|
Ramallah: la sede di Al Mavred
distrutta | | 21
aprile: ritorno a Ramallah Palestina:
la terza testimonianaza dal campo: il ritorno a Ramallah dopo l'assedio. Un lungo
viaggio atraverso territori devastati e scenari di guerra. di
Carla Benelli Oggi,
insieme al mio collega architetto, tentiamo di raggiungere Ramallah. Da più
di due settimane non riusciamo ad andare in ufficio e vogliamo sapere che cosa
ne è successo. Le notizie ci dicono che non c'è più coprifuoco,
che l'esercito israeliano si è ritirato. Non dicono però che i posti
di blocco sono ancora rigidi, che nessuno - a parte i giornalisti - riesce a passare.
Da Gerusalemme a Ramallah, in macchina, ci vogliono 20 minuti. Fino ad un anno
e mezzo fa. Ora non si sa, perché non sai mai se ti fanno passare, quale
strada alternativa puoi fare, quanto devi camminare piedi. Arriviamo al posto
di blocco sulla strada principale. Sia da un lato che dall'altro del blocco centinaia
di persone attendono in fila. Passano una alla volta e devono mostrare al soldato
la carta di residenza di Gerusalemme e le tasse municipali che dimostrano che
abitano nei quartieri della Gerusalemme araba, al di là del blocco. Ci
vorranno ore e comunque per noi non c'è niente da fare. I
taxi collettivi Per
fortuna esistono ancora i taxi collettivi. Nella totale distruzione delle istituzioni
palestinesi, i taxi collettivi restano una certezza. Basta seguirli. Con la macchina
normale è un problema, perché le strade sono state distrutte e bisogna
superare diversi punti dove oltre agli sterri ci sono montagne di detriti che
ostruiscono il passaggio. Decidiamo di andare con la nostra macchina fino
a dove sia possibile. Lungo il primo tratto di percorso, per alcuni chilometri
dopo il posto di blocco, una tripla recinzione di filo spinato circonda i villaggi
arabi. Capisco la differenza tra il partito laburista israeliano e la destra.
Durante il suo governo il partito laburista costruiva colonie e le circondava
di filo spinato per proteggerle. Durante il governo Sharon si costruiscono colonie
e per proteggerle si circondano di filo spinato i villaggi arabi. Mi chiedo come
possano uscire gli abitanti di quei villaggi. L'isolamento
Non solo sono stati
tagliati fuori da Gerusalemme, ma anche da tutto il resto del territorio.
Dopo diversi chilometri passiamo un posto di blocco abbandonato e ci troviamo
senza problemi in un villaggio arabo. Chiediamo se c'è una strada per Ramallah.
Ci indicano un percorso e ritroviamo alcuni taxi collettivi che si inoltrano come
noi, sulla stessa strada. Li seguiamo per alcuni chilometri. Lungo tutto il percorso,
che un tempo era una strada asfaltata, l'esercito israeliano è passato
con una trivella al centro della carreggiata, poi ogni tanto, di traverso, una
trincea alternate a montagne di detriti. I palestinesi sono riusciti, con mezzi
di fortuna, nonostante tutto, a ricavare un tortuoso percorso che ci permette
di raggiungere dopo più di un'ora un punto di scambio di taxi. Nella campagna,
a pochi metri da un campo militare e da una colonia israeliana, decine di taxi
collettivi aspettano da un lato dell'ennesimo ostacolo, questa volta insuperabile.
Scendiamo e percorriamo il tratto a piedi: dall'altro lato, altri taxi ci porteranno
a Ramallah. Abbiamo impiegato due ore, ma siamo riusciti ad entrare.
Dentro Ramallah
Le strade di Ramallah sono piene di gente che osserva i danni, saluta i conoscenti
e chiede notizie dei familiari, i negozi cercano di rimuovere le tracce delle
incursioni. Lungo le strade, ormai sterrate, cumuli di vetri rotti. I danni esterni
non sembrano molto gravi, a parte per alcuni edifici del centro. Andiamo verso
la sede di Al Mawred un centro di formazione per insegnanti sostenuto da un progetto
di Crocevia. Mi hanno detto che hanno bruciato l'ufficio e gettato dalla finestra
tutti i computer. Purtroppo è vero. L'ufficio
Ci facciamo coraggio e ci avviciniamo al nostro ufficio. Già da fuori si
capisce che ci sono danni gravi. La facciata è annerita dal fumo delle
fiamme uscite dalle finestre. L'ingresso è un cumulo di macerie. Al primo
piano c'è la Camera di Commercio. Alcune persone ci vengono incontro. Sono
felici di darci la notizia che il nostro ufficio è il meno colpito. Ci
sono danni, ma sono lievi. Da loro invece tutto è distrutto, le porte fatte
saltare con le bombe incendiarie, i vetri rotti, le scrivanie scassate, i dossier
pieni di dati gettati a terra. All'interno
Al secondo piano la sede del Fronte Popolare è un ammasso di cenere, ma
anche altri uffici sono completamente bruciati. Noi siamo al terzo piano. Tutte
le porte sono state fatte saltare. La nostra era talmente fragile che è
stata sufficiente una spallata. Il bagno ha la porta divelta, tutto è gettato
per terra tra i vetri della finestra sfondata. Il resto delle tre stanze è
relativamente in salvo. Si sono accaniti in particolare sulla mia scrivania, i
cui cassetti, pur non chiusi a chiave, sono stati sfondati. Uno sportello divelto.
Anche lo scaffale a fianco è stato gettato a terra, con tutto il suo contenuto.
In tutte le stanze, le fotografie, le diapositive, i dischetti, i file, addirittura
le sigarette di un pacchetto abbandonato, tutto è gettato per terra. Ci
hanno camminato sopra lasciando le tracce degli anfibi sporchi della fuliggine
che ricopre tutto di una patina nera. Per fortuna i computer e il resto della
attrezzatura non ha subito danni. Il ricordo
Dai file buttati a terra è uscito un foglio di un progetto comune tra i
paesi del Mediterraneo. Vi partecipava la Palestina e anche Israele. Adesso è
cancellato dall'orma di un soldato israeliano. Lo raccolgo, voglio tenerlo come
ricordo. Mentre cerchiamo di fare un poco di ordine, ma ci saranno necessari alcuni
giorni, passa molta gente. Salutano affettuosamente, tutti raccontando di danni
subiti, a volte materiali, altre volte più dolorosi. Tutti hanno voglia
di ricominciare. La Camera di Commercio sta già facendo circolare
un foglio per il censimento dei danni. Arriva uno studente dell'Istituto di Archeologia
Islamica con una macchina fotografica. Chiede notizie al mio collega, che è
suo professore, sul nostro progetto di restauro, ci dice che sta documentando
i danni subiti dal patrimonio culturale. Ci mettiamo d'accordo per andare insieme
a Nablus nei prossimi giorni a vedere cosa sia rimasto della città vecchia.
Quando
esce, il mio collega mi guarda sorridendo: "fino a quando ci saranno
ragazzi così, la causa palestinese non sarà cancellata". Questa
volta ho voglia di credergli. Carla Benelli
La
Newsletter |
|
|