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Idrogeno sull'Appennino
Al Gore

Il mio piano Marshall per salvare la Terra
di Al Gore

La settimana scorsa sono accadute due cose estremamente importanti: prima di tutto cinque giorni fa, in coincidenza con l’equinozio, che nell’emisfero settentrionale segna la fine della stagione più calda dell’anno, è stata effettuata una misurazione ufficiale per determinare in che percentuale si sia sciolta la calotta polare. Non soltanto si è appurato un minimo storico, inferiore del 22 per cento ai dati rilevati nel corso dell’ultimo accertamento; si è altresì scoperto che si sono sciolti un milione di miglia quadrate e che ne sono rimaste soltanto 1,6 milioni. Questo significa che in meno di soli 23 anni l’intera calotta polare settentrionale potrebbe scomparire del tutto e se così accadrà potrebbe non ritornare per milioni di anni.
Ci troviamo alle prese con una vera e propria emergenza planetaria. Non possiamo limitarci a parlarne, discuterne. Dobbiamo necessariamente passare all’azione, prendere provvedimenti, risolverla con la massima urgenza. La seconda cosa importante, accaduta la settimana scorsa, sono stati i festeggiamenti nel mondo del ventesimo anniversario di una vicenda di enorme successo. Il buco nello strato di ozono era stato scoperto in tutta la sua gravità nel 1985, quantunque se ne parlasse già nel 1973. La comunità internazionale non aveva fatto nulla per contrastarlo o porvi rimedio per undici anni di fila. Poi, dopo aver scoperto che il buco nell’ozono si stava allargando a dismisura, nel volgere di un anno e mezzo soltanto, si è finalmente passati all’azione. Alcuni avevano detto che la situazione sarebbe stata risolta grazie ad interventi volontari. Altri avevano ipotizzato che le aziende avrebbero saputo quali iniziative prendere. Il segretario degli Interni di allora propose di adottare contromisure adeguate a livello personale. La risposta all’epoca era stata questa: “Indossate sempre gli occhiali da sole e portate il cappello”.
Alcuni se lo ricorderanno…Ma il segretario di Stato George Shultz e altri dell’Amministrazione Reagan si convinsero che doveva essere il presidente a prendere in mano le redini della situazione, che non si trattava di una questione ideologica o politica. Fu così che Ronald Reagan e Tip O’Neil si diedero la mano, ascoltarono quello che gli scienziati avevano da dire loro, non posero censura alcuna alle loro dichiarazioni e nel 1987 il mondo si ritrovò con un trattato che ci mise sulla strada giusta, quella che ci avrebbe portati a risolvere quella crisi. Avevano previsto che sarebbe costato moltissimo porre rimedio al buco nello strato di ozono, ma la spesa è stata di gran lunga inferiore a quanto temuto. Moltissime società e aziende hanno investito i loro soldi in questa impresa. Ebbene: tutto ciò dovrà accadere anche per la crisi del clima.
Le Nazioni Unite si sono riunite in un’assemblea speciale, la più grande e partecipata riunione di capi di Stato sul clima di tutta la Storia. Molti di questi capi di Stato erano presenti lunedì e di questo li ringrazio. Il meeting è stato molto proficuo. Domani ne è stato convocato un altro. Con questo mio intervento intendo fare appello al presidente Bush affinché segua l’esempio di Ronald Reagan, affinché dia ascolto ai suoi consiglieri.
Noi tutti sappiamo molto bene che è necessario porre un freno alle emissioni di biossido di carbonio. Noi tutti sappiamo molto bene che dobbiamo mettere un’imposta sulle emissioni. Gli Stati Uniti devono passare al comando e guidare il mondo a risolvere il problema della crisi del cambiamento climatico.
Se mi chiedete perché, vorrei spiegarvi per quale motivo penso che impegnarci a risolvere la crisi del cambiamento del clima possa, di fatto, essere la chiave che ci darà la capacità di affrontare con successo altre crisi di vario tipo, che si tratti di battaglie religiose o di lotta contro la povertà globale o di lotta all’Hiv/Aids o di altre ancora. Quando le persone che hanno opinioni e punti di vista diversi, con alle spalle esperienze diverse, scoprono di avere un comune obiettivo incalzante, strettamente collegato alla loro sopravvivenza, trovano sempre la capacità di accantonare le loro differenze e di lavorare gli uni insieme agli altri. Lo abbiamo visto accadere più volte nel corso della Storia. Qualche volta in guerra, altre volte in tempi di pace.
Ebbene: noi oggi siamo di fronte ad un’emergenza. Il reverendo Martin Luther King Jr una volta disse: “Un’ingiustizia in un punto qualsiasi del mondo è una minaccia alla giustizia in ogni parte del mondo”. Oggi il riscaldamento globale e l’inquinamento che si aggravano e inaspriscono ovunque sono una minaccia per l’integrità del clima ad ogni latitudine. Nessuno di questi casi difficili avrà mai una sola chance di essere risolto se non sapremo affrontare con successo questo problema.
Credo fermamente che ciò che ci serve è una sorta di piano Marshall globale, finalizzato a creare posti di lavoro, nel mondo in via di sviluppo, incentrati sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Questo deve essere il principio di base dal quale partire per organizzarlo. Conosco un vecchio proverbio africano che dice: “Se volete andare lontano e di corsa andateci insieme”.
Dobbiamo andare lontano e di corsa. Questo significa che in primis dobbiamo capire che questa è una sfida imperiosa e della massima urgenza. Cathy Zoi, al timone di Alliance for Climate Protection, ha coordinato le attività di molti gruppi di attivisti in tutto il Paese per lanciare una campagna di sensibilizzazione di massa per operare un cambiamento di mentalità e convincere tutti, della necessità di fare qualcosa per risolvere in modo bipartisan il problema del cambiamento del clima.
In conclusione, permettete che aggiunga ancora una cosa. Fra non molti anni i nostri figli formuleranno una di due domande possibili. Fidatevi, sarà così.. guardando al passato, all’inizio di questo secolo si chiederanno: “Ma a che cosa stavano pensando? Come hanno potuto non fare niente in proposito? Perché si sono limitati a parlare di obiettivi e aspirazioni velleitarie quando in gioco c’era la nostra stessa sopravvivenza?”. Oppure potranno formulare tutta un’altra domanda, quella che io preferisco di gran lunga che si pongano: “Come hanno saputo trovare il coraggio morale di affrontare e risolvere con successo una crisi che secondo così tante persone sarebbe stata impossibile risolvere?”.
Dobbiamo metterci d’impegno e far sì che con le nostre azioni si possa dare una risposta a questa seconda domanda, far sì che sia questa quella che i nostri figli formuleranno.

Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti, Premio Nobel per la Pace 2007

(Fonte: La Repubblica – traduzione di Anna Bissanti)

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