SCEGLIERE L'ENERGIA, SCEGLIERE IL FUTURO
Le
scelte sulle politiche energetiche continuano ad essere al
centro delle maggiori preoccupazioni dei cittadini, di molti
rappresentanti istituzionali e della società civile
che ha interiorizzato i concetti dello sviluppo sostenibile.
Mentre sono condivise le analisi sul legame tra povertà
e mancato accesso all'energia - in particolare all'elettricità
negata a più di 1,5 miliardi di persone - così
come quelle relative alle tendenze su domanda e consumi nel
futuro prossimo, anche se con scenari differenziati, i pareri
divergono significativamente sulle opzioni da intraprendere
per rispondere alle sfide globali.
Tra queste ve n'è una che si leva, in primo luogo a
partire dalla comunità scientifica e medica innanzitutto,
sulle conseguenze che legano speranza di vita ed emissioni
in atmosfera di inquinanti (N2O, HFC 23) e di aumento
della CO2.
Tutti abbiamo salutato con piacere l'entrata in vigore del
Protocollo di Kyoto, che a queste preoccupazioni tenta di
dare una risposta. Egualmente sappiamo che già da ora
è necessario immaginare il dopo 2012. Individuare subito
possibili punti critici è importante. Tra gli altri
ne segnaliamo due.
Il primo è rappresentato dalla "transitabilità"
delle azioni intraprese da Kyoto 1 a Kyoto 2; la certezza
che quanto realizzato in questo primo periodo sia "contabilizzato"
anche negli anni seguenti il 2012.
Il secondo attiene all'atteggiamento che potranno avere
quei paesi in rapida industrializzazione, che con ogni
probabilità passeranno da paesi creditori a paesi debitori
di emissioni. Nessuno può seriamente augurarsi che
questi fermino il proprio sviluppo e/o che siano colpiti da
processi di complessivo arretramento dei propri sistemi economici.
La scommessa, per noi europei e per loro, è una forte
innovazione nelle politiche energetiche indirizzate verso
l'efficienza dei sistemi e l'uso intensivo delle fonti rinnovabili.
In questa direzione devono muoversi le politiche di cooperazione
europee, verso Cina, India, Brasile e non solo.
Ci pare opportuno, in questo quadro, segnalare e reinterpretare
quanto evidenziato in un recente incontro pubblico dal Rettore
dell'Università Luiss Adriano De Majo e da Corrado
Clini, Direttore generale del Ministero dell'ambiente.
Da sempre, in ogni paese, il finanziamento della ricerca indirizzata
verso i sistemi di difesa militare non ha avuto limiti,
essendo questa considerata un'opzione strategica. I risultati
di quegli investimenti hanno permesso lo sviluppo di applicazioni
usate quotidianamente da tutti noi, compresa quella che permette
a voi di leggerci attraverso internet. Se si dovessero applicare
a quelle ricerche i parametri di valutazione economica nessuna
impresa avrebbe potuto sopportare ed ammortizzare quegli
investimenti.
Con la stessa logica oggi si può affermare che ambiente
e salute rappresentano per la comunità globale
- o quantomeno per l'Europa - un asset strategico pari
alle questioni legate alla difesa militare, tali da permettere
la stessa sopravvivenza del "sistema europeo".
In questo senso lo sviluppo della ricerca verso questi due
domini dovrebbe essere considerata investimento per il bene
comune dei cittadini, sostenuta da risorse pubbliche e promuovendo
maggiori investimenti da parte del settore privato.
In concreto la proposta, accennata da Clini, di proporre nelle
sedi istituzionali deputate, che gli investimenti nella
ricerca su ambiente ed energia sia svincolata dai parametri
del Patto di stabilità, rappresenta una iniziativa
politica di spessore e di sensibilità non comuni verso
la quale va il nostro plauso e che dovrà essere sostenuta
anche dai prossimi governi.
Elio Pacilio
Vice Presidente Esecutivo Green
Cross Italia
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