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NicolasSarkozy
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Ban Ki-moon

Viaggio al termine del mondo
di Ban Ki-moon

Siamo tutti d’accordo. Il cambiamento climatico è reale e noi esseri umani ne siamo la causa principale. Eppure sono ancora poche le persone che capiscono la gravità della minaccia e il fatto che è veramente incombente. Certamente io non lo capivo. Solo di recente, dopo aver compiuto un ‘viaggio ecologico’ nelle regioni più vulnerabili del pianeta, mi sono reso conto dell’ordine di grandezza del pericolo. Ho sempre pensato che il riscaldamento globale fosse una questione quanto mai urgente. Ora sono convinto che siamo sull’orlo di una catastrofe a meno di agire immediatamente. La settimana scorsa in Antartide ho visto dei paesaggi sconvolgenti, rari e bellissimi.
E tuttavia è stata anche un’esperienza inquietante perché ho avuto modo di vedere quanto il mondo sta cambiando. I ghiacci eterni si stanno sciogliendo molto più rapidamente di quanto pensiamo. Forse sapete che cinque anni fa la famosa piattaforma di ghiaccio Larsen ha ceduto ed è scomparsa. Una gigantesca lastra di ghiaccio lunga 54 miglia – come alcune nazioni di piccole dimensioni – è svanita in meno di tre settimane. Cosa accadrebbe se questo ‘effetto Larsen’ si ripetesse su scala molto più grande?
In un centro di ricerca cileno sull’isola di Re Giorgio, gli scienziati mi hanno detto che è a rischio l’intera piattaforma di ghiaccio dell’Antartide occidentale. Come la piattaforma Larsen, è composta da ghiacci galleggianti che abbracciano quasi un quarto dell’intero continente. Se dovesse spezzarsi, il livello dei mari potrebbe crescere di circa 7 metri. Pensate alle conseguenze sulle coste e su città come New York, Bombay e Shanghai per non parlare delle piccole nazioni insulari. Forse non accadrà per cento anni – ma potrebbe anche accadere tra dieci. Non lo sappiamo. Ma quando accadrà, tutto si svolgerà rapidamente, magari nel giro di una notte.
Sembra la sceneggiatura di un film catastrofista. Ma questa è scienza, non fantascienza. Il dottor Gino Casassa, un eminente glaciologo cileno del Centro studi scientifici e membro del panel intergovernativo sul cambiamento climatico, recentemente insignito del Nobel per la pace insieme ad Al Gore, è particolarmente preoccupato per la penisola antartica – una striscia di terra sulla costa settentrionale che lui definisce uno dei ‘punti caldi’ del pianeta insieme all’Asia centrale e alla Groenlandia. In quella zona le temperature stanno aumentando dieci volte più rapidamente della media mondiale. I ghiacciai si stanno ritirando in maniera visibile. Sul desolato suolo antartico sta spuntando l’erba, compreso un tipo di erba che viene utilizzato sui campi da golf americani. D’estate la neve è sempre più rara e piove invece molto più spesso. Dieci anni fa il dottor Casassa era scettico sul cambiamento climatico. Oggi teme una catastrofe. Non voglio seminare il panico. Ma sono convinto che siamo vicini al punto di non ritorno. Questi sono i segni. E li ho visti in tutti i posti che ho visitato. In Cile i ricercatori mi hanno detto che più o meno metà dei 120 ghiacciai che tengono sotto controllo si stanno ritirando con un ritmo due volte più rapido rispetto a dieci o venti anni fa. Tra questi, anche i ghiacciai che si trovano sulle montagne che circondano la capitale, Santiago, e che forniscono l’acqua ai suoi sei milioni di abitanti. A nord la crescente siccità minaccia l’industria mineraria del Paese, uno dei settori vitali dell’economia, nonché l’agricoltura e l’energia idroelettrica. Ho passato una giornata in quello che è probabilmente il più bel parco nazionale del mondo, Torres del Paine. Come l’Antartide, era bello, incontaminato, maestoso – ed altrettanto a rischio. Anche le nevi delle Ande si stanno sciogliendo più rapidamente di quanto pensiamo. Ho sorvolato in Patagonia il Ghiacciaio Grigio, una sorta di mare ghiacciato racchiuso tra due vette altissime. Nel 1985 si è ritirato di due miglia in poco più di due settimane. Ecco un’altra dimostrazione dell’improvviso, imprevedibile e potenzialmente devastante effetto Larsen. Il mio viaggio è finito sotto un grande albero Samaumeira sull’isola di Combu, non lontano da Berlen nel delta del Rio delle Amazzoni. E’ il cuore del leggendario ‘polmone della terra’, la foresta pluviale tropicale vittima della deforestazione e dello sfruttamento della terra cui si deve, secondo le stime, il 21% delle emissioni di anidride carbonica. Secondo gli scienziati, il cambiamento climatico potrebbe trasformare l’Amazzonia orientale in una savana nel giro di pochi decenni. All’ultimo momento hanno dovuto modificare il mio itinerario in quanto un affluente del Rio delle Amazzoni che avrei dovuto visitare, vicino al porto di Santarem, era privo di acqua a causa della siccità. Tutto questo avrebbe potuto avere effetti scoraggianti. Eppure ho lasciato il Brasile profondamente rincuorato. Senza che il resto del mondo se ne sia avveduto, il Brasile si è trasformato in un tranquillo gigante verde – e guida la lotta contro il riscaldamento globale. Negli ultimi due anni ha ridotto del 50% la deforestazione nella foresta amazzonica. Enormi tratti di giungla sono stati messi sotto tutela dal governo federale. A Brasilia, il presidente Luis Inacio Lula da Silva mi ha assicurato che l’Amazzonia e il suo immenso tesoro di biodiversità sono da considerare patrimonio dell’umanità e come tale verrà salvaguardato. Il Brasile è leader mondiale nel campo delle energie rinnovabili. E’ una delle poche nazioni che produce con successo biocombustibili. Sì, non posso negare che questa scelta è oggetto di controversie e polemiche. Alcuni temono che il terreno attualmente coltivato per produrre generi alimentari verrà impiegato per produrre combustibili. Altri temono che nelle foreste verranno abbattuti gli alberi per fare largo alle piantagioni per la produzione di biomassa.
Tocca ai governi trovare il punto di equilibrio tra costi sociali e benefici. E’ ora di svegliarsi. Il mese scorso il Programma per l’Ambiente dell’Onu ha pubblicato il rapporto GEO-4, che sollecita a compiere ‘passi drastici’ al cospetto della sfida che ‘potrebbe minacciare la sopravvivenza dell’umanità’. Questo fine settimana a Valencia, in Spagna, presenterò l’ultimo rapporto del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico. E’ una lettura che fa pensare. Non di meno le sue conclusioni sono incoraggianti. Il messaggio conclusivo è: ce la possiamo fare. Ci sono modi concreti e alla nostra portata per far fronte al cambiamento climatico. Anche un rapporto della settimana scorsa dell’Agenzia Internazionale per l’Energia era cautamente ottimista. La domanda globale di energia è in aumento più rapidamente di quanto stimato – l’incremento della domanda dovrebbe essere del 57% entro il 2030. Ma la quantità di energia generata da fonti rinnovabili, con l’esclusione dell’energia idroelettrica, dovrebbe crescere, secondo le stime, almeno cinque volte di più. Come vediamo sulle pagine finanziarie dei giornali, le grandi imprese stanno diventando sempre più ‘verdi’.
Tutto questo servirà da sfondo al vertice dell’Onu sul cambiamento climatico a Bali tra due settimane. E’ necessario una svolta: un’intesa che consenta di avviare seri negoziati per un accordo globale sul cambiamento climatico sottoscritto da tutte le nazioni. La sfida consisterà nel redigere un’agenda realistica di temi, dal passaggio alle tecnologie energetiche alternative al sostegno alle nazioni in via di sviluppo per consentire loro di finanziare i loro programmi per combattere il cambiamento climatico. E’ una realtà di cui siamo tutti responsabili. Il cambiamento climatico non ha confini e, di conseguenza, le soluzioni debbono essere globali.

Ban Ki-moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite

(Fonte: International Herald Tribune – traduzione di Carlo Antonio Biscotto per L’Unità)

 



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