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Hermann Kaufmann
Stefano Manservisi

Se la pace dipende dal clima
di Stefano Manservisi


Ormai non ci sono più dubbi sull’importanza del cambiamento climatico per il nostro pianeta. Se l’estensione e la rapidità dei mutamenti possono ancora essere in discussione, tutte le analisi scientifiche giungono a tre conclusioni allarmanti: tutto il cambiamento climatico è una realtà, è essenzialmente dovuto all’immissione nell’atmosfera di gas ad effetto serra risultanti dall’attività umana, e, anche se tutti ne risentiremo le conseguenze, saranno le popolazioni più povere, ed in particolare quelle nei paesi in via di sviluppo, ad esserne maggiormente e più rapidamente colpite. Se la risposta ai mutamenti climatici passa quindi obbligatoriamente attraverso la riduzione drastica delle emissioni nei paesi più ricchi ed in quelli emergenti diventati anch’essi grandi emettitori (Cina, India, Russia), i paesi in via di sviluppo, ed in particolare quelli più poveri ed esposti ai cambiamenti climatici, dovranno investire massicciamente per prevenire le conseguenze dell’aumento inevitabile della temperatura. Siccità, uragani, aumento del livello del mare metteranno, infatti, a repentaglio la vita di centinaia di milioni di persone nei decenni a venire e la loro sopravvivenza dipenderà dalle misure di prevenzione che saranno prese nell’immediato futuro. L’attribuzione del premio per la pace ad Al Gore ed al Comitato intergovernativo dell’Onu per i cambiamenti climatici (Ipcc) sottolinea, come notava giustamente qualche giorno fa Vittorio Zucconi su La Repubblica, come la pace tra gli uomini sia ormai intimamente legata alla pace degli uomini con il pianeta Terra. Dalla risposta alla sfida climatica dipenderà, infatti, la coabitazione pacifica dell’umanità e forse, quindi, la sopravvivenza stessa del pianeta. Ma le conseguenze non sono ineluttabili ed è ancora possibile intervenire a condizione di agire in fretta. E l’Europa ha reagito mettendosi alla testa di quei paesi occidentali che denunciano i rischi dei mutamenti del clima; con le decisioni adottate dal Consiglio Europeo lo scorso marzo, l’Unione Europea ha delineato un programma di interventi ambiziosi per ridurre le emissioni di anidride carbonica entro il 2020 fino al 30% rispetto ai livelli del 1990 e così permette di limitare l’aumento di temperatura del pianeta a 2°C. Ciononostante tuttavia, anche un aumento di 2°C della temperatura avrà ripercussioni importanti sulle economie e le possibilità di sviluppo dei paesi più deboli: prima si interverrà per tenere conto di questi nuovi rischi, minori saranno i costi che quelle nazioni saranno chiamate a sostenere. Di fronte ad una sfida di dimensioni planetarie, la risposta può essere soltanto globale: l’impegno per ridurre le emissioni di CO2 nei paesi più avanzati e nelle economie emergenti deve essere accompagnato da una presa di coscienza nei paesi in via di sviluppo, da una loro più grande presenza nei negoziati internazionali e dall’integrazione delle misure necessarie per far fronte ai mutamenti del clima nelle loro strategie di sviluppo. Dal canto loro i paesi occidentali hanno la responsabilità di accompagnare ed appoggiare questi processi, consentendo quegli investimenti supplementari nei paesi in via di sviluppo, che sono necessari per adeguare le loro società a far fronte ad un clima più caldo ed imprevedibile. E’ in questo spirito che la Commissione Europea ha recentemente presentato una proposta per dar vita ad una ‘Alleanza Mondiale contro il cambiamento climatico’ tra i paesi europei ed i più vulnerabili tra quelli in via di sviluppo (paesi meno avanzati e piccoli stati insulari), cioè quei paesi che più di ogni altro sono sprovvisti dei mezzi per far fronte al rischio climatico. L’Alleanza si articola intorno a due assi portanti: una piattaforma di dialogo politico e di concertazione tra l’Europa ed i paesi in via di sviluppo; una cooperazione concreta ed effettiva per accompagnare finanziariamente e tecnicamente gli sforzi di questi paesi per adattare le loro economie alle nuove condizioni create dal mutamento del clima e salvaguardare così i risultati ottenuti nella lotta contro la povertà. Innanzitutto quindi un dialogo politico che permette di confrontare e ravvicinare le posizioni sul clima tra il Nord ed il Sud. L’Europa, nella sua doppia veste di interlocutore privilegiato dei paesi in via di sviluppo e di leader del negoziato sul clima, ha la responsabilità di fare quanto possibile per garantire che il prossimo round di negoziati che debutterà a Bali, in Indonesia, a dicembre, si concluda con successo. Per questo l’appoggio agli obiettivi europei di quei paesi che sono i più esposti al mutamento del clima è indispensabile. Ora è chiaro che se la discussione è necessaria per preparare il terreno e chiarire le rivendicazioni e le posizioni negoziali dei vari paesi, il dialogo politico deve essere accompagnato da un forte impegno ad aumentare le risorse finanziarie investite nell’adeguamento al clima nei paesi più vulnerabili e nel finanziamento dei loro piani nazionali di adattamento. Da qui il secondo asse portante della proposta della Commissione: un aumento sensibile degli aiuti europei per combattere gli effetti del cambiamento climatico attraverso cinque interventi prioritari, il cofinanziamento dei costi aggiuntivi causati dalla necessità di adattare gli investimenti nazionali al mutamento del clima ed ai nuovi rischi che esso comporta (finanziamento dei piani nazionali di adeguamento); la valorizzazione del ruolo dei paesi in via di sviluppo nella conservazione e nello sfruttamento sostenibile delle risorse forestali, che costituiscono una riserva ingente di CO2 (l’Ipcc ha valutato al 18% la quantità di emissione di biossido di carbonio dovuta al disboscamento); il sostegno alla messa in piedi di strategie ed interventi mirati a combattere i rischi legati all’aumento della frequenza delle catastrofi naturali; l’appoggio ai paesi più deboli perché accedano più facilmente ai fondi erogati via le organizzazioni delle Nazioni Unite per ridurre le emissioni; ed, infine, un impegno ad appoggiare l’integrazione delle misure necessarie per far fronte al mutamento climatico in tutte le politiche settoriali dei paesi coinvolti ed in tutti gli interventi della cooperazione europea nei paesi in via di sviluppo. Anche se manca tuttora una stima precisa del costo globale dell’adeguamento climatico, è evidente fin da ora che i costi aggiuntivi cui dovranno far fronte i paesi in via di sviluppo saranno enormi, considerando in particolare le risorse limitate di cui questi paesi dispongono. E’ ugualmente evidente che nessun donatore avrà da solo i mezzi necessari per rispondere a questa sfida e che quindi sarà indispensabile mettere in comune gli sforzi. Per poter canalizzare congiuntamente questi fondi supplementari la Commissione Europea ha costituito un fondo speciale per il quale ha stanziato un finanziamento iniziale di 50 milioni di € ed ha chiesto agli stati membri dell’Unione di cofinanziare l’iniziativa con una parte dei fondi, che saranno stanziati per aumentare gli aiuti allo sviluppo, convinta che la lotta al cambio climatico non possa essere dissociata dalla lotta contro la povertà. A questi fondi si aggiungono altri 250 M€ di risorse già identificate per gli aiuti allo sviluppo gestite dalla Commissione Europea. La risposta alla sfida, posta alle nostre società dal mutamento del clima, ha bisogno del contributo di ognuno e l’Europa, con questa doppia iniziativa interna ed esterna, si è posta all’avanguardia di quei paesi che sono convinti che la responsabilità della riduzione delle emissioni debba necessariamente accompagnarsi di uno sforzo supplementare di solidarietà verso quelle popolazioni che saranno chiamate a subire l’impatto più grande dei cambiamenti climatici. Solo così, siamo convinti, si potranno gettare le basi per quell’accordo globale sulle emissioni che sarà chiamato a sostituire il protocollo di Kyoto nel 2012 con il compito di mantenere l’aumento della temperatura entro i limiti tollerabili.

Stefano Manservisi, direttore generale dipartimento allo sviluppo della Commissione Europea

(Fonte: Europa)


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