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L'11 settembre

Il decennio perduto

di Mikhail Gorbaciov
22 novembre 2001



E ora: che fare? L'azione militare contro l'Afganistan si sta allungando, le speranze di un rapido successo non si sono avverate. Peggio, sempre più insistentemente si sente parlare di un'estensione dell'azione militare nello spazio e nel tempo.

L'11 settembre ha modificato tutte le coordinate della nostra vita, ma sembra che questa constatazione, che tutti ripetono, non venga seguita da una riflessione adeguata. Non abbiamo in realtà ancora ben valutato ciò che è accaduto e perché. Io penso che l'11 settembre abbia rappresentato la fine dell'ideologia del mondo unipolare, il punto di svolta oltre il quale la "globalizzazione unilaterale" non potrà più procedere. Credo che quella data costituisca anche la tragica sepoltura della filosofia del post Guerra Fredda così com'è venuta sviluppandosi dalla fine dell'Unione Sovietica in avanti. Il 1991-2001 potremmo definirlo un "decennio perduto".

Ricordo che alla vigilia dell'inizio di quella fase effimera della storia chiamata post-Guerra Fredda furono legate molte speranze e molte idee innovatrici. Si parlava allora della necessità di creare un nuovo sistema di relazioni internazionali che fosse all'altezza della "perestrojka del mondo intero". I mutamenti del quadro europeo rappresentavano la conferma che quella era la direzione di marcia. La nascita dell'Europa non era forse il migliore esempio? L'unificazione della Germania non aveva aperto una pagina nuova nella storia europea? C'era stata la Conferenza di Vienna per la riduzione delle forze armate e degli armamenti convenzionali. C'era stata la Conferenza di Parigi, che aveva posto le basi per una nuova sicurezza del vecchio continente e del mondo. Era stata evidenziata la necessità di una riforma della Nato e del Patto di Varsavia. Era stata posta all'ordine del giorno l'eliminazione delle armi nucleari, e poi di quelle chimiche e batteriologiche.

Dopo la fine dell'URSS questi processi positivi furono interrotti. Subentrò in molti circoli occidentali l'euforia della vittoria, tanto più gradita quanto meno prevista. Si perdette tempo prezioso nelle infinite celebrazioni del trionfo sul comunismo. E si perdette di vista la complessità del mondo, i suoi problemi, le sue gravissime contraddizioni. Si dimenticò la povertà e l'arretratezza, ci si preoccupò di ricavare il massimo vantaggio dagli squilibri esistenti invece che cercare di ridurli, di controllarli. Ci si dimenticò della necessità di costruire un nuovo ordine mondiale, più giusto di quello che ci si era lasciato alle spalle. Così, nel decennio che è appena finito, si è accesa una miccia, che l'11 settembre ha portato il fuoco all'esplosivo. Quel giorno è stato anche, in un certo senso, il prezzo terribile di un decennio perduto. Adesso il mondo si è svegliato all'improvviso, in un incubo. Troppo impegnati a festeggiare le vertiginose impennate delle Borse, i politici non capirono, le banche non controllarono, i servizi segreti non si accorsero che il terrorismo stava accuratamente preparando la propria offensiva letale. Nel silenzio e nella distrazione generali, o addirittura con taciti consensi, l'Afghanistan dei taleban si era trasformato in un nido terroristico capace di alimentare tutti i terrorismi del mondo. Ora tutti condannano, tutti esecrano il massacro di New York e di Washington, tutti invocano giustizia. E, probabilmente, l'azione militare era, a questo punto, inevitabile.

Ma ciò che preoccupa è il fatto che, con l'avvio delle operazioni belliche, si stanno perdendo di vista i problemi fondamentali con i quali i terroristi si stanno coprendo. La fase bellica non può essere protratta indefinitamente. Dev'essere chiaro che più essa si prolunga, maggiori saranno le difficoltà di tenere assieme una "grande alleanza" che comprenda anche la maggioranza dei regimi arabi moderati. In queste settimane di bombardamenti sull'Afghanistan già è emerso con inquietante evidenza il rischio di destabilizzazione cui è sottoposto il fragile regime del Pakistan. E un Pakistan che implode può significare la fine dell'equilibrio del terrore tra Islamabad e New Delhi. In altri termini potremmo trovarci sull'orlo di una guerra tra paesi che dispongono di armi nucleari. La limpidezza della lotta contro il terrorismo non può inoltre essere offuscata da calcoli politici e geopolitici il cui scopo è di accontentare questo o quel leader regionale, questo o quell'interesse particolare.

Meno che mai sarebbe legittimo paludarsi della lotta contro il terrorismo per moltiplicare il controllo di Stati e territori stranieri e per estendere aree d'influenza. Indipendentemente dalle operazioni militari bisogna affrontare subito un esame realistico della situazione mondiale, che abbia all'ordine del giorno la governabilità del pianeta, la creazione di istituzioni sovrannazionali adeguate, la riforma di quelle esistenti, con il più ampio consenso di civiltà e culture e non solo nell'interesse dei più forti, com'è avvenuto fino a ieri. Ho letto che in un solo giorno, a Peshawar in Pakistan, estremisti islamici hanno potuto raccogliere oltre 500 impegni di giovani potenziali kamikaze per la Jihad contro il Satana occidentale. Quanti potranno diventare questi kamikaze?
Se l'Occidente sbaglierà i suoi calcoli e le sue mosse, il rischio reale, concreto, è che si moltiplichino fino al punto da rendere impossibile una difesa, poiché non c'è modo di difendersi - se non trasformando le nostre società in caserme e trincee - da uomini e giovani che pensano di non avere nulla da perdere e decidono non di vincere ma di morire per annientare il vincitore. Sia questa parte del compito - indubbiamente la più lunga, e complessa, e difficile - sia quella concernente la caccia ai terroristi, cioè gli aspetti militari e giuridici, debbono essere posti sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. L'Onu è l'unico organismo in grado di garantire il consenso, anche formale, della grande maggioranza dei paesi e dei popoli del pianeta. Dobbiamo essere guidati, in questo momento difficile, dal realismo e dalla lungimiranza. Non si può ridurre la lotta contro il terrorismo alle azioni militari, dimenticando gli acutissimi problemi sociali di una grande maggioranza del mondo. Questa sarebbe la via sicura verso una sconfitta.

Mikhail Gorbaciov è Presidente Fondatore di Green Cross



 

 
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