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Scena di guerra in medio oriente
Scena di guerra in medio oriente

UNA PACE SEMPRE PIÙ DIFFICILE

di Mikhail Gorbaciov

Da "La Stampa" del 18 aprile 2002

Inutile negarlo: la temperatura politica del pianeta sta crescendo. A leggere i commenti della grande stampa internazionale e, in generale, dei media più influenti, prevalgono i toni oscuri. La guerra afghana sembra tutt'altro che conclusa e il processo di normalizzazione interna dell'Afghanistan procede con grandi difficoltà. Nello stesso tempo la situazione in Pakistan rimane incerta e, di conseguenza, restano aperti tutti gli interrogativi della crisi, non conclusa, tra Pakistan e India. Si moltiplicano le voci che gli Stati Uniti stanno preparandosi ad un attacco contro l'Iraq di Saddam Hussein. Non si levano voci, dall'Amministrazione di Washington, che smentiscano questi piani.

Al contrario si ha l'impressione che stia crescendo la preparazione psicologica del pubblico all'eventualità di un'offensiva militare. E questo suscita una grande preoccupazione in Europa, nel mondo arabo e in Asia. La crisi israelo-palestinese rimane acutissima.

Il processo di pace è stato spezzato, e da varie parti si sentono voci che mettono in dubbio sia l'esistenza stessa dello Stato di Israele che la possibilità di creare uno Stato palestinese. In quel lembo di terra sono in corso ormai operazioni belliche e il rischio di un contagio, cioè di una sua estensione, cresce di giorno in giorno.

Nei miei ultimi articoli per questo giornale ho ripetutamente sollevato l'allarme per il degenerare della situazione internazionale. Confermo la mia opinione: occorre alzare il livello dell'azione politica internazionale collettiva verso l'organizzazione della pace, contro l'organizzazione della guerra.

Non possiamo arrenderci di fronte alle complicazioni.
Se ci guardiamo attorno con realismo vediamo che le tendenze più pericolose possono essere circoscritte e bloccate e che si può aprire la strada per processi inversi, positivi. Nessuno riuscirà in questa impresa da solo. Seppure tardive, oggi in Medio Oriente sono in corso ricerche collettive di una soluzione di stabilizzazione, di proseguimento del processo di pace.

È ancora difficile giudicarne i risultati, ma è evidente che bisogna insistere in questa direzione. Inoltre è estremamente promettente lo sviluppo del dialogo tra Europa e Russia.
Nel Forum russo-tedesco di Weimar, il cancelliere Schroeder e il presidente Putin hanno trovato un linguaggio comune attorno all'idea cruciale che il problema della sicurezza europea deve includere in modo permanente, strutturale, la Russia. Identiche posizioni sono state confermate da Tony Blair e da Silvio Berlusconi.

Sembra che anche George Bush si sia associato a questa visione. Da qui si può ripartire. La posizione assunta da Vladimir Putin dopo l'11 settembre fu estremamente chiara, ed è stato giusto prenderla sul serio. L'inclusione della Russia, a pieno titolo, nei processi decisionali della Nato è un fatto positivo, anche se dobbiamo ancora aspettare gli esiti del vertice di Roma per poter tirare le somme.

Il processo di avvicinamento della Russia alla Nato incoraggerà la trasformazione dell'Alleanza atlantica organismo sempre meno militare e sempre più politico. La Nato, come struttura esclusivamente militare, non potrebbe comunque esaurire il problema della costruzione dell'architettura della sicurezza europea e inter-atlantica.

Ci sono molti problemi che non possono essere inclusi e risolti all'interno della logica militare. Si prenda ad esempio l'importante proposta di Putin circa la costruzione di un programma di sicurezza energetica collettiva. Certo, ci sono interessi diversi da mettere nel conto, talvolta anche contrastanti. Ma ormai la realtà è talmente modificata che le collisioni d'interessi tra Stati Uniti e Unione Europea non sono inferiori - al contrario! - a quelle tra Stati Uniti e Russia.

Eppure questo non impedisce la ricerca e la soluzione concordata dei problemi. Il quadro che abbiamo di fronte richiede dunque una nuova visione politica e culturale. Siamo di fronte a sfide colossali: primo, la sicurezza, la lotta al terrorismo; secondo, il superamento della povertà e dell'arretratezza; terzo, la minaccia ecologica globale. La lotta contro il terrorismo non può essere risolta in termini militari, questo dovrebbe essere chiaro a tutti, ma è certamente impossibile risolverla senza modificare le condizioni che producono il terrorismo e gli offrono il terreno di coltura e di sviluppo.

Restano troppe ineguaglianze nel mondo, troppe persone sono povere e vivono - se la possiamo chiamare vita - senza sperare di poter migliorare le proprie condizioni. La loro è piuttosto, va detto, una lotta per la sopravvivenza. E questa è la fonte dei maggiori pericoli a cui andiamo incontro. E, sopra ogni altra sfida dell'immediato futuro, c'è quella della insostenibilità dell'attuale sviluppo.

Noi stiamo compromettendo gli equilibri naturali del pianeta e non vi sono organismi dotati dei poteri necessari per realizzare una governance democratica e consensuale dei processi, che difenda la collettività umana tenendo conto degli interessi nazionali e di quelli globali.

Dovremmo attrezzarci a costruire in fretta agenzie sovrannazionali, cui delegare una parte della sovranità degli Stati, affinché possano prevedere, controllare, gestire, i temi critici dello sviluppo del pianeta. Ritengo che questo argomento debba dominare l'ordine del giorno del Forum di Johannesburg, che si terrà nell'agosto-settembre di quest'anno. Bisogna agire. Per percorrere una strada bisogna mettersi in cammino.

 

 

 

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