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Albania.
Mercato |  | Dove
troveremo tutto il pane di Giorgio Nebbia
Il
7 giugno del 1798, poco più di due secoli fa, usciva in Inghilterra un
libretto anonimo intitolato: An Essay on the principle of population as it affects
the future improvement of society, with remarks on the speculations of Mr. Godwin,
M. Condorcet and other writers. Il libro rappresentava una risposta polemica a
due saggi usciti negli anni precedenti. Uno era dovuto al povero Jean Antoine
de Condorcet (1741 o 1743-1794), intellettuale illuminista che aveva aderito alla
rivoluzione francese ma che, ciò nonostante, era stato condannato a morte
dalla Convenzione. Nel 1793, mentre era nascosto a Parigi in via Servendoni per
sfuggire alla cattura (sarebbe poi finito in prigione dove si suicidò nel
1794), aveva scritto un Esquisse dun tableu historique du progrés
de lesprit humaine, nel quale prevedeva che sarebbe arrivato un giorno in
cui un gran numero di uomini e donne, liberi, avrebbero potuto avere una vita
ricca e felice, con abbondanza di beni offerti dalla natura. Laltro autore
con cui se la prendeva il saggio era William Godwin (1756-1836), un
inglese che aveva scritto, anche lui nel 1793, un libro intitolato: An inquiry
concerning political justice and its influence on general virtues and happiness
e, nel 1797, un altro saggio su Avarice and profusion. Con grande foga Godwin
predicava riforme, da attuare senza rivoluzioni del tipo di quelle che stavano
scuotendo in quei giorni la Francia; Godwin esprimeva, sulle sorti dellumanità,
un grande ottimismo di cui lInghilterra aveva particolare bisogno in un
momento in cui i francesi si stavano affacciando aggressivi sulle sponde del Canale
della Manica. Il
vituperato Malthus Nel corso di poche settimane si seppe che lautore
del saggio era Thomas Robert Malthus (1766-1834), professore di economia
e curato della parrocchia di Albury, vicino Guilford, una carica che ha autorizzato
la sua qualifica di reverendo, fonte di ironia da parte dei suoi avversari,
anche se credo che di cose di religione si sia ben poco occupato. Nel suo libro
Malthus sosteneva che il destino dellumanità non è affatto
glorioso e abbondante: sulla base delle statistiche in suo possesso, Malthus affermò
«che il potere riproduttivo della popolazione è infinitamente più
grande di quello che ha la terra di produrre i mezzi di sussistenza necessari
alluomo. La popolazione aumenta, se non incontra ostacoli, secondo una progressione
geometrica, mentre le risorse aumentano secondo una progressione aritmetica».
Secondo Malthus il rapido aumento della popolazione inglese era dovuto alla
prolificità delle classi povere, la cui fame era saziata, bene o male,
dai peraltro non generosi contributi statali stabiliti dalla Legge sui poveri
che Malthus propone di abolire per indurre i poveri a fare meno figli. Condorcet
non poteva replicare perché era morto, ma Godwin non perse tempo per controbattere,
nello stesso anno 1798, le teorie di Malthus, e Malthus scrisse una nuova versione
del saggio, firmata questa volta, pubblicata nel 1803, a cui seguirono
varie altre edizioni fino alla sesta pubblicata nel 1826. Doveva essere proprio
arrabbiato Malthus nel 1803 quando, nella seconda edizione del suo saggio,
scrisse: «Un uomo che nasce in un mondo già posseduto da altri, se
non può avere i mezzi di sussistenza dai suoi genitori a cui ha diritto
di chiederli, e se la società non ha bisogno del suo lavoro, non ha nessun
diritto di chiedere neanche una piccola porzione di cibo e, infatti, non ha neanche
motivo di esserci in un tale mondo. Al pur abbondante banchetto della natura non
cè un posto vuoto per lui. La natura gli dice di andarsene, e eseguirà
presto i suoi ordini, se egli non può contare sulla compassione di qualcuno
dei commensali. E se qualcuno dei commensali si alza e gli lascia il suo posto,
altri esclusi si faranno avanti subito per chiedere lo stesso favore e di conseguenza
ben presto la sala del banchetto sarà piena di postulanti. Lordine
e larmonia del banchetto saranno disturbati, labbondanza che prima
era presente si trasforma in scarsità e la felicità degli ospiti
è distrutta dallo spettacolo della miseria e dalla fame presenti in tutti
gli angoli della sala e dal rumoroso disturbo di coloro che sono giustamente arrabbiati
perché non trovano il cibo che gli era stato detto di aspettarsi. Gli ospiti
si accorgono troppo tardi del loro errore di non aver fatto rispettare il preciso
ordine di escludere tutti i nuovi richiedenti, impartito dalla grande regina del
banchetto, la quale, volendo assicurare labbondanza per tutti i suoi ospiti
e sapendo che non ne può sfamare un numero illimitato, umanamente si rifiuta
di ammettere nuovi arrivati quando il banchetto è già pieno».
Curiosamente, la dura frase dellesclusione dei poveri dal natures
mighty feast è quella che tutti gli avversari di Malthus citano,
dimenticando che deve essere sembrata una sortita troppo grossa allo stesso Malthus
che la tolse in tutte le edizioni successive. Poche opere hanno suscitato polemiche
come il saggio di Malthus e ancora oggi sono attivi e litigiosi i
due grandi partiti, quello dei cornucopiani, sostenitori del progresso in un mondo
con una popolazione numerosa, felice e ricca di beni, alla Condorcet, e quello
dei malthusiani o neomalthusiani i quali sostengono che le risorse della Terra
sono grandi, ma non illimitate, e che il continuo aumento della popolazione terrestre
comporta un impoverimento delle risorse disponibili per le generazioni future. Le
principali motivazioni dei militanti dei due partiti sono bene riassunti in un
libro dellamericano J.E. Cohen, How many people can the Earth support?,
New York, Norton, 1995 (in Italia Quante persone possono vivere sulla Terra?,
il Mulino, Bologna, 1998).
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Rifornimento
d'acqua |  | Lo
spettro dei limiti Il libro di Malthus ha introdotto nel dibattito culturale,
economico, ecologico e politico, il problema del limite delle risorse
naturali. Un problema peraltro non nuovo. Il testo biblico del Levitico prescriveva
che ogni 50 anni, per un intero anno, bisognava lasciare riposare la terra per
fermare limpoverimento di sostanze nutritive provocato dalle continue successive
coltivazioni. La cosa era così importante che linizio di questo cinquantesimo
anno doveva essere annunciato solennemente e rumorosamente con gran squillo
di trombe (giubal) ed è questa la vera origine dellanno giubilare,
anno di riposo, di liberazione, di riconciliazione anche con la natura. Limpoverimento
del suolo e la diminuzione della sua fertilità erano noti agli scrittori
di agricoltura romani (i precursori degli odierni ecologi). Con linaridimento
del suolo strappato alla giungla avevano dovuto fare in conti le comunità
Maya, costrette a migrare periodicamente alla ricerca di nuovi campi, anchessi
ottenuti tagliando la foresta e destinati a rapido isterilimento. Le ragioni della
limitata fertilità del suolo furono studiate circa un secolo e mezzo fa
dal chimico tedesco Justus von Liebig (1803-1873), che spiegò che le colture
agricole impoveriscono il suolo sottraendo vari elementi nutritivi
e che ciascuno di essi deve essere presente in una quantità almeno superiore
a una soglia minima se si vogliono avere adeguati raccolti. Quasi contemporaneamente
Stanley Jevons (1835-1882) mise in guardia contro lesaurimento delle miniere
inglesi di carbone, sfruttate, intorno al 1860, troppo intensamente, anche se
la storia ha poi mostrato che le miniere non si sono esaurite, ma solo perché,
nel frattempo, sono stati scoperti i giacimenti di petrolio. Il pericolo della
scarsità provocata dallaumento della popolazione e dalla crescente
produzione di merci ha indotto scrittori come John Stuart Mill (1806-1873) e Arthur
Cecil Pigou (1877-1959) ad auspicare un rallentamento della produzione e dello
sfruttamento della natura fino ad arrivare a uno stato stazionario
negli affari umani. Gli spettri della scarsità e dei limiti
sono stati peraltro ogni volta diligentemente allontanati da falangi di cornucopiani
che hanno versato fiumi di inchiostro per descrivere le vie del trionfale cammino
di una umanità, liberata dal vincolo dei limiti terrestri, in grado di
abitare lontani pianeti, di mettere a coltura i deserti, di usare lenergia
nucleare come fonte illimitata di energia, di dissalare lacqua del mare,
di edificare una società dematerializzata e tutta virtuale, eccetera.
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La Terra
vista dallo spazio |  | Limiti
alla crescita Il più rumoroso contributo a Malthus è stato
rappresentato da un libro che contiene i risultati delle ricerche commissionate
dal Club di Roma ad alcuni studiosi americani e che fu pubblicato nel 1972 col
titolo: The limits to growth; tale titolo sfortunatamente è stato tradotto
in italiano come I limiti dello sviluppo, che vuol dire tuttaltra cosa.
Il libro, come è ben noto, contiene delle previsioni economiche e sociali
estese a una qualche data indefinita, nel XXI secolo. Il libro, ovviamente, non
diceva e non dice quello che succederà, ma quello che potrebbe succedere
se si verificasse una concatenazione di eventi, riferiti a un aggregato dellintera
popolazione terrestre: se aumenta la popolazione aumenta la richiesta di cibo
e di beni materiali, di merci; se aumenta la richiesta di alimenti deve aumentare
la produzione agricola; se aumenta la produzione agricola deve aumentare luso
di concimi e pesticidi e aumenta limpoverimento e lerosione dei suoli
coltivabili; se aumenta limpoverimento della fertilità dei suoli
diminuisce la produzione agricola e quindi la disponibilità di alimenti;
se diminuisce la disponibilità di cibo aumenta il numero di persone sottoalimentate
e che muoiono per malattie o per fame; se aumenta la richiesta di beni materiali,
di energia e di merci aumenta la produzione industriale e la sottrazione di minerali,
di acqua e di combustibili dalle riserve naturali; se aumenta limpoverimento
delle riserve di risorse naturali economiche aumentano le guerre e i conflitti
per la conquista delle risorse scarse; se aumenta la produzione industriale aumentano
linquinamento e la contaminazione dellambiente; se aumenta la contaminazione
ambientale peggiora la salute umana. Per farla breve, se continua laumento
della popolazione mondiale (allora, nel 1970, era di 3.700 milioni di persone
e da allora ha continuato ad aumentare in ragione di circa 80 milioni allanno),
aumentano le condizioni - malattie, epidemie, fame, guerre e conflitti - che portano
a una diminuzione, anche traumatica, del tasso di crescita della popolazione umana.
Il libro riporta varie possibili forme di interazione fra i vari fattori: popolazione,
produzione agricola, industria (talvolta chiamata capitale o capitale
industriale), inquinamento. Se si vogliono evitare eventi traumatici - concludeva
il libro - la soluzione va cercata in una rapida diminuzione del tasso di crescita
della popolazione, con conseguente rallentamento della produzione agricola e industriale
e del degrado ambientale. La soluzione va insomma cercata nella decisione di porre
dei limiti alla crescita della popolazione e delle merci e nel raggiungimento
di una situazione stazionaria della popolazione e degli affari umani. Non
è qui possibile elencare le motivazioni, in parte tecnico-scientifiche,
in parte ideologiche, dei critici o dei lodatori dei limiti alla crescita,
tanto più che lintero fascicolo n. 3 del 1997 della rivista Futuribili,
pubblicata dalleditore Franco Angeli per conto dellIstituto di sociologia
internazionale di Gorizia, è interamente dedicato a tale dibattito, ricordato
dai protagonisti, a un quarto di secolo dalla comparsa del libro del Club di Roma.
Vorrei piuttosto limitarmi a una breve rassegna delle cause di instabilità
degli affari della Terra provocate dalla innegabile esistenza dei limiti fisici
ed ecologici del nostro pianeta: scarsità di acqua, di fonti di energia,
di minerali, decrescente capacità ricettiva dei fiumi, del mare, dellaria
per i rifiuti della tecnosfera. Molte cose sono cambiate negli ultimi 25 anni
del Novecento: il mondo che entra nel XXI secolo è almeno apparentemente
unificato, liberato dalla contrapposizione fra due imperi, quello basato sul libero
mercato e quello basato sulleconomia pianificata, con un terzo mondo
di paesi poveri o poverissimi. Oggi abbiamo un solo grande mondo e
sembra essersi realizzata quella unificazione globale, planetaria, che è
stata il generoso sogno di tanti pensatori. A guardare un po meglio, le
cose non sono però proprio così rosee. Il principio che sta alla
base dei rapporti interni e internazionali in tutto il mondo è oggi quello
del libero mercato: i popoli del pianeta sono, sì, uniti, ma sono esposti
a una grande continua competizione nella produzione e nellofferta di beni
materiali, il cui possesso e la cui conquista appaiono come il fine fondamentale
della vita. La popolazione terrestre, oggi ormai di oltre 6.000 milioni di
persone - questa fatidica soglia è stata superata nel giugno 1999 - ha
un tasso di natalità che sta lentamente rallentando, ma si allunga la vita
media per cui il numero dei terrestri continua ad aumentare di oltre 70 milioni
di persone allanno. Si tratta di persone, non numeri, diverse come lingua,
religione, condizioni di vita, ma tutte unite da bisogni simili: di abitazioni,
di lavoro, di libertà, di dignità, di salute, di acqua e di cibo,
di energia e di informazioni e conoscenze. Tutti questi bisogni possono essere
soddisfatti soltanto con oggetti materiali: anche i bisogni apparentemente spirituali,
immateriali, richiedono beni fisici. Se anche i terrestri impareranno a non risolvere
più i conflitti con la violenza, sarà sempre difficile godere di
libertà e dignità quando si vive in promiscuità, in abitazioni
malsane, quando non cè cibo sufficiente e acqua pulita e quando si
vedono morire i bambini in tenera età spazzati via da epidemie. Abitazioni,
cibo, acquedotti, ospedali, scuole, reti di telecomunicazione richiedono metalli,
mattoni, tubi, energia e tanti altri oggetti materiali che possono essere tratti
soltanto utilizzando le grandi riserve delle ricchezze della natura: combustibili,
minerali, acqua, vegetali e animali, eccetera. Le riserve di risorse naturali
a cui attingere sono grandi, ma non infinite. Gli ecologi spiegano bene che ogni
territorio della natura può ospitare un numero non illimitato
di individui animali, la cui popolazione si autoregola, sulla base della capacità
di carico, o capacità portante (della carrying capacity, come la chiamano
gli ecologi) del territorio stesso, sia esso un lago, un pascolo, un bosco o lintera
biosfera. Ogni territorio della natura può fornire materie, ma non in quantità
illimitata: un pozzo petrolifero o una miniera possono fornire materie in quantità
grande, forse grandissima, ma non infinita. È vero che lo spettro dellesaurimento
delle miniere inglesi di carbone, agitato da Jevons, è stato dissolto dalle
scoperte dei giacimenti di petrolio, ma anche i celebri ricchi giacimenti di petrolio
nordamericani hanno da tempo esaurita la parte più facilmente estraibile.
È vero che sono stati scoperti altri giacimenti, eccetera, ma ogni volta
che le attività umane, produttive, merceologiche, toccano le riserve di
risorse della natura lasciano alle spalle, per le generazioni future, una natura
impoverita. Il pianeta ha in serbo grandi quantità di risorse che vengono
continuamente reintegrate dai grandi cicli naturali: i vegetali si riproducono
continuamente grazie allenergia solare; lacqua continuamente evapora
e ricade sui continenti rinnovando le riserve idriche disponibili. Le grandi forze
della natura, lenergia del Sole, del vento, del moto delle acque, possono
offrire energia in alternativa ai combustibili fossili le cui riserve si impoveriscono
continuamente. Ma neanche da questo lato possiamo stare molto tranquilli:
le attività antropiche producono i beni materiali trasformando le risorse
della natura, ma i beni, una volta usati, non scompaiono: la nostra non è
una società dei consumi, perché ogni atomo, ogni molecola
degli oggetti che entrano nella nostra vita - dalla benzina ai metalli, dagli
alimenti ai tessuti, dalla carta ai computer - continua a essere presente nella
biosfera, sia pure in genere in forma modificata, più o meno trasformata.
Gli atomi presenti nei combustibili, dopo avere svolto la loro funzione di generare
energia, si ritrovano nelle molecole gassose che finiscono nellatmosfera:
anidride carbonica, ossido di carbonio, idrocarburi, ossidi di azoto e zolfo,
e innumerevoli altre; gli atomi presenti negli alimenti o nei detersivi si ritrovano,
in forma più o meno modificata, nelle acque di scarico delle comunità
urbane; molte scorie delle attività produttive vengono ugualmente immesse
nei fiumi e nei laghi e nelle falde idriche del sottosuolo. La massa dacqua
che entra e esce dalle fabbriche o dalle città può essere costante,
ma la qualità ecologica, e anche lattitudine a essere
usata per fini umani, dellacqua viene continuamente peggiorata. Le scorie
solide possono essere sepolte nel sottosuolo, o bruciate o trattate per ricuperarne
qualche materia utilizzabile, ma alla fine esse contaminano il sottosuolo, o laria,
o generano altri rifiuti. Limpoverimento
entropico della natura Le stesse operazioni di riciclo e riutilizzo
delle merci usate, pur imposte dalle leggi in molti paesi, fra cui lItalia,
e lodate dai movimenti ambientalisti, consentono di ricuperare soltanto una parte
dei materiali trattati. A titolo di esempio guardiamo al caso della carta, costituita,
come è ben noto, principalmente da fibre di cellulosa: in via teorica da
un chilo di carta usata dovrebbe essere possibile ricuperare un chilo di cellulosa
adatta per fare un altro chilo di carta. Sfortunatamente la cellulosa della carta
è addizionata con collanti, coloranti, inchiostri, cioè con quegli
agenti chimici che consentono alla carta di svolgere la sua funzione. Nel caso
della carta dei giornali è proprio la contaminazione con inchiostro
che porta dentro di sé le informazioni per cui compriamo il
giornale. Per ricuperare la cellulosa dalla carta usata bisogna eliminare
molte delle sostanze addizionate per cui alla fine si ha meno di un chilo di carta
riciclata da ogni chilo di carta usata. Un interessante economista americano,
Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994), morto alcuni anni fa (su di lui è
stata pubblicata una scheda nella rubrica persone in questo stesso
n. 4 di altronovecento), ha scritto che ogni volta che la materia viene impiegata
per fabbricare una merce o un oggetto, dopo l'uso non è più ricuperabile
integralmente: una parte va inevitabilmente persa per una specie di degradazione
della qualità della materia, simile alla degradazione entropica
dellenergia. Ecco che il quadro della scarsità dei beni naturali
comincia ad assumere un volto più preciso. Le risorse della natura si impoveriscono
in quantità proporzionale alla quantità e alla massa degli oggetti
fabbricati dagli esseri umani; inoltre si impoveriscono perché gli oggetti
vengono fabbricati senza alcuna cura per quello che succederà quando gli
oggetti stessi non serviranno più e finiranno nei corpi riceventi naturali
peggiorandone la qualità, riducendone la capacità ricettiva per
altri rifiuti e scorie future. Dove
troveremo tutto il pane? Di quanti materiali avranno bisogno gli abitanti
della Terra che, secondo anche le più caute stime, passeranno dagli attuali
oltre 6.000 milioni di persone a oltre 6.500 milioni nel 2010, a circa 7.400 milioni
nel 2025? Da dove potranno prenderli? La prima indispensabile merce per la sopravvivenza
degli esseri umani è rappresentata dagli alimenti. Gli attuali abitanti
della Terra traggono le sostanze caloriche e proteiche per il loro cibo da circa
2.500 milioni di tonnellate di cereali, carne, grassi, zucchero, verdure, frutta,
eccetera: questa cifra, e il relativo contenuto energetico e proteico, divisi
per 6.000 milioni, sembrano indicare che il cibo disponibile per ciascuna persona
è superiore al minimo fabbisogno. Ma la situazione, così formulata,
è ingannevole. I 6.000 milioni di terrestri non sono tutti uguali, quanto
a disponibilità di beni: circa 1.500 milioni di abitanti nei paesi industrializzati
(Nord America, Europa, Russia, Giappone, Australia) dispongono di circa i due
terzi dei prodotti alimentari forniti dallagricoltura e dalla zootecnia.
Gli altri 4.500 milioni di terrestri hanno alimenti in quantità di poco
superiore, in qualche caso anche inferiore, alla soglia della sopravvivenza. Questa
ineguale, anche iniqua, distribuzione degli alimenti è dovuta a molti fatti.
Alcuni sono economici: i paesi poveri non hanno niente da vendere in cambio dei
prodotti agricoli di cui hanno bisogno; spesso non hanno acqua per lirrigazione
o sono privi di attrezzature per coltivare le proprie terre. In altri casi i proprietari
dei terreni preferiscono coltivarli a piante economiche - arachide, canna da zucchero,
cotone, eccetera - i cui prodotti possono essere esportati, per cui le popolazioni
povere locali non hanno sufficiente suolo da coltivare per le proprie necessità. La
scarsità degli alimenti disponibili per molte popolazioni è dovuta
anche al fatto che non tutto il contenuto alimentare dei raccolti è destinato
all'alimentazione umana; circa un quarto dei cereali prodotti nel mondo viene
usato per lalimentazione del bestiame che fornisce carne, cioè alimenti
proteici ricchi consumati prevalentemente dalle società ricche del mondo.
Poiché occorrono circa dieci unità di energia e dieci unità
di proteine vegetali (cereali, foraggi) per ottenere una unità di energia
e di proteine della carne, si vede che una parte dei terrestri dispone di alimenti
biologicamente più pregiati a spese di cereali e raccolti che vengono sottratti
all'uso diretto da parte della restante popolazione. E ancora: una parte dei raccolti
va perduta in seguito ai processi di trasformazione e conservazione e allattacco
di parassiti, per le cattive condizioni di conservazione, condizioni più
gravi nei paesi poveri. Leffetto combinato di una non abbondante disponibilità
di raccolti e di una perdita di parte delle sostanze nutritive fa sì che,
fra la popolazione terrestre, alcune centinaia di milioni di persone soffrano
di malattie per sottoalimentazione e denutrizione. Si potrebbero aumentare e migliorare
i raccolti di prodotti agricoli alimentari? La risposta è sì, anche
se le soluzioni possibili nascondono a loro volta varie trappole tecnologiche.
È possibile - e viene fatto - tagliare i boschi per ricuperare terre coltivabili;
è possibile dirottare il corso dei fiumi per irrigare terre povere di acqua;
le nuove terre messe a coltura, peraltro, spesso si rivelano fertili
per qualche tempo, ma risultano poi ecologicamente fragili col passare del tempo,
esposte all'erosione dovuta alle piogge e al vento, all'aumento della salinità
per l'eccessiva evaporazione. È possibile impiegare sementi ad alta resa
(furono alla base della rivoluzione verde di molti anni fa e delle
promesse delle attuali biotecnologie), ma le nuove colture richiedono
un aumento dell'uso di acqua per lirrigazione e delluso di concimi
e pesticidi che hanno effetti negativi su altri equilibri ecologici e sulla qualità
delle acque superficiali e sotterranee. Per sconfiggere la sottoalimentazione
e far fronte allaumento della domanda di alimenti da parte della popolazione
mondiale in aumento, bisogna agire dalla parte agricola, ma anche dalla parte
dei consumi. Molti consumi alimentari sono dovuti a sprechi e a mode effimere,
talvolta addirittura nocive per la salute. Nuove tecniche di conservazione degli
alimenti potrebbero proteggere i raccolti dalla distruzione. Qualunque soluzioni
si adotti, comunque, è difficile far fronte alla domanda di alimenti del
prossimo quarto di secolo se i raccolti agricoli non supereranno almeno i 3.000
milioni di tonnellate allanno, un aumento rispetto allattuale produzione
molto difficile, faticoso e costoso da realizzare. Forse la tecnologia agraria
e agroindustriale non basterà: forse andranno riviste le politiche agricole
dei vari paesi che proteggono i prezzi e il reddito dei loro agricoltori limitando
la produzione agricola, anche se non so immaginare come sia possibile elaborare
una politica agricola planetaria che garantisca reddito agli agricoltori e più
equa distribuzione dei raccolti.
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Scarsità
d'acqua |  | La
fame di acqua Laltra grande materia naturale essenziale per soddisfare
i bisogni elementari umani è costituita dallacqua. Lacqua serve
per bere, per la cottura degli alimenti, per ligiene, per smaltire i rifiuti
domestici; serve per lirrigazione dei campi e per le industrie. Anche in
questo caso, come per il cibo, ci sono enormi squilibri sia nelle disponibilità
naturali, sia negli usi. Nei paesi industrializzati e a più alto tenore
di vita i consumi e la domanda sono molto elevati e sono elevati gli sprechi,
al punto che spesso lacqua è scarsa o addirittura manca. In altri
paesi ci sono grandi disponibilità di acqua dolce, ma lontano dalle comunità
che ne avrebbero bisogno. Inoltre lacqua, nel suo moto sulla superficie
terrestre, esercita azioni di erosione del suolo che provocano frane e alluvioni. Le
Nazioni Unite raccomandano un uso razionale dellacqua, ma i paesi industriali
continuano nella loro politica di sprechi e continuano a contaminare le acque
dei fiumi e dei laghi immettendovi i propri rifiuti, mentre i paesi poveri continuano
a non avere acqua di qualità decente. La cosa è aggravata dal fatto
che i diversi paesi esercitano una sorta di proprietà su pezzi di fiumi
e di laghi, in ciascuno dei quali praticano una politica diversa. La soluzione
può essere cercata in una grande nuova visione di solidarietà fra
persone che appartengono alle stesse valli, agli stessi fiumi. Non
esistono gli abitanti della Lombardia o del Piemonte, ma esiste il popolo del
fiume Po, unito nel bene e nel male da tutto quello che succede nel grande bacino
idrografico, nel fiume principale e nei suoi affluenti e nelle valle relative,
dalla Bormida ligure, al Tanaro piemontese, al Ticino, compresa la parte svizzera,
al Panaro che appartiene allEmilia-Romagna, eccetera. Fino a
quando non ci renderà conto che Torino e Pavia e Cremona e Ferrara sono
unite dalle comuni acque, superficiali e sotterranee, e devono insieme decidere
dove fare o non fare depuratori e dighe, dove costruire e vietare ledificazione
e autorizzare i prelievi, la situazione dellerosione, delle alluvioni e
della contaminazione delle acque si farà sempre più grave. Lo
stesso vale per tanti altri bacini idrografici, piccoli e grandi, dal Tevere alla
Magra-Vara, allOfanto, per restare a casa nostra, ai bacini internazionali
del Reno, o del Danubio, o del Giordano, o del Tigri-Eufrate, ai bacini dello
Zaire-Congo e dei fiumi asiatici. Ci sono già segni di guerre e conflitti
per la conquista di risorse idriche scarse, ancora più gravi di quelli
per il petrolio o per il cromo. Il ragionare per bacini idrografici può
essere una nuova maniera per affrontare la scarsità di acqua, per decidere
le priorità nel suo uso.
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Inquinamento
industriale |  | La
fame di energia Le comunità umane non si nutrono solo di acqua,
calorie e proteine: lenergia è laltro grande bene fisico essenziale
per alimentare le abitazioni, le città, per consentire la produzione
di merci e per spostare le persone e i beni materiali. Se il fabbisogno di risorse
agro-alimentari ammonta oggi a circa 2.500 milioni di tonnellate allanno,
le fonti di energia estratte dal sottosuolo sotto forma di carbone, petrolio,
gas naturale, ammontano a circa 10.000 milioni di tonnellate allanno. I
diversi combustibili fossili vengono misurati con una unità comune di misura,
il "contenuto di energia" espresso in tonnellate equivalenti di petrolio
(tep; più correttamente in joules: 1 tep = circa 42 miliardi di joules).
Così lenergia contenuta in tutti i combustibili fossili usati ogni
anno nel mondo corrisponde a circa 8.000 milioni di tep (circa 320 exajoules,
EJ), a cui vanno aggiunti circa altri 1.000 milioni di tep (circa 40 EJ) di energia
liberata come energia nucleare o idroelettrica. I circa 9.000 milioni di tep
sono però usati molto diversamente dai vari abitanti della Terra: il consumo
medio mondiale di energia si aggira intorno a 1,5 tep/anno per persona (circa
60 milioni di joule, GJ, allanno per persona), ma gli abitanti dei paesi
industrializzati del Nord del mondo hanno a disposizione circa 3,8 tep/anno per
persona (circa 160 GJ/anno per persona) mentre, sempre in media, gli abitanti
dei paesi poveri e meno industrializzati del Sud del mondo hanno a disposizione
soltanto 0,7 tep/anno per persona (circa 30 GJ/anno). Di quanta energia avranno
bisogno i 7.400 milioni di persone che abiteranno la Terra nel 2025? Sono state
e vengono continuamente pubblicate previsioni dei fabbisogni energetici mondiali,
sulla base di scenari che vanno da visioni cornucupiane a visioni
neomalthusiane. Stando in mezzo fra le due, è difficile, se non avvengono
coraggiosi mutamenti nei rapporti internazionali e nei progetti di vita individuale
e collettiva, immaginare che nel 2025 la domanda di energia totale mondiale sia
inferiore a 12.000 milioni di tep/anno (circa 500 EJ/anno). Con questa cauta previsione
la richiesta totale cumulata di energia da oggi al 2025 difficilmente risulterebbe
inferiore a 250.000 milioni di tep (10.000 EJ). E già così lo
spettro della scarsità si affaccia prepotente. Le migliori stime delle
riserve mondiali di petrolio e di gas naturale indicano valori, insieme, di circa
300.000 milioni di tep (circa 13.000 EJ); le riserve di carbone vengono stimate
intorno a 2.000.000 di milioni di tep (80.000 EJ). Sembrerebbero valori tranquillizzanti,
ma non si deve dimenticare che, se continuassero le attuali tendenze, i consumi
effettivi sarebbero molto maggiori. È vero che in questa gara lingegno
umano ha fatto fronte finora ai fenomeni di scarsità: il petrolio ha sostituito
in parte il carbone, il gas naturale esistente nel sottosuolo può adesso
essere imbrigliato e trasportato a migliaia di chilometri di distanza, eccetera.
È vero che è possibile forse trovare nuovi giacimenti di petrolio
o gas naturale, ma ogni passo avanti tecnico-scientifico comporta maggiori costi
monetari (ed energetici) e maggiori tensioni internazionali. Ogni paese che possiede
riserve del sempre più richiesto petrolio o metano tende a esercitare pressioni,
o anche ricatti, verso i clienti affamati di energia. È possibile usare
meglio il carbone, le cui riserve sono molto maggiori di quelle combinate del
petrolio e del gas naturale, anche se lestrazione e luso del carbone
comportano problemi umani e ambientali notevoli. Leventuale ottimismo
è inoltre raffreddato da due considerazioni: la prima è che lorizzonte
del 2025, a cui in genere ci si riferisce, è molto vicino e corrisponde
a poco più di una generazione. Nel 2025 i bambini che nascono oggi nel
mondo si staranno affacciando al lavoro, cominceranno ad avere i primi figli e
dovranno vivere, in media, altri 40 o 50 anni (secondo le previsioni di vita media
dei paesi industriali odierni), nel corso dei quali aumenterà continuamente
la domanda di energia. La seconda fonte di preoccupazione riguarda il forte
effetto negativo che luso dei combustibili fossili ha sulla composizione
chimica dellatmosfera. I combustibili fossili oggi bruciati nel mondo immettono
nellatmosfera circa 25.000 milioni di tonnellate allanno di gas: principalmente
anidride carbonica, ma anche ossido di carbonio, metano e altri idrocarburi, che
contribuiscono a trattenere una crescente frazione dellenergia solare che
raggiunge la superficie dei continenti e degli oceani. Il relativo riscaldamento
planetario provoca, secondo anche le più caute stime, modificazioni climatiche
con effetti sulla piovosità, sullavanzata dei deserti, sullinvasione
delle zone costiere. Si può sempre contare, secondo la migliore tradizione
dei cornucopiani, sulla scoperta di nuove fonti di energia, su processi per filtrare
i gas dellatmosfera e attenuare leffetto serra, anche se la storia
induce a grande cautela: gran parte dellentusiasmo riposto, negli anni cinquanta,
nellenergia nucleare da fissione ha mostrato di essere stato eccessivo.
Il sogno della fusione nucleare sembra destinato a restare tale almeno per molti
decenni. Ci sono senza dubbio possibilità tecniche per migliorare luso
a fini commerciali dellenergia solare e delle forme energetiche rinnovabili
che dal sole dipendono: lenergia del vento, del moto ondoso, delle materie
combustibili presenti nella biomassa fabbricata con il processo naturale
di fotosintesi. Il grande potenziale di queste vie è stato finora mortificato
dal successo delle fonti di energia tradizionali, finora disponibili in abbondanza
e a basso prezzo: una svolta verso una società solare o biotecnica è
possibile ma richiede grandi sforzi di ricerca, di fantasia, di innovazione, che
dovrebbero essere avviati oggi se si volesse avere qualche successo su larga scala
nei primi decenni del XXI secolo.
Bisogni di che cosa? Alimenti,
acqua, energia rappresentano senza dubbio le voci più rilevanti della massa
di materia di origine naturale richiesta per lattuale e le future generazioni.
Ma non si vive solo di questo: le società moderne hanno bisogno di mezzi
di trasporto e di strade, di acciaio, di cemento per costruire edifici, di tubazioni
per trasportare lacqua e per le fognature, di indumenti e detersivi, di
mobili e di strumenti di telecomunicazione sempre mutevoli, per rispondere alla
domanda dei consumatori, spesso sollecitata e ingigantita con le raffinate tecniche
della pubblicità. Ciascuno di questi oggetti richiede materiali, dai 1.300
milioni di tonnellate di cemento, ai 750 milioni di tonnellate di acciaio o ai
300 milioni di tonnellate di carta, prodotti ogni anno nel mondo, ai tanti materiali
usati in quantità piccole, ma che devono essere estratti da grandi quantità
di roccia, con tecnologie ad alto consumo di energia. Nello stesso tempo cè
una potenziale, e ancora largamente insoddisfatta, domanda di beni materiali per
gli abitanti del Sud del mondo: anche in questo caso si tratta di abitazioni,
fognature, acquedotti, ospedali, scuole, strumenti di comunicazione, indumenti,
probabilmente diversi da quelli a cui siamo abituati oggi nel Nord del mondo,
anche se le raffinate tecniche del commercio e della finanza globalizzate cercano
di omogeneizzare bisogni e merci, di trasformare i miliardi di abitanti del Sud
del mondo in consumatori delle stesse merci per la cui conquista ci arrabattiamo
noi nel Nord del mondo. I sociologi, i demografi, gli psicologi potranno dare
utili indicazioni sulle tendenze della popolazione e sui meccanismi che governano
i consumi: lo studioso di materiali e di risorse naturali avrà il suo bel
da fare per capire come produrre e da dove trarre i materiali e le merci occorrenti
per soddisfare i bisogni umani del futuro.
Chi ci salverà? I
dati oggi disponibili indicano che lattuale situazione dellaumento
della popolazione, della produzione e dei consumi è insostenibile e nasconde
i germi di quelle turbolenze e tensioni intuite da Malthus e preconizzate dai
pur grossolani calcoli del libro del Club di Roma. Ciò non può e
non deve scoraggiare: anzi, la crescente consapevolezza della natura dei problemi
che ci aspettano è un forte positivo stimolo per capire come è possibile
organizzare le comunità e società umane in modo da soddisfare i
bisogni umani con minore impoverimento delle scorte di risorse naturali e con
minore contaminazione ambientale. I vincoli e le prospettive della scarsità
non impoveriscono la vita quotidiana, ma anzi la arricchiscono di opportunità. Un
passo importante può essere fatto in una revisione delle attuali regole
delleconomia e nella ricerca di indicatori del valore delle merci e dei
servizi diversi da quelli attuali e più coerenti con le regole della economia
della natura. A integrazione della misura del valore in unità monetarie,
bisogna identificare i valori naturali: per esempio per ciascun processo
produttivo, o prodotto, o servizio, occorre conoscere quanta acqua è necessaria,
quanta energia è necessaria, quali effetti ambientali negativi si generano.
Si comincia ormai a parlare di un "costo in acqua", di un "costo
energetico", di un "costo ambientale" delle merci e dei servizi,
definiti, rispettivamente, come kg di acqua, o joule di energia, o kg di agenti
inquinanti associati alla produzione di un kg di un oggetto, o alla possibilità
di scaldare un metro cubo di un locale, o alla possibilità di far percorrere
un chilometro a una persona o a un kg di merce. Su questa base sarà
possibile confrontare gli alimenti, gli edifici, i mezzi di trasporto, considerando
preferibili quelli che hanno un minore costo in acqua o costo
energetico o che inquinano di meno e progettare oggetti di lunga durata,
fatti con materiali facilmente riutilizzabili e riciclabili, in grado di rallentare,
a parità di servizio o di effetto economico, il crescente impoverimento
delle riserve di risorse naturali che sono il vero fattore limitante dello sviluppo
economico, sociale e individuale. Certo, molti degli oggetti, delle soluzioni
edilizie, dei macchinari attuali appariranno obsoleti, alla luce dei nuovi indicatori,
dovranno essere cambiati e sostituiti. Daltra parte la transizione verso
una nuova economia comporta un arricchimento in termini di maggiore occupazione,
di maggiore innovazione, di più razionale progettazione delle città
e delle fabbriche e degli oggetti. Loperazione non è facile e la
transizione sarà tanto più lenta quanto più lentamente ci
renderemo conto della sua necessità. Daltra parte, una volta avviata,
la transizione avrà bisogno di ingegneri, di chimici, di geologi, di biologi,
di economisti, di analisti dei sistemi, ma anche di tecnici e operai, nellagricoltura,
nelle fabbriche, negli uffici. Il cambiamento qui accennato è anche
la premessa per un riequilibrio della popolazione terrestre: i demografi spiegano
bene che, quando una comunità si libera dalla schiavitù del bisogno
e dellignoranza, quando le donne acquistano maggiore consapevolezza dei
propri diritti, quando aumenta la mobilità da una terra allaltra,
da un paese allaltro, si verifica una transizione demografica
nella quale diminuisce la natalità e la vita è resa decente anche
per gli anziani, e alla fine la popolazione terrestre tende a stabilizzarsi verso
un valore in cui ci siano più dignità e opportunità per tutti,
compatibile con la capacità portante del nostro pianeta.
di
Giorgio Nebbia
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