 |
Un giuoco d'acqua a
Sidney |  | | Il
plusvalore dell'acqua
Il costo in acqua
delle merci e dei servizi di
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Gli
esseri umani sono capaci di misurare il "valore" delle cose, delle merci
e dei servizi, soltanto in unità monetarie. Su tale indicatore si basano
le misura dell'economia, degli scambi, dei prezzi. Il valore in unità monetarie
fornisce informazioni distorte sui fenomeni economici che sono basati non sullo
scambio di soldi, ma sullo scambio di materia. Le merci e i beni --- e i servizi
che anch'essi richiedono beni materiali e merci --- si producono e usano non a
mezzo di denaro, né a mezzo di merci, ma a mezzo di natura. Del resto Carlo
Marx, nella "Critica del programma di Gotha", già un secolo e
mezzo fa aveva scritto che la natura è la fonte dei valori d'uso e di essi
è fatta la ricchezza reale. Da
anni esiste un movimento diretto a cercare degli indicatori del valore delle merci
--- userò questo termine per riferirmi a beni materiali e a servizi che
richiedono, tutti, beni materiali --- in unità fisiche. La produzione e
l'uso delle merci richiede dei beni tratti dalla natura, in parte comprati con
denaro (i minerali estratti dalle cave o dal sottosuolo che hanno un "proprietario"),
in parte ottenuti senza alcuno scambio monetario (l'ossigeno dell'aria per la
respirazione, l'anidride carbonica dell'aria per la fotosintesi, l'acqua del suolo
o del mare), e generano delle scorie che talvolta vengono reimmesse nei corpi
naturali senza pagare niente (i gas della respirazione o della combustione), talvolta
vengono immessi nei corpi naturali previa qualche operazione di trattamento che
ha un costo monetario. Nel
complesso possiamo descrivere gli aspetti che realmente contano nell'economia
come una circolazione natura---merci---natura. La
ricerca di indicatori fisici dell'economia è oggi ancor più necessaria
per fronte ad una ineluttabile legge della natura, quella della scarsità.
Per il principio di conservazione della massa la massa di beni che entrano in
un processo di produzione e di consumo deve essere uguale alla massa dei prodotti
che si trovano alla fine. Ma per quello che Georgescu-Roegen ha chiamato ironicamente
il "quarto principio" della termodinamica, a livello planetario ogni
processo di produzione e di consumo delle merci lascia una natura impoverita di
alcune sue componenti, non rigenerabili e non rinnovabili, e una natura nella
quale la qualità ecologica (ed anche economica) delle risorse naturali
è irreversibilmente peggiorata in seguito all'immissione di sostanze estranee. Il
"quarto principio" è di trascurabile importanza (praticamente
) nei cicli "naturali" (pur dove esistono ancora), ma vale, e come !,
nei cicli delle attività antropiche, cioè di produzione e consumo
di merci economiche, le cui materie estratte dalla natura non sono rigenerabili
in tempi brevi e i cui residui non sono assimilabili dai corpi riceventi naturali. Per
affrontare i problemi di scarsità occorre conoscere e rendere minima la
massa dei beni estratti dalla natura e reimmessi nella natura. Da qui l'importanza
dei bilanci di materia ed energia nei processi delle attività umane, della
redazione di una contabilità in unità fisiche dei processi umani.. La
maggior parte delle ricerche è stata finora fatta per identificare i "consumi"
di energia, tanto che ormai si parla di un "costo energetico", in unità
fisiche, per unità di merce o di servizio, espresso in joule per tonnellata
di acciaio o per chilometro percorso da una persona, eccetera. Un
crescente interesse viene rivolto al "costo (fisico) in materie prime"
e questo anche per motivi economici. Poiché la maggior parte delle materie
prime ha un suo costo monetario, le imprese hanno interesse a ridurre al minimo
la massa impiegata. Così nel caso della carta si fa una analisi per confrontare
quante tonnellate di albero, o in alternativa, quante tonnellate di carta straccia,
sono richieste per ottenere una tonnellata di carta nuova.
 |
Depuratori industriali
in Italia |  | | Altrettanto
importanti sono le analisi della massa di residui o scorie --- il "costo
ambientale" --- prodotti in ciascun processo; quanti chili di residui si
formano producendo una tonnellata di alluminio partendo dalla bauxite o riciclando
alluminio di recupero, eccetera. Crescente
interesse sta assumendo la misura del "costo in acqua" delle merci,
definito come la massa di acqua richiesta per ciascun processo. Quante tonnellate
di acqua occorrono per produrre una tonnellata di frumento, o di zucchero, o di
acciaio, o una automobile, o per ottenere un chilowattora di elettricità,
o per lavare un chilo di tessuto, eccetera. Al
di là dell'utilità pratica, ai fini del risparmio di risorse naturali
o anche di costi monetari, di questa analisi, il problema presenta molti interessanti
aspetti teorici. Il
lettore avrà notato che ho citati merci e servizi diversissimi. Cominciamo
da un prodotto agricolo come il frumento; quanto acqua occorre per ottenerlo ?
A seconda della scala a cui ci riferiamo possiamo avere risposte diversissime.
A rigore per la fotosintesi di una tonnellata di biomassa vegetale secca, per
esempio di frumento, occorrono 18 trentesimi di tonnellata, cioè 0,6 tonnellate
di acqua. Ma la
tonnellata di frumento, come biomassa secca, è stata ottenuta insieme ad
almeno una tonnellata e mezzo di biomassa costituita da steli e radici, per la
cui fotosintesi è stata richiesta ugualmente acqua, per cui si deve almeno
dire che una tonnellata di frumento ha richiesto almeno una tonnellata e mezzo
di acqua tratta in parta dal vapore acqueo atmosferico e in parte dalla umidità
del suolo. Ma
anche questa affermazione è limitativa; in realtà la biomassa vegetale
ha un suo "contenuto di acqua" che varia a seconda delle parti del vegetale,
dal 15 % per i chicchi di frumento a una quantità maggiore nel resto della
pianta. Arrotondando a un valore medio di acqua del 50 %, i circa due chili e
mezzo di biomassa secca associati alla produzione di una tonnellata di frumento
commerciale corrispondono a circa cinque chili di biomassa tale-e-quale con un
contenuto medio convenzionale del 50 % di acqua: due chili e messo di biomassa
secca e due chili e mezzo di acqua "dentro" la biomassa tale-e-quale. Ma
anche questo conto non è convincente; per assicurare il rifornimento di
acqua per la fotosintesi e per l'incorporazione dell'acqua nella biomassa tale-e-quale
e per tenere conto delle perdite di acqua per evapotraspirazione, per evaporazione
e per percolazione nel suolo, occorrono circa 4000 t di acqua per ogni ettaro
coltivato a frumento che fornisce circa 10 tonnellate di frumento commerciale
(10 tonnellate per ettaro è una resa molto elevata). Accettando comunque
questi dati si arriva ad un "costo in acqua" del frumento di circa 400
t per t di frumento, 150 volte quello che si potrebbe considerare il "costo
minimo" biologico del frumento stesso e che abbiamo prima indicato in 2,5
t per t. Stabilita
l'esistenza di questo divario l'analisi del costo in acqua potrebbe già
fornire indicazioni per una politica dell'acqua diretta a ridurre tale costo;
per esempio con innovazioni nelle tecniche di irrigazione, con selezioni , con
modificazioni delle tecniche di aratura e coltivazione.
 |
Acqua nel Sahara del
Nord |  | | Dopo
avere parlato del costo in acqua della vita vegetale proviamo a considerare il
costo in acqua della vita animale. Consideriamo un essere umano del peso di 60
kg, con un contenuto in acqua medio di 30 kg e con un contenuto di biomassa secca
di 30 kg. Il metabolismo
umano richiede circa 3 litri di acqua al giorno che viene ingerita come acqua
da bere e come acqua dentro gli alimenti; il fabbisogno corrisponde quindi, per
ogni tonnellata di biomassa-umana tale-e-quale, a circa 20 t all'anno di acqua
che viene eliminata in parte come vapore acqueo nella respirazione e in parte
come escrementi. Il fabbisogno di acqua metabolica per molti animali da allevamento
è circa dello stesso ordine di grandezza, 20 tonnellate di acqua all'anno
per t di peso vivo In
realtà gli esseri umani hanno "bisogno" di altra acqua per la
preparazione degli alimenti, per lavarsi e per usi igienici, per cui il fabbisogno
ulteriore di acqua varia, a seconda dei paesi, delle condizioni di vita, delle
abitudini, fra 30 a 300 litri al giorno per persona, cioè da 10 a 100 tonnellate
all'anno per persona. Per la popolazione italiana di quasi sessanta milioni di
persone, probabilmente il "costo in acqua" della vita domestica e urbana
si aggira intorno a 6.000 milioni di tonnellate all'anno. Un
valore che può essere confrontato con i "consumi" totali di acqua
italiani che sono, all'incirca, ogni anno: agricoltura
40.000 milioni di tonnellate industria 10.000 milioni di tonnellate uso
domestico 10.000 milioni di tonnellate Passiamo
ora a considerare il costo in acqua di una merce, come una tonnellata di zucchero,
ottenuta attraverso un processo di trasformazione di biomassa vegetale. Prima
di tutto di zucchero ottenuto da che cosa ? dalle barbabietole o dalla canna ?
Dal punto di vista dell'economia dello zuccherificio il costo in acqua potrebbe
essere calcolato dal momento in cui la materia prima, diciamo le barbabietole,
entra nello zuccherificio; occorre acqua per pulire le barbabietole, per trasformarle
in "fettucce", per estrarre lo zucchero dalle fettucce di barbabietola.
Da quando il sugo zuccherino viene concentrato, il processo comincia a produrre
acqua distillata che può essere rimessa in ciclo e contribuisce a diminuire
il costo in acqua complessivo. Ma una parte dell'acqua va a finire nel melasso,
un sottoprodotto, e nelle polpe umide che vengono cedute dallo zuccherificio per
l'alimentazione del bestiame. Nel
complesso si può stimare un "costo in acqua" dello zucchero di
circa 3-10 t per t di zucchero secco, quello che va al commercio. Ma questo conto
è parziale. La materia prima, circa 6 tonnellate sia di barbabietola, sia
di canna, da cui è stata ottenuta una tonnellata di zucchero, sono state
coltivate con un loro "costo in acqua", diverso a seconda delle condizioni
di coltivazione, ma che difficilmente risulta inferiore a circa 100 tonnellate
di acqua per tonnellate di biomassa tale-e-quale. La materia prima aveva quindi
"dentro di se" qualcosa come 600 tonnellate di acqua che vanno addizionate
alle 10 tonnellate di costo in acqua del puro e semplice processo di estrazione
dello zucchero dalla materia prima. Il
lettore tenga presente che si tratta di un ordine di grandezza; occorrerebbero
analisi più dettagliate per avere numeri più vicini alla realtà,
ma comunque esse indicano che la produzione annua italiana di un milione di tonnellate
di zucchero dalle barbabietole è associata, nell'intero ciclo agricolo
e industriale, alla richiesta di circa 600 milioni di tonnellate di acqua. Sempre
per restare all'agricoltura, se si calcola che la biomassa commerciale ottenuta
dalle terre irrigate sia di 100 milioni di t all'anno e che la biomassa totale
tale-e-quale (cioè col suo contenuto di acqua), sia di 200 milioni di tonnellate
all'anno, considerando il valore, indicato poco prima, di un consumo totale di
acqua per l'agricoltura di 40.000 milioni di t/anno, si otterrebbe un "costo
in acqua" della biomassa agricola totale di circa 200 tonnellate di acqua
per tonnellata di biomassa tale-e-quale, un valore che, come ordine di grandezza,
non dovrebbe essere molto lontano dalla realtà. Tenendo
conto che l'acqua resa disponibile dalle piogge in Italia, detratte le perdite
per evaporazione, è di circa 150.000 milioni di tonnellate all'anno, si
vede che il "consumo" di acqua per l'irrigazione rappresenta una frazione
rilevante della disponibilità annua totale e che qualsiasi diminuzione
di tale consumo aiuterebbe a tenere in maggiore equilibrio il ciclo dell'acqua
in Italia. Un
altro dato, ancora relativo al settore agroindustriale, è offerto dalle
informazioni che i produttori di carta offrono sui loro cicli produttivi. l'Italia
nel 2002 ha prodotto 9,3 milioni di tonnellate di carte e cartoni e, secondo le
imprese, tale produzione ha richiesto circa 360 milioni di tonnellate di acqua,
che corrisponderebbero, in forma aggregata, a circa 40 tonnellate di acqua per
tonnellata di carta e cartone. In
realtà la produzione di carta ha richiesto l'importazione di 3,2 milioni
di tonnellate di pasta da carta che aveva "dentro di se" il contenuto
in acqua del legname e dei processi con cui è stata prodotta nei paesi
di esportazione. L'Italia ha importato 4,5 milioni di tonnellate di carta (anch'esse
con incorporato il "contenuto in acqua" delle materie prime e dei processi
seguiti nei parsi di esportazione) ed ha esportato quasi tre milioni di carta
e cartoni, anch'essi con il contenuto in acqua associato ai processi seguiti in
Italia. L'industria ha inoltre trattato circa 5 milioni di tonnellate di carta
da macero raccolti all'interno del paese (si può supporre che la carta
da macero avesse un contenuto in acqua più o meno uguale a quello della
carta nuova) Al consumo finale sono arrivati 11 milioni di tonnellate di carta,
circa sei dei quali sono finiti nelle discariche ed inceneritori --- al solito
portandosi dietro il contenuto in acqua loro e di tutte le materie prime e i processi
con cui sono stati fatti, acqua che finisce nell'aria per evaporazione o nelle
discariche nel sottosuolo. La
terza merce che ho citato poco fa è l'acciaio; anche qui occorre analizzare
l'intero ciclo produttivo e si vedrà che la maggiore richiesta di acqua
è nelle fasi di raffreddamento dei punti in cui si genera calore: nella
cokeria, nell'altoforno che produce la ghisa, nei convertitori della ghisa in
acciaio, e nelle centrali termoelettriche. In genere le acciaierie si trovano
sulle rive del mare e l'acqua di raffreddamento è tratta dal mare e rigettata
nel mare, più o meno nella stessa quantità, ad una temperatura superiore
a quella a cui è stata prelevata; solo una parte va perduta per evaporazione. In
questo caso la valutazione del "costo in acqua" di una tonnellata di
acciaio interessa per limitare l'estrazione dell'acqua di raffreddamento dal mare,
e per valutare l'inquinamento termico conseguente il ritorno nel mare dell'acqua
di raffreddamento, dal momento che la massa del mare potrebbe avere una capacità
ricettiva limitata per il calore di rifiuto. Se
si passa poi al costo in acqua di una automobile bisogna identificare le masse
dei vari componenti di una automobile --- acciaio, alluminio, magnesio, materie
plastiche, gomma, eccetera --- e riferire le loro masse a quella di una tonnellata
di automobile; il "costo in acqua" di una tonnellata di una automobile
sarebbe così data dalla somma del costo in acqua di ciascuna frazione delle
componenti presenti. La
risposta presuppone la disponibilità di un gran numero di dati sui bilanci
di massa di un gran numero di cicli produttivi, dati variabili da paese a paese,
a seconda delle materie usate in ciascun ciclo produttivo e della tecnologia.
Una stima, che va presa con la solita cautela, indica in 150 tonnellate il costo
in acqua di un autoveicolo del peso di circa una tonnellata..
"Costo
in acqua", tonnellate/tonnellata |
acciaio
ciclo integrale a ossigeno
| 10-250 | alluminio
primario | 10-300 | rame
dal minerale | 450 | carta
e cartoni | 30-300 | carbonato
di sodio | 60-75 | ammoniaca
sintetica | 140-400 | solfato
di ammonio | 800 | metanolo
| 60 | nero
fumo | 1.100-2.300 | butadiene
| 20-1000 | stirolo
| 45-200 | gomma
sintetica stirolica | 8-90 | acido
nitrico | 60-200 | acido
solforico | 10-60 | zucchero
| 100-150 | cuoio
e pelli conciate | 100 | birra
| 5-8 | raffinazione
petrolio | 2-45 | granturco
| 2.500 | soia
| 11 | fagioli
secchi | 13 | patate
| 1,4 |
|
|
Qui
di seguito sono riportati alcuni dati, tratti dalla letteratura, sui costi in
acqua di alcuni processi o merci. Sono forniti soltanto come ordine di grandezza
perché sono stati calcolati con metodi diversi, spesso scarsamente attendibili,
in genere senza tenere conto del "contenuto in acqua" delle materie
e merci impiegate in ciascun processo. Raccomando quindi grande cautela nella
loro lettura e nel loro uso. Si
tenga presenta che le forti oscillazioni indicate dipendono, fra l'altro, dalla
capacità delle imprese di riutilizzare, previa depurazione, una parte delle
acque di processo usate in modo da rimetterle in ciclo in quelle parti del processo
che richiedono acque meno pure.
Simili
considerazioni si possono fare per molti servizi o azioni domestiche; si è
già citata la necessità di conoscere il "costo in acqua"
del lavaggio di una unità di massa di tessuto, il quale costo varia a seconda
del modo di lavaggio, della qualità dell'acqua, della meccanica della lavatrice,
del peso dl materiale da lavare. In
qualche caso alcune imprese cominciano a capire che l'indicare che le proprie
lavatrici hanno un basso consumo di acqua, oltre che di energia, per unità
di lavaggio è un elemento di giudizio apprezzato dall'acquirente. Di recente
in Australia è stato proposto di accompagnare le merci con una "etichetta"
che indichi quanti kg o tonnellate di acqua sono stati necessari per produrle,
un numero ben più significativo delle generiche e vaghe indicazioni che
una merce ha ottenuto la "ecolabel" con uno scrutinio dei cui dettagli
il consumatore non sa niente. Ma
molto di più si può fare; gli apparecchi sanitari possono essere
progettati per fornire lo stesso servizio --- il lavaggio delle mani, una doccia,
un bagno in vasca, lo scarico del gabinetto, eccetera --- con minore consumo di
acqua. Tutte le
acque "domestiche" usate --- la cui massa è più o meno
uguale a quella dell'acqua entrata nei cicli degli usi domestici e urbani e si
aggira, come accennato, intorno a 6.000 milioni di tonnellate all'anno --- col
loro carico inquinante in genere ritornano nei corpi riceventi naturali --- fiumi,
mare --- previa (talvolta) una qualche depurazione; una depurazione più
spinta consentirebbe di ottenere acqua che potrebbe trovare impiego in usi di
modesta qualità, per esempio per l'irrigazione; se venissero recuperato
3.000 dei seimila milioni di t all'anno delle acque entrate nei, e uscite dai,
cicli domestici e urbani si ridurrebbe almeno un poco quella richiesta, prima
indicata di 40.000 milioni di t/anno, di acqua assorbita per l'irrigazione in
agricoltura. A
che cosa serve l'analisi del "costo fisico" delle merci e dei servizi
? Nel caso dell'acqua andiamo incontro ad una scarsità di acqua e quindi
la limitazione dei consumi e degli sprechi è, e sarà sempre più,
necessaria; tale limitazione potrebbe essere facilitata da adeguate tariffe, ma
purtroppo le tariffe sono fissate sulla base di criteri puramente finanziari,
in modo da coprire le spese delle aziende acquedottistiche --- nel caso dell'acqua
domestica e, in parte, di quella industriale, e sono irrisorie nel caso dell'acqua
per irrigazione --- e sfuggono a qualsiasi funzione etica che le tariffe stesse
potrebbero avere.
Per
approfondire ... |
| E'
perciò tanto più importante una educazione alla limitazione dei
consumi di acqua attraverso la conoscenza di quanto si spreca e di quanto si può
risparmiare e il ragionamento qui esposto --- opportunamente raffinato con dati
quantitativi tratti dalla reale esperienza --- può essere di qualche aiuto.
Occorre peraltro migliorare i metodi di analisi e di calcolo e questo richiede
la collaborazione di chimici, ingegneri, economisti. La
conoscenza del flusso indiretto e diretto di acqua dalla natura ai settori economici
e di nuovo alla natura permetterebbe di identificare anche altri interessanti
indicatori, come il contenuto in acqua --- vogliamo dire il "valore in acqua"
? --- delle merci importate ed esportate e il contenuto in acqua per addetto nei
vari processi produttivi agricoli e industriali. Infine
va notato che se i produttori di merci fossero indotti a dichiarare quanta acqua
hanno usato per produrre le loro merci sarebbero maggiormente spinti a prendere
consapevolezza delle irrazionalità e degli sprechi presenti nei loro cicli
produttivi, anche considerando che il problema del consumo di acqua rappresenterà
sempre più in futuro un fattore determinante --- addirittura un fattore
limitante, in senso biologico --- per la concorrenza a livello internazionale.
Migliori conoscenze del "costo in acqua" delle merci e dei servizi gioverebbe,
quindi, sia agli imprenditori, sia ai consumatori finali, sia ai governi che volessero
veramente fare una politica di uso razionale delle risorse naturali. di
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
|