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Pesticidi ed agricoltura
biologica
Ufficialmente li definiscono "fitofarmaci",
ma in campagna vengono volgarmente chiamati "veleni".
Il termine internazionale pesticidi è comunque
il più esplicativo e il più diffuso,
dall'inglese "pest", organismo dannoso
che viene combattuto dalle sostanze chimiche impiegate.
Si possono distinguere in base alla classe chimica
cui appartengono (ditiocarbammati, organofosforati,
piretroidi) oppure al tipo di utilizzo. In tal
caso le categorie principali sono quattro:
Antiparassitari (che comprende anticrittogamici,
che combattono funghi, batteri e virus, acaricidi,
nematocidi, insetticidi, limacidi e rodenticidi),
Diserbanti o Erbicidi (per combattere le
erbe infestanti), Fumiganti (usati per
sterilizzare i terreni) e Fitoregolatori,
utilizzati per anticipare la fioritura, o favorire
l'allegagione dei frutti, uniformarne la pezzatura
e aumentare la produzione). Spesso, dopo la distribuzione,
i pesticidi restano sulla superficie del vegetale,
agendo solo per contatto contro il parassita contro
il quale sono stati impiegati; altri, i "citotropici"
(usati ad es. contro le larve minatrici delle
foglie) penetrano nei tessuti sottostanti le parti
irrorate; altri ancora, i "sistemici",
attraverso la linfa delle piante, possono traslocare
in altre parti delle piante stesse. Questi ultimi,
in particolare, sono i più temibili, perché
possiamo ritrovarli nei frutti o nelle verdure,
e sono impossibili da eliminare con lavaggi o
sbucciature Ma la classificazione più significativa
dei pesticidi, sia per gli addetti ai lavori sia
per gli utenti finali, è quella che ne
considera il grado di tossicità per l'uomo.
Gli effetti dannosi alla salute provocati dai
pesticidi sono proporzionali alla quantità
di sostanza assorbita e ai tempi di esposizione,
oltre che alle caratteristiche proprie di ciascuna
sostanza.
Gli agricoltori sono certamente la categoria più
esposta al rischio di intossicazione acuta, per
inalazione e contatto diretto. Tutte le altre
persone, invece, possono essere soggette ad eventuali
effetti tossici dovuti all'accumulo dei residui
di pesticidi nell'organismo.
La maggioranza dei pesticidi oggi in uso ha effetti
neurotossici sull'uomo. L'EPA, l'Agenzia per la
Protezione delll'Ambiente degli Stati Uniti, alcuni
anni fa ha classificato almeno 70 sostanze (utilizzate
poi in molti prodotti diversi) come sicuramente
cancerogene.
L'Italia è uno dei paesi europei col più
alto consumo di fitofarmaci per ettaro coltivato,
e la normativa che fissa i limiti alla presenza
di residui è vecchia di 30 anni, con la
conseguenza che nel nostro paese continuano ad
essere utilizzati principi attivi di sicuro effetto
cancerogeno, già vietati negli altri paesi.
Soprattutto, la normativa non contempla affatto
i rischi legati alle sinergie tra diverse molecole
chimiche presenti su uno stesso prodotto. La Legge
inoltre non impone alcun limite al numero di residui
ammessi sullo stesso prodotto, ed i rischi vengono
valutati solo per ogni singolo principio attivo,
non tenendo conto degli effetti dovuti al cumulo
dei residui. Così, la categoria di popolazione
più esposta è proprio quella dei
bambini: secondo quanto stabilito dall'"Enviromental
Working Group" (organismo di ricerca statunitense)
a causa della loro fisiologia, del tipo e della
quantità di cibo assunto, dell'insieme
dei residui che si possono trovare negli alimenti,
i bambini corrono rischi molto più alti
di contrarre il cancro e all'età di sei
anni possono superare di 10 volte il rischio accettabile
nel corso dell'intera vita. Inoltre, le dosi accettabili
di residui di pesticidi negli alimenti sono calcolate
su adulti del peso di 60 Kg e non sui bambini.
Secondo
il Rapporto "Pesticidi nel Piatto 2005"
di Legambiente, metà della frutta commercializzata
in Italia è contaminata da uno o più
residui di pesticidi. Il 2,2% è addirittura
fuorilegge. Per le verdure invece la situazione
è leggermente migliore: il 22,7% presenta
tracce di pesticidi, mentre l' 1,2% ha concentrazioni
assai pericolose.Anche i prodotti derivati (olio,
pasta, vino, miele ecc.) presentano tracce di
molecole chimiche utilizzate in agricoltura nel
13,7% dei casi. Cala però il numero totale
dei campioni fuorilegge: era pari al 2% nel 2004,
e sceso all'1,4% nel 2005.
Su tale quadro, molto sintetico, spicca allora
la differenza dell'agricoltura biologica, che
comprende ed asseconda la natura: rifiuta le soluzioni
offerte dalla chimica e dalla genetica, e chiede
ai produttori responsabilità ecologica
e professionalità. Non produce per la quantità,
ma per la qualità. Non produce intensivamente
ma estensivamente. Punta alla conservazione delle
risorse, alla salvaguardia ambientale ed al rispetto
e benessere degli animali. Un settore che è
cresciuto, negli ultimi anni, in Italia e all'estero,
esponenzialmente, grazie alla sempre più
elevata richiesta dei consumatori di alimenti
"puliti", sani, amici della salute e
dell'ambiente. Per le loro intrinseche qualità,
i prodotti biologici sono sicuri da mangiare e
con più elevati valori nutritivi (è
stata provata la maggior quantità in vitamine,
sali minerali, oligo-elementi).
Il prezzo dei prodotti biologici è spesso
più elevato di quelli convenzionali, ma
ciò è essenzialmente dovuto ai costi
della certificazione (sono gli unici prodotti
alimentari controllati in tutte le fasi della
produzione, dal campo alla tavola), alle minori
produzioni ottenute, alla maggior manodopera richiesta
nei campi, ma anche alla distribuzione, da migliorare.
Ma ricordiamo che quell' "in più"
è anche il prezzo, oltre che di una salute
migliore, a lungo termine , del nostro organismo,
di terreni, falde acquifere, corsi d'acqua, atmosfera
restituiti ad un ambiente più equilibrato
e di biodiversità recuperata e tutelata.
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Luigi Guarrera
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