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editoriale

I PAESI DEL G8 DEVONO AGIRE ORA CONTRO IL
CAMBIAMENTO CLIMATICO:
IL MONDO NON PUO' ASPETTARE

di Alexander Likhotal
Presidente e CEO Green Cross International


Green Cross International lancia un appello ai leader delle nazioni del G8 perché mantengano le dichiarazioni di impegno in tema di cambiamento climatico. Nessuna questione è più importante per gli sforzi globali volti ad accrescere la sicurezza, la lotta alla povertà e lo sviluppo sostenibile. Non c’è tempo per rinvii e procrastinazioni: il 2007 deve segnare uno spartiacque tra le parole vuote e un’azione urgente volta a combattere questo reale pericolo planetario.

Due problemi fanno scattare l’allarme e questi Paesi devono evitare conseguenze potenzialmente disastrose:

  1. Di questi tempi, i due maggiori inquinatori del mondo – l’UE e gli USA – si fanno promotori di strategie divergenti per affrontare il cambiamento climatico. Gli Stati Uniti hanno recentemente dichiarato che si faranno promotori di incontri tra i 15 maggiori paesi che producono gas serra per sviluppare una strategia globale di lungo termine per affrontare il cambiamento climatico: tale dichiarazione è utile solo se portata avanti in collaborazione – non in competizione – con le negoziazioni in corso delle Nazioni Unite per raggiungere gli accordi sulla fase post 2012 del Protocollo di Kyoto, sostenute dall’UE e dalla più ampia maggioranza di nazioni.
    Le Nazioni Unite rappresentano il luogo più appropriato per costruire e regolamentare una struttura globale per combattere il cambiamento climatico negli anni a venire. È necessaria una convergenza verso un fronte unito forte, ed è necessario che non vi siano passi indietro rispetto agli obiettivi chiave di ridurre le emissioni e promuovere l’energia da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica.

  2. Rimangono fondamentali differenze di opinione e di prospettiva tra il mondo industrializzato e quello in rapida industrializzazione, che devono essere superate se si vuole arrivare ad una struttura equa in cui quadrino responsabilità e oneri relativi al cambiamento climatico nel futuro.
    Gli stati industrializzati devono riconoscere che ad oggi sono responsabili delle emissioni carboniche che hanno causato il pericolo del cambiamento climatico; e i maggiori stati in corso di industrializzazione devono accettare che sono parte della soluzione da adottare per il futuro. Per il mondo sviluppato, e in particolare per i paesi del G8, questo comporta chiaramente l’impegno, senza ulteriori dilazioni rispetto ai tempi stabiliti, a raggiungere gli obiettivi volti a limitare l’incremento previsto delle temperature globali al di sotto dei 2 gradi Centigradi.
    L’impegno del mondo in corso di industrializzazione – con particolare riguardo alle economie in rapida crescita di Cina, India, Brasile, ecc. – è fondamentale ma deve essere considerato differentemente e senza che venga negato il loro diritto allo sviluppo. Gli impegni per il clima di queste nazioni dovrebbero essere basati su obiettivi nazionali e programmi volti a raggiungere strategie di crescita a basso contenuto di carbonio.

La collaborazione a livello internazionale è necessaria per sostenere lo sviluppo di soluzioni energetiche valide per le nazioni, le città e le industrie nel mondo, in particolare attraverso il libero trasferimento di tecnologie per le energie rinnovabili al mondo in via di sviluppo. Ciò che non serve – e deve essere evitato – sono dita puntate, capri espiatori, e inutili rinvii.
Non si deve creare un’impasse, che rischia di compromettere un accordo alle negoziazioni sul Protocollo di Kyoto, che si terranno a Bali alla fine dell’anno. Il cambiamento climatico è troppo importante per subire il ricatto di atteggiamenti politici o forme di ostruzionismo. La credibilità dei Paesi del G8 risulterà seriamente danneggiata qualora venisse sprecata un’altra opportunità di agire in modo decisivo sul cambiamento climatico.
Dopo decine di anni di dibattiti, ricerca e pressione pubblica, ci sono tutti gli elementi perché le maggiori economie mondiali assumano la tanto attesa guida nell’affrontare il cambiamento climatico e nel cominciare a dare forma ad un futuro più sicuro, più giusto e più sostenibile.

Green Cross International lancia un appello a questi 8 leader perché transitorie differenze politiche non sbarrino la strada alle loro responsabilità: ci sono in ballo milioni di vite e l’equilibrio dell’ecosistema globale.

Alexander Likhotal - Presidente e CEO Green Cross International




LE ILLUSIONI SULL'AMBIENTE
di Giovanni Sartori


La Terra è ammalata, il clima è impazzito, le risorse si assottigliano. Pian piano (troppo piano) se ne stanno accorgendo un po’ tutti. Ma la gente non vuole sapere; vuole sperare. E’ così la gente ‘rimuove’ le cattive notizie. Chi ne dà notizia è un catastrofico, un apocalittico, e magari anche un uccello di malaugurio. Ma se una cattiva notizia è vera, allora è vera. Ed è purtroppo vero - la scienza è pressoché unanime nel certificarlo – che stiamo al cospetto di una catastrofe ecologica che andrà a rendere invivibile anche la vita dell’uomo.
Comincio dalla notizia più sconfortante: che i più indifferenti al loro stesso destino sono i giovani. Gli spregiati anziani si battono, in definitiva, per le generazioni future (al momento della resa dei conti loro, gli anziani del Duemila, non ci saranno più). Ma i giovani se ne sbattono, non gliene frega niente. Il documentario americano di Al Gore, Una verità scomoda, sul riscaldamento globale è stato visto da molta gente; ma a quanto pare, da un pubblico tutto al di sopra dei 40 anni, nessuno o quasi, sotto. Il cosiddetto popolo di Seattle gira il mondo diffondendo sciocchezze sul capitalismo e sulla globalizzazione, senza capire che la loro causa dovrebbe essere di salvare la Terra e, con essa, se stessi.
Però anche tra i quarantenni in su l’istinto è di ‘struzzeggiare’. Anche se l’evidenza scientifica sul collasso ecologico è ormai schiacciante, per il grosso pubblico ogni pretesto è buono per non crederci. Il dibattito si svolge su tre fronti:
1) la fattibilità delle previsioni, 2) l’incertezza sulle cause, e quindi sulle ‘colpe’, 3) l’efficacia dei rimedi. Se queste tre indagini vengono pasticciate, allora ‘l’ambientalista scettico’ ha buon gioco nel fare confusione. Ma se vengono separate, allora si vede subito che bara al gioco.

  1. Nelle previsioni bisogna distinguere tra prevedere un trend, una linea di tendenza, e prevedere una scadenza. Le previsioni sbagliate sono quasi sempre le seconde. Il che non vuol dire che siano sbagliate per eccesso di pessimismo. Al momento risultano semmai sbagliate per ottimismo. Per esempio, la Terra si sta scaldando più rapidamente del previsto. E lo stesso vale per l’esaurimento del petrolio, che potrebbe avvenire anzitempo. Invece la previsione di trend è raramente sbagliata. Perché in questo caso non anticipiamo il ‘quando’ di un evento, ma che avverrà. E il punto è che lo sbaglio cronologico (di date) non scredita la credibilità di un andamento.

  2. In materia di spiegazione causale, l’ambientalista scettico ci racconta che le oscillazioni climatiche ci sono sempre state, e quindi che sono causate da fattori naturali ed astronomici che sfuggono al nostro controllo. Se così fosse, saremmo impotenti. Ma per fortuna non è così. Nell’ultimo milione di anni i cicli glaciali si sono ripetuti per durate medie di 100.000 anni; e la più recente ‘piccola era glaciale’ copre un periodo di circa 500 anni con un massimo di raffreddamento tra il 1645 ed il 1750. E questi richiami fanno già intravedere radicali differenze tra quei passati e il nostro presente. Il nostro cambiamento è velocissimo e cumulativo, il che induce a sospettare uno sviluppo lineare ‘senza ritorno’, e cioè senza ciclicità. A conferma basta la logica dell’argomento che i fattori scatenanti dell’inquinamento dell’atmosfera e anche del suolo non esistevano in passato. L’inquinamento industriale, l’inquinamento da automobili, l’inquinamento da produzione di energia e così via, sono novità assoluta. Inoltre il problema non è soltanto un inquinamento riscaldante, ma anche un rapido esaurimento delle risorse, ivi incluse le risorse rinnovabili. Il nostro è ormai uno ‘sviluppo insostenibile’, tale perché l’uomo consuma le risorse rinnovabili della Terra – specialmente l’acqua ed il cibo – ad un ritmo che già supera del 20 per cento la capacità che ha la Terra di rigenerarle. Un ritmo che ha tutte le minacciose sembianze di una crescita esponenziale (come nella sequenza aritmetica 1,2,4,8,16..). Dunque che la nostra catastrofe ecologica sia causata da fattori cosmici non è soltanto smentito da tutta la scienza seria e dai milioni di dati che ha raccolto, ma risulta anche una tesi del tutto implausibile a lume di logica.
  3. Veniamo ai rimedi. Ovviamente i rimedi dipendono dalle cause, e cioè dalla malattia che li richiede. Altrettanto ovviamente molti rimedi non rimediano: sono sbagliati o comunque insufficienti. L’aspirina non cura la polmonite. L’acqua è un rimedio per la sete ma non per la fame. In gergo tecnico le cause sono chiamate variabili indipendenti, che possono essere tantissime (multicausalità). Inoltre una variabile indipendente può risultare dipendente da una variabile che la precede. Ma niente paura. Il groviglio viene semplificato se ci chiediamo: qual è la variabile primaria che sta a monte di tutte le altre? E cioè la variabile che più e meglio fa variare le altre? A mio avviso è la variabile demografica, la ‘bomba demografica’, e cioè l’esplosione della popolazione. In un solo secolo la popolazione si è più che triplicata. Sono passate diecimila generazioni per farci arrivare a 2 miliardi di esseri umani. Oggi siamo 6 miliardi e mezzo; e tra 50 anni potremmo essere 9 miliardi. Follia. Si risponde che ci salverà la tecnologia. Forse. Ma forse no. Perché un effetto collaterale della tecnologia è di aggravare il danno. L’uomo dell’età tecnologica ha, rispetto ai suoi antenati, un potere cento volte superiore (dico a caso) di danneggiare il suo habitat. Oggi ogni persona in più dei paesi sviluppati o in rapido sviluppo (Cina inclusa) inquina ed esaurisce le risorse naturali (mettiamo) 50 volte in più di un uomo di cinquecento anni fa. Comunque, ammettiamo – ottimisticamente – che la tecnologia ci possa salvare. Ma questa speranza è sottoposta ad una condizione tassativa: fermare, e anzi fare retromarcia, sulla crescita della popolazione. Volendo, è l’intervento più facile e indolore: basta promuovere con risolutezza l’uso dei contraccettivi. Già, volendo. Sennonché la Chiesa Cattolica (non le altre religioni) non vuole, il piissimo presidente Bush non vuole, e i demografi (assieme a molti economisti) vogliono sempre più bambini per alimentare le pensioni. Si può essere più irresponsabili e dissennati di così? Non volere i contraccettivi equivale a condannare, nei prossimi decenni, due miliardi di persone a morire di sete, e un altro miliardo a morire di fame. Anche se queste sono stime all’ingrosso, sono stime attendibili. A fronte delle quali non ci dovrebbero essere tabù (religiosi o emotivi) che tengano. Invece tengono. Ci siamo fregiati del titolo di homo stupidus stupidus.

A proposito: buon ferragosto. Oggi siate lieti e spensierati. Se poi vi interessa il futuro, allora mi potete leggere e ‘male dire’ domani.

(Fonte: Corriere della Sera)


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