Clima
e economia
I nessi tra i cambiamenti
climatici e l'economia sono complessi. E non
sempre sono chiari nonostante il grande volume
d'informazione che sembra esserci sull'argomento.
di
Giorgio Nebbia
nebbia@quipo.it
Doveva avere una bella fantasia quello - fosse
il caso, o un dio, o chi vi pare - che ha deciso
di formare la vita (così come la conosciamo)
su una scheggia solida di quell'infinità
di materia che occupa gli spazi celesti. Bisognava
prima di tutto che la scheggia, che avremmo
chiamato pianeta Terra, fosse ad una distanza
giusta da una fonte di calore, il Sole. Una
distanza che permettesse alla Terra di essere
abbastanza calda - ad una temperatura di circa
300 gradi Celsius superiore a quella dei freddissimi
spazi interplanetari - ma non troppo calda.
Per dar luogo alla vita bisognava, infatti,
che sulla Terra l'acqua si trovasse prevalentemente
allo stato liquido, e per far questo occorreva
che la Terra fosse circondata da uno strato
di gas capace di filtrare una parte della radiazione
solare incidente e capace di trattenere sulla
superficie della Terra una parte del calore.
Bisognava, in altre parole, che la superficie
della Terra avesse e conservasse una temperatura
media di circa quindici gradi Celsius.
Bisognava poi che lo strato di gas contenesse
ossigeno, ma non troppo; c'è voluto un
po' di tempo per raggiungere questo delicato
equilibrio che ha consentito, tremila o duemila
milioni di anni fa, la comparsa dei primi esseri
viventi capaci di autoriprodursi, dotati di
vita, così come la intendiamo noi. Poi
sulla Terra sarebbero successe molte altre cose,
tutte molto lentamente: una parte della superficie
terrestre avrebbe dovuto coprirsi di acqua;
le terre emerse si sarebbero spostate, avvicinate,
allontanate, tenute in moto dal calore che si
genera continuamente all'interno del pianeta.
Poi circa cinquecento milioni di anni fa avrebbero
cominciato a moltiplicarsi quelli che noi chiamiamo
vegetali, e poi animali, attraverso redazioni
chimiche che coinvolgevano l'energia solare,
l'acqua, i minerali delle terre emerse - e i
gas dell'atmosfera.
La storia
Per farla breve, soltanto tre o due milioni
di anni fa sarebbero comparsi animali simili
a quelli che noi chiamiamo umani, cioè
noi stessi, ma soltanto una decina di migliaia
di anni fa questi umani avrebbero imparato a
trattare minerali, a costruire case durature,
e poi a percorrere i mari, e infine, poche decine
di anni fa, a fabbricare automobili e missili,
a estrarre energia dal nucleo atomico, a produrre
plastica e benzina.
Mi sono dilungato su questo cammino, ben noto
ai lettori di questo sito, per mettere in evidenza
un primo punto del dibattito sui mutamenti climatici.
Il clima dipende dalla temperatura e della composizione
dei gas dell'atmosfera, caratteri da cui dipendono
la temperatura e il moto dei mari; la temperatura
e la composizione dei gas dell'atmosfera sono
cambiati molte volte, anche se di poco, nel
corso di mille milioni di anni, ma sempre gran
parte della superficie terrestre è stata
coperta di acqua liquida, il che significa che
la temperatura media della Terra è sempre
oscillata fra una decina e una ventina di gradi
Celsius: Oggi é di circa 15 gradi Celsius.
(Il lettore faccia attenzione che stiamo parlando
di temperatura media della Terra, che non ha
niente a che vedere con la temperatura di una
mattina d'estate al Cairo o di una sera d'inverno
a Milano).
A seconda delle variazioni - molto piccole e
molto lente - della composizione gassosa dell'atmosfera
certe zone delle terre emerse sono state coperte
di foreste o di deserti, sono state attraversate
da fiumi irruenti o sono state coperte di paludi.
Il fatto è che, negli ultimi duecento
anni, il progresso tecnico e merceologico ha
estratto minerali e fossili e li ha trasformati
in innumerevoli oggetti e ciascuna operazione
ha generato gas che sono stati immessi nell'atmosfera
modificandone rapidamente la composizione chimica.
Agli inizi del Novecento, quando sono migliorate
le conoscenze sulla chimica planetaria,
alcuni studiosi hanno detto che la composizione
chimica dell'atmosfera regolava la quantità
di energia solare che raggiunge la superficie
del pianeta e la quantità di calore che
la Terra la irraggia verso i freddissimi spazi
interplanetari. "Solo se" la quantità
di energia in entrata sulla Terra è rigorosamente
uguale a quella in uscita, la temperatura media
della Terra resta abbastanza costante. Se cambia
la composizione dei gas dell'atmosfera, la quantità
di radiazione (visibile) solare che arriva sulla
superficie della Terra risulta leggermente maggiore
di quella (infrarossa) che la Terra rigetta
nello spazio. L'atmosfera si comporta insomma
come la copertura di vetro delle serre che lascia
passare la radiazione solare visibile, ma impedisce
l'uscita della radiazione infrarossa e del calore
che resta intrappolato nella serra e ne scalda
l'aria e il terreno.
Lo svedese Arrhenius, nei primi anni del secolo
scorso, ha previsto che un mutamento della temperatura
media terrestre avrebbe potuto verificarsi se
fosse aumentata la concentrazione del gas anidride
carbonica. Che è proprio il gas che si
forma ogni volta che si bruciano carbone, prodotti
petroliferi, gas naturale, o il legno delle
foreste; che si forma cioè ogni volta
che vengono prodotte e usate macchine e prodotti
commerciali.
La pressione demografica
Mezzo secolo dopo gli scritti di Arrhenius la
popolazione terrestre era raddoppiata e il consumo
di energia ricavata da carbone, petrolio e gas
naturale era triplicato. Varie persone hanno
cominciato a chiedersi se e come il progresso
faceva aumentare la concentrazione dell'anidride
carbonica nell'atmosfera.
Oggi, agli inizi del XXI secolo, varie cose
sono note e certe: la concentrazione atmosferica
dell'anidride carbonica e di altri gas con simile
effetto - detti "gas serra" - è
aumentata; le emissioni di gas serra dipendono
dalle attività produttive e merceologiche
umane; la temperatura media della Terra tende
ad aumentare, sia pure, per ora, di una frazione
di grado Celsius al decennio.
Da trent'anni a questa parte le bizzarrie climatiche
planetarie sono aumentate; sono esse dovute
all'aumento di temperatura provocato dall'aumento
della concentrazione di gas serra nell'atmosfera
?
Se la risposta è si, e se i mutamenti
climatici sono considerati causa di danni economici
e di perdita di vite umane, allora bisogna frenare
le emissioni di gas serra e bisogna rallentare
o frenare quelle attività produttive
ed economiche che generano gas serra.
Se la risposta è si, i rimedi sono sgradevolissimi.
Noi viviamo in una società di circa 6.300
milioni di persone, alcune molto ricche (nel
senso di disponibilità di merci e beni
materiali) le quali vogliono solo aumentare
la loro ricchezza materiale; altre povere o
poverissime che vogliono solo aumentare, almeno
un poco, la loro disponibilità di beni
materiali; tutti i desideri dei ricchi, dei
poveri e dei poverissimi comportano un aumento
della produzione e dell'uso di merci e tale
aumento inevitabilmente comporta un aumento
delle emissioni di gas<serra e un peggioramento
del clima futuro. Se si dovessero rallentare
le emissioni di gas-serra sarebbe necessario
chiedere ai ricchi, ai poveri e ai poverissimi
di frenare i loro desideri.
Poiché il soddisfacimento di tali desideri
è la fonte prima della ricchezza del
mondo degli affari e del capitale, è
evidente che per questi potenti interessi tutte
le storie dei mutamenti climatici e dell'effetto
serra sono il più gran dispetto che si
possa immaginate.
Da qui un vasto movimento negazionista che,
col contributo anche di autorevoli scienziati,
"nega", appunto, l'esistenza di un
rapporto fra produzione e consumo di merci e
danni econiomici e umani provocati dai mutamenti
climatici.
E' difficile negare che l'aumento della produzione
e dei consumi fa aumentare la massa di anidride
carbonica che viene immessa nell'atmosfera ogni
anno; il solo consumo di circa 10 miliardi di
tonnellate all'anno, complessivamente, di carbone,
petrolio e gas naturale, comporta una immissione
nell'atmosfera di circa 25 miliardi di tonnellate
di anidride carbonica. Una parte di questa è
assorbita dagli oceani o trascinata al suolo
dalle piogge; l.'immissione netta di anidride
carbonica nell'atmosfera si può stimare
di circa 15 miliardi di tonnellate all'anno
che si aggiungono alla quantità di anidride
carbonica già esistente nell'atmosfera
(circa 2.600 miliardi di tonnellate).
Co2 responsabile?
A questo punto ai negazionisti non resta che
negare il fatto che l'aumento della concentrazione
dell'anidride carbonica nell'atmosfera è
la causa dei mutamenti climatici dannosi all'economia,
alla salute e alla vita. Ci sono volonterosi
scienziati disposti a dimostrare che il clima
terrestre ha manifestato bizzarrie - alluvioni,
siccità, desertificazione - nei millenni
molte volte prima della diffusione dell'industrializzazione
basata sul carbone o sul petrolio. Tale tesi
zoppica perché nell'era dell'industrializzazione
basata sui combustibili fossili tali mutamenti
si sono fatti sia più intensi e devastanti,
sia più frequenti.
Numerosi scienziati, altrettanto attenti come
quelli ingaggiati dai negazionisti, hanno effettuato
indagini storiche sui caratteri dei mutamenti
climatici nei millenni, nei secoli e nei decenni
per arrivare alla conclusione che, come aveva
scritto Arrhenius, la rapida modificazione della
composizione chimica dell'atmosfera ha accelerato
i mutamenti climatici in seguito ad un lento
graduale aumento della temperatura media terrestre..
Ai potenti del mondo sta a cuore non tanto il
destino biologico della specie umana e della
vita, quanto il fatto che i sempre più
frequenti alluvioni, avanzata dei deserti, innalzamento
del livello dei mari, eccetera, costa quattrini
ai vari paesi della comunità mondiale.
Si sono allora mosse le Nazioni unite che hanno
deciso che occorre rallentare l'immissione di
gas serra nell'atmosfera.
E' il succo del cosiddetto "Protocollo
di Kyoto" che non impone di bloccare
le immissioni di gas serra e le attività
merceologiche che ne generano quantità
crescenti, ma chiede soltanto ai paesi aderenti
di modificare le attività e i processi
economici in modo da immettere, complessivamente,
nell'atmosfera ogni anno una massa di gas serra
non superiore a quella che veniva immessa in
un anno di riferimento, il 1995.
Si tenga presente che, se venissero rispettati
gli accordi del protocollo di Kyoto, tutti i
paesi della Terra continuerebbero ad immettere
nell'atmosfera, ogni anno, gas serra in quantità
da far aumentare il contenuto atmosferico di
tali gas serra di una quindicina di miliardi
di tonnellate all'anno: di 150 miliardi di tonnellate
in un decennio, di circa 700 miliardi di tonnellate
da qui al 2050, e così via.
Il protocollo contiene alcune furbesche soluzioni:
chi vuol continuare a contaminare l'atmosfera
con gas responsabili dei mutamenti climatici
può comprare il diritto di inquinare
pagando chi pianta alberi: una foresta, spontanea
o di piantagione, nel crescere porta via ogni
anno dall'atmosfera dell'anidride carbonica:
circa 10 tonnellate di gas serra all'anno per
ogni ettaro. Grossolanamente, chi paga una piantagione
di un ettaro di nuovo bosco compra il diritto
di continuare a consumare tremila litri di benzina
all'anno, al di sopra di quella che sarebbe
consentita dal protocollo di Kyoto. Chi paga,
chi prende i soldi, chi pianta nuovi boschi,
chi continua a consumare benzina o carta o acciaio
o plastica, grazie a questi commercetti ecologici,
è tutto da verificare.
Emissioni al mercato
A questo punto anche i negazionisti dovrebbero
mettersi quieti: la carta, la benzina, la plastica
forse costeranno qualcosa di più, ma
tutto può continuare come prima, grazie
alla provvidenziale mano del mercato.
Perfino la Russia si affianca agli altri paesi
accettando le regole del protocollo di Kyoto;
mancherebbe l'approvazione dell'impero americano,
che inquina l'atmosfera, in proporzione, più
di tutti gli altri, ma ecco che il presidente
Bush dice di non pensarci neanche perché
il rispetto degli accordi per la salvaguardia
del clima danneggerebbe l'economia americana
la renderebbe meno competitiva rispetto alle
altre. Vadano a quel paese i deserti, i fiumi,
le coste del mare, i milioni di persone che
perderebbero i propri beni e la stessa vita
per colpa dei gas serra.
Chi ha seguito i dibattiti fra i grandi "otto"
dell'economia mondiale avrà visto che
non c'è nessun accordo su un effettivo
contenimento dei consumi merceologici, al fine
di allontanare i pericoli ambientali che compromettono
ogni anno e comprometteranno in futuro la vita
di milioni di persone.
In questo dibattito cercano di inserirsi i venditori
di centrali nucleari, a fissione o anche quelle
ipotetiche future a fusione, che si presentano
come l'unico sistema per continuare a consumare
energia e merci utilizzando una fonte energetica
che non genera gas serra. Se è vero che
le centrali nucleari producono elettricità
senza generare gas serra, gli inconvenienti
della diffusione delle centrali nucleari sono
così grandi, sul piano ambientale e umano
- se ne parlava in questa rivista in un numero
precedente - che non è certo dal nucleo
atomico che può venire la salvezza.
La salvezza dalle - o almeno la dilazione più
avanti nel futuro delle - catastrofi climatiche
è possibile solo se si riesce a demolire
la tesi secondo cui i mutamenti tecnici e merceologici
diretti a limitare l'inquinamento chimico dell'atmosfera
non danneggiano l'economia, né quella
dei paesi industriali, né quella dei
paesi emergenti, né quella dei paesi
poveri, ma anzi innescano una serie di innovazioni
simili a quelle che hanno caratterizzati le
precedenti rivoluzioni industriali, la prima,
quella del carbone, fra il 1750 e il 1900, e
poi quella del petrolio fra il 1900 e il 1950,
quella della microelettronica, fra il 1950 e
oggi.
Rivoluzioni possibili
La auspicabile quarta rivoluzione industriale
può liberare i paesi poveri dalle morse
della miseria, può aiutare il progresso
anche economico dei paesi avanzati, attraverso
profondi mutamenti nella qualità dei
processi produttivi e delle merci e dei servizi.
La transizione richiede ricerca scientifica
ed economica. Si tratta innanzitutto di identificare,
per ciascun processo e ciascun prodotto, il
costo energetico, cioè la quantità
di energia, nelle sue varie forme di calore
ed elettricità, richiesta per produrre
un chilo di patate o di acciaio o per consentire
ad una persona di percorrere un chilometro.
Molti dati sono già disponibili: interessanti
ricerche furono condotte ai tempi della prima
crisi energetica, negli anni settanta del Novecento,
anche in Italia, anche nell'Università
di Bari. Si tratta di utilizzare le informazioni
sui costi energetici delle merci e dei servizi
come strumenti per le scelte economiche e legislative,
premiando le attività economiche che
riescono ad assicurare gli stessi servizi, la
stessa "utilità", con minori
consumi di energia. Che è poi la maniera
di ragionare che sta alla base dell'economia:
ottenere la massima utilità con minori
quantità di denaro.
Strettamente legato al "costo energetico"
è il "costo in gas serra" associato
alla produzione e all'uso di ciascuna merce
e servizio, un costo che deve essere diminuito
con la stessa diligenza con cui viene diminuito
il costo monetario da parte delle imprese e
delle singole persone.
Il secondo passo consiste nell'identificare
come è possibile modificare le attuali
strutture umane in modo da ottenere gli stessi
servizi con minori consumi di energia e minori
alterazioni climatiche; l'analisi coinvolge
non solo i processi produttivi e i consumi merceologici,
ma anche le strutture urbane, i mezzi di trasporto
delle persone e delle merci, la diffusione delle
conoscenze, i commerci internazionali.
Un ruolo fondamentale ha il riutilizzo dei materiali
presenti nelle merci usate; un passo avanti
rispetto alla "raccolta differenziata"
perché presuppone la riprogettazione
delle merci in vista del loro migliore utilizzo
e del recupero dei materiali dopo l'uso. Politica
a parole inserita nelle leggi anche europee
e italiane, ma di fatto ignorata e trascurata
perché i governi non hanno il coraggio
di intervenire nella progettazione e produzione
delle imprese.
Un terzo passo consiste nella graduale transizione
dall'uso delle fonti di energia e delle merci,
oggi ricavate da fonti non rinnovabili - carbone,
petrolio, gas naturale - verso fonti energetiche
e prodotti legati ai grandi cicli naturali,
sostanzialmente al Sole, rinnovabili e meno
inquinanti.
Infine c'è bisogno di lavoro comune di
ingegneri, economisti e sociologi per identificare
delle scale di valori dei vari bisogni; solo
a titolo di esempio si ricordi che la struttura
militare-industriale assorbe, nel mondo, il
dieci per cento della materia, dell'energia
e genera il dieci per cento delle alterazioni
ambientali. In che modo tale ingente massa di
energia e di materia potrebbe alleviare la miseria
e l'ineguaglianza diffusa nel mondo, sradicando
le vere radici della violenza e del terrorismo,
e rendendo quindi superfluo lo stesso complesso
militare-industriale? Qualcuno non ha forse
scritto che "opus iustitiae pax"?
Cambiamenti necessari
Utopie? Tentazioni di pianificazione comunista?
Limitazioni delle libertà di impresa
e di consumo? Tentazioni pauperistiche e ruraliste?
Chi, accogliendo il pensiero dei negazionisti
prima ricordati, fosse portato a ritenere che
la difesa dell'ambiente e della vita fa arretrare
le società e l'economia umane, rilegga
la storia. Ogni grande rivoluzione industriale
e sociale e umana è stata dapprima accolta
come negativa, ha avuto i suoi diligenti negazionisti,
perché ledeva qualche interesse settoriale
o corporativo, per poi scoprire che le rivoluzioni
rendevano più libere le persone e meno
violente le comunità umane.
Lo stesso avverrà con la quarta rivoluzione
industriale, basata su merci e risorse rinnovabili,
con vantaggio non solo per il clima futuro,
ma per la stessa economia futura che non è
detto debba essere basata sulle stesse regole
di quella attuale, sullo sfruttamento delle
risorse della natura e di altri umani. Modestamente
mi permetto di suggerire ai futuri legislatori
e governanti della Terra di leggere qualche
buon libro di ecologia, nel quale è raccontato
come le comunità possano vivere e soddisfare
i propri bisogni mediante collaborazione, solidarietà,
scambio di beni materiali. E mi permetto di
suggerire che questa sede divenga luogo di precise
indicazioni per la inevitabile transizione che
ci aspetta.
Giorgio Nebbia
La
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