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Vaclav Havel
Vaclav Havel

Il clima malato e il tempo perduto
di Vaclav Havel

Negli ultimi anni pochi interrogativi sono stati così pressanti come la possibilità o meno che i cambiamenti climatici possano avere un andamento ciclico naturale, in quale misura l’uomo contribuisce a questi cambiamenti, quali rischi ne derivano e cosa possiamo fare per impedirli.
Gli studi scientifici dimostrano che qualunque variazione di temperatura e dei cicli dell’energia su scala planetaria può comportare un generalizzato pericolo per tutti gli abitanti di tutti i continenti. E’ ovvio, sulla base dei lavori di ricerca pubblicati, che l’attività umana causa un cambiamento di cui però ignoriamo l’entità.
E’ comunque necessario conoscere con assoluta precisione in che misura incide l’attività dell’uomo? In attesa di una precisione incontrovertibile, non stiamo semplicemente perdendo tempo mentre potremmo prendere delle misure relativamente poco dolorose in confronto a quelle che potremmo essere costretti ad adottare in futuro? Forse dovremmo cominciare a pensare al nostro soggiorno sulla terra come ad un prestito. Non v’è dubbio che almeno negli ultimi secoli, il mondo euro-americano ha accumulato debiti e ora altre parti del mondo stanno seguendo il suo esempio. La natura sta lanciando qualche segnale di allarme e ci chiede non solo di non far ulteriormente crescere il nostro debito, ma di cominciare a restituire quanto dovuto. Ha poco senso chiederci se abbiamo preso in prestito troppo o cosa potrebbe accadere se rinviassimo il momento di restituire il prestito. Chiunque abbia un mutuo o abbia avuto un prestito da una banca può facilmente immaginare qual è la risposta.
Le conseguenze di eventuali cambiamenti climatici sono di difficile valutazione. Il nostro pianeta non è mai stato in una situazione di equilibrio alterata dall’uomo o da altre influenze e alla quale, col tempo, deve tornare. Il clima non è come una sorta di pendolo destinato a tornare nella sua posizione originaria dopo un certo lasso di tempo. Il clima si è andato evolvendo in maniera turbolenta nell’arco di miliardi di anni fino a diventare un complesso di reti e di reti all’interno di altre reti dove tutti gli elementi sono interconnessi in modi diversi.
Le sue strutture non torneranno mai allo stesso stato in cui si trovavano 50 o 5.000 anni fa. Troveranno un equilibrio diverso che, sempre che il cambiamento climatico sia modesto, non necessariamente minaccerà la vita. Cambiamenti più profondi, tuttavia, potrebbero avere effetti imprevedibili sull’ecosistema globale. In tal caso dobbiamo chiederci se sarebbe possibile la vita dell’uomo sulla terra. Stante la grande incertezza che ancora oggi regna, è necessaria una notevole quantità di umiltà e cautela. Non possiamo continuare allegramente con il nostro stile di vita consumistico ignorando le minacce climatiche e rinviando una soluzione. Forse non c’è alcun pericolo di una gigantesca catastrofe nei prossimi anni o decenni. Chi lo sa? Ma questo non ci solleva dalle nostre responsabilità nei confronti delle future generazioni. Non concordo con coloro che alle possibili minacce reagiscono agitando lo spettro della limitazione delle libertà civili. Si dovessero realizzare le previsioni di alcuni climatologi, le nostre libertà sarebbero paragonabili alla libertà di una persona appesa al parapetto, al ventesimo piano di un edificio. Viviamo in un mondo costituito da un’unica civiltà globale comprendente varie aree di civiltà. Ai nostri giorni la maggior parte di queste aree di civiltà hanno una cosa in comune: la tecnocrazia. Si accorda priorità a tutto ciò che è calcolabile, quantificabile o valutabile. Questa è, tuttavia, una concezione molto materialistica che spinge la nostra civiltà verso importanti svolte e dilemmi. Ogni qual volta rifletto sui problemi del mondo contemporaneo, che riguardino l’economia, la società, la cultura, la sicurezza, l’ecologia o la civiltà in generale, finisco sempre per pormi un interrogativo morale: quale azione è responsabile o accettabile? L’ordine morale, la nostra coscienza e i diritti umani: questi sono i temi più importanti all’inizio del terzo millennio. Dobbiamo tornare e tornare ancora alle radici dell’esistenza umana e valutare le nostre prospettive nei secoli a venire. Dobbiamo analizzare tutto con mente aperta, lucidamente, senza ideologie e senza ossessioni e tradurre il nostro sapere in politiche pratiche. Forse non si tratta più soltanto di promuovere energie a basso consumo energetico, ma piuttosto di introdurre tecnologie ecologicamente pulite, di diversificare le risorse e di non affidarci solo ad un’invenzione come ad una panacea. Inoltre non credo che un problema complesso come il cambiamento climatico possa essere risolto da una sola branca della scienza. Le misure e le normative tecnologiche sono importanti, ma altrettanto importanti sono la promozione dell’istruzione, la formazione ecologica e l’etica ecologica – la coscienza del comune destino di tutti gli esseri umani e il senso della responsabilità comune.
O prenderemo coscienza di qual è il nostro posto nell’organismo vivente e creatore di vita del nostro pianeta, oppure dovremo rassegnarci al rischio che il nostro viaggio evoluzionistico possa tornare indietro di migliaia o milioni di anni. Per questo dobbiamo considerare con grande serietà questo tema e convincerci che la nostra sfida consiste nel comportarci in maniera responsabile e non come messaggeri della fine del mondo. La fine del mondo è stata prevista molte volte nel corso della storia, e ovviamente, le previsioni non si sono mai realizzate. E non si realizzeranno nemmeno questa volta. Non dobbiamo temere per il nostro pianeta. Era qui prima di noi e, con ogni probabilità, sarà qui dopo di noi. Ma questo non vuol dire che la specie umana non è a rischio. A causa della nostra attività e della nostra irresponsabilità, il sistema climatico potrebbe determinare condizioni di invivibilità per l’uomo. Perdere tempo vorrebbe dire ridurre considerevolmente gli spazi decisionali e quindi la nostra libertà individuale.


Vaclav Havel, ex presidente della Cecoslovacchia

(Fonte: L’Unità – traduzione di Carlo Antonio Biscotto)

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