sarebbe necessaria una tassa climatica di importo non superiore a quello massimo previsto dall’attuale legge sulla CO2 (210 franchi per ogni tonnellata di CO2). Gran parte dei proventi della tassa dovrebbe poi essere restituita alla popolazione e alle imprese, mentre il 5-10 per cento potrebbe essere riservato (con destinazione vincolata) al rafforzamento dell’effetto incentivante della tassa stessa. A tal fine si potrebbero adottare misure di adattamento ai cambiamenti climatici (ad es. protezione contro piene, colate detritiche e frane), elaborare programmi per il risanamento degli edifici o provvedimenti per la protezione del clima nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, oppure promuovere tecnologie innovative e finanziare il trasporto pubblico;
  2. regolamentazioni tecniche e tassa di finanziamento: le emissioni prodotte a livello nazionale vengono ridotte in primo luogo con regolamentazioni tecniche nei settori degli edifici, dei trasporti e dell’efficienza energetica nonché attraverso programmi di promozione, anch’essi finanziati mediante una tassa. L’ammontare della tassa è fissato, in base al fabbisogno di risorse finanziarie e sarà probabilmente molto più basso di quello di una tassa d’incentivazione. 

Il vantaggio della prima opzione è rappresentato dall’impiego delle forze di mercato, che garantisce ai consumatori una grande flessibilità. Se le stesse riduzioni dovessero essere raggiunte mediante regolamentazioni tecniche, sarebbe necessario un drastico inasprimento di queste ultime.  
Oltre a adottare misure a livello nazionale, la Svizzera potrebbe anche compensare tutte le emissioni ancora prodotte sul suo territorio e neutralizzare così il proprio impatto sul clima. Considerando i prezzi e le emissioni attuali, l’acquisto dei necessari certificati di emissione all’estero costerebbe circa 1 miliardo di franchi all’anno. La neutralità climatica (o impatto zero) merita di essere presa in esame come integrazione delle misure attuate nel piano nazionale. 
L’ulteriore sviluppo della politica climatica svizzera verrà probabilmente discusso dal Consiglio federale nel corso di quest’anno. Il capo del DATEC Moritz Leuenberger predilige la prima opzione, e quindi l’estensione ad altri gas climalteranti della tassa sulla CO2 già decisa, ma con destinazione di una parte dei proventi al finanziamento di importanti progetti nell’ambito della politica climatica e di misure di adattamento. Una simile tassa sul clima permetterebbe di ottenere un duplice risultato: da un lato, grazie al suo effetto incentivante, farebbe diminuire le emissioni di gas serra, mentre dall’altro fornirebbe i fondi necessari per ulteriori riduzioni in Svizzera e all’estero nonché per l’adozione di misure contro le conseguenze negative dei cambiamenti climatici. Questa opzione non esclude tuttavia l’impiego di regolamentazioni tecniche, le quali vengono applicate già oggi e devono continuare ad esserlo anche in futuro. Ciò è del resto previsto anche nei piani d’azione dell’Ufficio federale dell’energia relativi al miglioramento dell’efficienza energetica e alla promozione delle energie rinnovabili. (Fonte: Confederazione Svizzera News)


CARTE GEOGRAFICHE DA CAMBIARE PER IL RISCALDAMENTO DEL PIANETA

A causa del riscaldamento globale, soprattutto delle regioni costiere, nasce l’esigenza di cambiare le carte geografiche. Lo affermano i cartografi che rappresentano un punto di riferimento mondiale in materia di Atlanti. Nella giornata di lunedì verrà pubblicato l’Atlante completo del mondo di Times 2007. I suoi autori hanno detto di essersi visti costretti a cambiare la linea delle coste in alcune zone rispetto alle ultime carte, fatte nel 2003. “Possiamo letteralmente vedere il disastro ambientale consumarsi sotto i nostri occhi. Temiamo che in un prossimo futuro paesaggi celebri spariranno per sempre”, ha detto Nick Ashworth, direttore dell’Atlante.
“I contorni di certe regioni - ha aggiunto - cambiano. Per esempio in Bangladesh. Il livello del mare sale di 3 millimetri l’anno e ciò ha vari effetti sulle coste. In altri casi si vede che fiumi come il fiume Giallo, in Cina, non arrivano più fino alla costa”. In alcune aree, per esempio in Alaska, il mare avanza sulle coste basse di almeno tre metri l’anno.
Non meno preoccupante è che grandi fiumi, dal Rio Grande al Colorado al Tigri, per la crescente siccità, perdono dei bracci, che in estate si seccano completamente. E anche ciò modifica le coste. (Fonte: La Stampa.it)


CAMBIAMENTO CLIMATICO QUANTO MI COSTI

Saranno necessari oltre 220 miliardi di dollari all’anno per ridurre le emissioni globali di anidride carbonica entro il 2030. Una cifra indispensabile a riportarle ai livelli attuali di 26 miliardi di tonnellate di gas serra liberati ogni anno. Gli investimenti sono pari allo 0,3-0,5% del prodotto mondiale lordo: un costo molto inferiore, in ogni caso, a quello che sarebbe necessario per riparare i danni previsti dagli scenari di cambiamento climatico prospettati nei prossimi 25 anni.
I numeri sono quelli del Segretariato della Unfccc, la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, in un rapporto tecnico recentemente pubblicato.
Il documento analizza i costi e gli investimenti necessari per lo sviluppo di un’efficace azione internazionale per combattere i cambiamenti del clima sul versante delle politiche di mitigazione, ossia la riduzione delle emissioni di gas serra e delle altre cause antropiche di cambiamento del clima.
Il rapporto considera il contenimento di gas serra ai livelli attuali come una misura comunque insufficiente ad evitare molte delle conseguenze negative dei mutamenti del clima. Sostiene, infatti, che è indispensabile scendere ancora, fino a raggiungere la quota di 11-12 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno.
Gli investimenti per la mitigazione sono così ripartiti su base annuale: 148 miliardi di dollari nel settore della produzione energetica per far decollare le energie rinnovabili, altri 36 miliardi di dollari dovrebbero essere investiti dall’industria per rendere più efficienti i processi di produzione e utilizzare in modo razionale l’energia e, infine, altri 40 miliardi di dollari dovrebbero essere spesi nella ricerca scientifica per lo sviluppo di nuove tecnologie.
“Questo significa che i finanziamenti per la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica a carico dei governi e delle istituzioni pubbliche dovrebbero quanto meno raddoppiare rispetto ai livelli attuali. - afferma Vincenzo Ferrara, responsabile scientifico della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici che si è svolta a Roma il 12-13 settembre 2007 - Ma significa anche che le imprese dovrebbero investire enormemente di più sia nella ricerca scientifica, sia per rimodernare i loro processi industriali”.
 Gli interventi citati non sarebbero ancora sufficienti, sottolinea il rapporto, si tratterebbe di misure minime. Vi sono di fatto altre spese, ritenute necessarie, che triplicherebbero la cifra iniziale:
1) nel settore della produzione di energia: 158 miliardi di dollari l’anno per i biocarburanti e 67 miliardi di dollari all’anno per l’efficienza energetica;
2) nel settore industriale: 36 miliardi di dollari all’anno per le tecnologie a bassa emissione di anidride carbonica (cattura del carbonio, combustibili puliti, ecc);
3) nel settore dei trasporti: 88 miliardi di dollari all’anno per motori più efficienti e per ristrutturare e rendere più funzionale il sistema dei trasporti;
4) nel settore dell’edilizia pubblica e privata: 51 miliardi di dollari per l’efficienza energetica degli edifici destinati ad uso residenziale, commerciale e terziario;
5) nel settore dell’agricoltura: 35 miliardi di dollari all’anno per ridurre le emissioni derivanti dalle attuali pratiche agricole e per una migliore gestione agroforestale;
6) nel settore forestale: 21 miliardi di dollari per la riforestazione e la riduzione del degrado dei suoli.
Sono questi gli investimenti, ritenuti necessari e urgenti, che concorrono a ridurre i danni provocati dai cambiamenti climatici.
In mancanza di efficaci politiche di mitigazione e di adattamento i costi potrebbero raggiungere, secondo il rapporto Stern, una cifra pari al 5-20% del prodotto mondiale lordo. Mentre, pur trattandosi di cifre rilevanti, gli investimenti citati nell’ambito di interventi di mitigazione ammontano a circa lo 0,3-0,5% del prodotto mondiale lordo. Molto meno di quanto si dovrebbe sborsare per riparare i danni previsti dagli scenari di cambiamento climatico prospettati al 2030.
Il rapporto, richiesto dalla COP 12, nell’ultima riunione delle Parti contraenti la Commissione tenuta alla fine dello scorso anno a Nairobi, ha costituito la base della discussione dell’incontro di medio termine svolto a Vienna alla fine di agosto. (Fonte: e-gazette)

 

» RINNOVABILI //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


RUBBIA, DAL SOLE SAHARA LUCE PER IL MEDITERRANEO

Sfruttare l’energia solare dove ne arriva di più, nel deserto del Sahara, per dare elettricità pulita a tutti i Paesi del Mediterraneo. E’ il progetto Desertec, lanciato da un gruppo di scienziati tra cui il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, per risolvere in un colpo solo il problema energetico e l’emergenza inquinamento, ma anche per far decollare l’economia dei Paesi africani. Il progetto è descritto in un servizio della rivista Newton. “In meno di sei ore arriva sui deserti una quantità d’energia pari a quella consumata in un anno in tutto il mondo” spiega il fisico Gerhard Knies, tra i promotori del progetto. In base ai calcoli degli scienziati, basterebbe ricoprire meno dello 0,3% dei deserti dei Paesi mediorientali e nordafricani per generare energia sufficiente a rifornire l’Europa, il Medio Oriente e i Paesi del Nordafrica. Riducendo, oltretutto, l’emissione di CO2 dovuta alla produzione d’elettricità in Europa (e quindi l’inquinamento che ne deriva) del 70%. “L’energia - spiega Rubbia - deve essere a disposizione quando se ne ha bisogno, non quando il buon Dio la manda”: per questo gli impianti che saranno installati nel deserto usano particolari specchi per concentrare la luce solare su un tubo o una caldaia, con un principio simile a quello di uno scaldabagno. Il fluido qui contenuto, scaldato oltre i 500°C, aziona le turbine che quindi producono l’energia. Il progetto Desertec richiede un investimento complessivo di 400 miliardi di euro. Un investimento considerevole, ma che è solo una frazione dei 7.500 miliardi di euro che secondo l’Agenzia internazionale per l’energia dovranno essere spesi entro il 2030 per espandere e ammodernare gli impianti di produzione elettrica in tutto il mondo. (Fonte: ANSA)



RICERCA, DALL'ALCOL AL BIOCARBURANTE

Dall’alcol al biocarburante, senza passare per lo sfruttamento delle colture no-food: questo l’obiettivo del progetto di ricerca della durata di un anno messo a punto dall’ University of Abertay Dundee (Scozia, Regno Unito) e reso possibile grazie al sostegno del prestigioso Carnegie Trust Research Grant (fondo per la ricerca scozzese). “La nostra ricerca - ha spiegato il responsabile del progetto, Graeme Walker - mira ad utilizzare i sottoprodotti ottenuti dalla lavorazione della birra e del whisky per ricavare bioetanolo. In sostanza la sfida è quella di sfruttare materie prime già esistenti nell’industria, che altrimenti verrebbero scartate o al limite utilizzate come mangime per gli animali”. L’accresciuta domanda di biocombustibili sta, infatti, apportando, secondo quanto evidenziato in un recente rapporto congiunto Ocse-Fao, sostanziali modifiche ai mercati agricoli. L’impiego crescente di cereali, di canna da zucchero, di semi oleosi e di oli vegetali per la produzione di sostituti dei combustibili fossili, etanolo e bio-diesel (che secondo il rapporto dovrebbe raddoppiare entro il 2016) potrebbe, infatti, avere delle conseguenze sui prezzi dei prodotti agricoli e indirettamente anche di quelli animali. “Al momento - ha concluso Walker - rimangono molti problemi di natura tecnica nel riuscire a convertire biomassa di scarti in biocarburante, ma siamo convinti che questa sia una delle possibili strade da intraprendere per costruire un futuro di sicurezza energetica, ecologicamente ed economicamente sostenibile”. (Fonte: ANSA)



CARDO CARBURANTE VERDE DEL MEDITERRANEO

I terreni abbandonati, marginali e ad insufficienza idrica del bacino del Mediterraneo potrebbero presto diventare un’importante fonte di ricchezza energetica ed economica per il sud del vecchio continente: è quanto si propone di dimostrare il progetto comunitario ‘Biocard - Global process to Improve Cynara Cardunculus’, che vede l’Italia in prima linea nello studio delle potenzialità della pianta del cardo. “Il cardo - ha spiegato Luigi Pari, responsabile del progetto dell’Istituto Sperimentale per la Meccanizzazione agricola (Cra)- ha la caratteristica di poter essere sfruttato su più livelli e di essere una coltura poliennale, i cui costi possono essere dunque ammortizzati nell’arco di 8-10 anni. Inoltre - ha continuato Pari - il fatto che la coltura si adatti a terreni con scarsi apporti idrici, contribuisce a far si che non ci sia quella pericolosa concorrenza che oggi spesso esiste tra la filiera agroalimentare e la filiera agroenergetica”. Oltre al Cra, che si occupa di studiare gli aspetti legati alla meccanizzazione e alla logistica, per l’Italia è presente il Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali (Dicma) dell’Università di Bologna, con il compito di sviluppare la produzione di biodiesel dall’olio di semi del cardo. (Gli altri partner sono: Tecnatom, Universidad Politecnica de Madrid, Icp-Csic, Fundacion Gaiker, Queenn’s University Belfast, Fundacion Circe, Technical University of Denmark, Vtt, Endesa, Man B&w). Sviluppare macchinari per automatizzare il processo di separazione dei semi, sperimentare tre diversi processi di combustione della biomassa, ottimizzare la produzione di biodiesel dall’olio di semi del cardo, ridurre i costi logistici: questi i principali campi di studio e sperimentazione del progetto, che vuole essere un’indagine a 360 gradi sulle caratteristiche tecnico-scientifiche ed economiche di una possibile nuova fonte energetica. Non a caso, infatti, tra gli enti coinvolti in Biocard ci sono Endesa, la maggior impresa elettrica della Spagna e Man B&W, azienda produttrice di motori, che stanno testando e valutando le potenzialità concrete della ricerca. (Fonte: ANSA)




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MOBILITA' SOSTENIBILE ///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////


FILIPPINE, JEEP ELETTRICA SI RICARICA A BIOGAS

Si chiama e-jeepney ed ha un motore elettrico che si ricarica grazie ad un impianto a biogas, alimentato da rifiuti organici. E’ il frutto del progetto Climate Friendly Cities. Si è creato un gruppo di lavoro composto da Solar Electric Co. (Solarco), Greenpeace e GRIPP (Green Renewable Independent Power Producer) e il sindaco di Mataki, Jejomar Binay, suo entusiasta depositario, per fabbricare jeep elettriche, silenziose, leggere, efficienti ed economiche. Il tutto per dare ‘respiro’ al traffico di Manila, dove migliaia di automobili, jeep e furgoncini brulicanti di persone creano una tale nube tossica da togliere il respiro. Il progetto pilota è, infatti, partito dal suo comune ma anche altre città stanno lavorando con lo stesso obiettivo. Le e-jeepney sono la versione ecologica di un veicolo molto diffuso e inquinante nelle Filippine. Sono dotate di un motore elettrico, con una autonomia di 120 km alla velocità di 40 km/h. Il tempo di ricarica è di 8 ore e l’elettricità deriva da un impianto a biogas alimentato da rifiuti organici. In alternativa si può richiedere il modello dotato di tetto fotovoltaico. Sono prodotte, per il momento, in Cina ma presto la produzione potrebbe essere spostata nelle Filippine. “La e-jeep è molto facile da guidare - afferma Panch Puckett, capo della società designer della macchina - soprattutto per i guidatori che, abitualmente, usano i motori diesel”. (Fonte: ANSA)


     A cura di Fabio Bruno

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