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Dario Fo
Jeremy Rifkin

La sicurezza nella biosfera
di Jeremy Rifkin

E’ un Nobel importante perché, su ciò che sta accadendo nel nostro pianeta, dice più di ogni altro precedente. Spiega che la vera sicurezza del globo ha che fare con la protezione della biosfera. E che, in questo senso, ambiente e pace sono diventati sinonimi.

E’ la prima indicazione, da parte del comitato dei Nobel, di un cambiamento di paradigma in atto: si è passati dalla geopolitica alla politica della biosfera.

Ci siamo mossi all’interno del primo paradigma sin dalla pace di Westfalia, nel 1640. Da allora i riconoscimenti della pace erano dati a chi riusciva a far deporre le armi tra stati-nazione belligeranti o, all’interno degli stati, tra fazioni in lotta. Con la decisione di ieri – e non sono sicuro che il comitato Nobel se ne sia accorto – siamo passati in un’era diversa. Quella della consapevolezza che viviamo tutti nella medesima biosfera e le vere minacce sono quelle che la mettono in pericolo. Cambiamento climatico in testa perché può significare potenzialmente l’estinzione della specie. Quando parliamo di pace parliamo di come preservare il benessere della gente, delle generazioni presenti e future, e qui si tratta di una vicenda che interpella proprio questo. Perciò la decisione di dare il premio ad Al Gore e all’Ipcc è molto importante, se non esplicitamente almeno implicitamente un’ammissione di questo passaggio tra modelli diversi.

Io ne sono personalmente molto contento, per le persone che l’hanno ricevuto, è ovvio, ma ancor più per la transizione che sta a significare. La nuova posta in gioco, per garantire la pace, è se riusciremo a stabilizzare la temperatura sulla terra e proteggere la biosfera. Pace, ormai significa pace per la biosfera. Quando a settembre Al Gore ha proposto in un vertice Onu una sorta di Piano Marshall per l’ambiente, legando la lotta alle emissioni a quella alla povertà, l’analogia con il piano originale è forte: lì si trattava di garantire sicurezza dopo la distruzione della guerra, qui prima della distruzione totale dell’ambiente. C’è una connessione diretta tra arretratezza economica e inquinamento. L’ironia è che i paesi inquinatori sono quelli dell’emisfero nord che hanno beneficiato di più dello sviluppo industriale mentre i guai li pagano quelli più poveri, nell’emisfero sud. Dove la maggior parte della gente non ha accesso all’elettricità, né non ha mai fatto una telefonata.

Bisogna trovare un modo di vivere in maniera sostenibile, e ciò significa condividere in modo più equo le risorse del pianeta, andare verso un’era post-carbone. Si deve puntare sulle fonti rinnovabili. Non c’è stato, sinora, nessun piano complessivo, neppure nell’Unione Europea che pure è molto più avanti degli Usa. Questo Nobel arriva al momento giusto perché mostra che stiamo andando nella direzione giusta. Parlando dell’uomo che l’ha ricevuto, i suoi contributi a questa causa sono molto evidenti. Con il suo film-denuncia ha lavorato con governi e aziende e nessuna altra persona, individualmente, era riuscita ad attirare tanta attenzione sul fenomeno. E’ diventato, di fatto, il volto pubblico, un portavoce di questo tema che è e resterà la sfida numero uno per la nostra e le prossime generazioni. Se qualcuno merita questo premio, è lui.

Assieme all’Ipcc, naturalmente. Loro hanno fornito i dati, una quantità di prove scientifiche sulle quali costruire gli argomenti. Lui, in un certo senso, ha pubblicizzato le loro scoperte. Sono stati una combinazione ideale, un matrimonio perfetto.

Ciò detto, temo che niente cambierà nella politica ambientale dell’amministrazione Bush. E un importante passo in avanti, l’ennesimo, per la razza umana nel capire che il cambiamento climatico è il tema centrale. Dobbiamo agire insieme e pensare su scala globale. Abbiamo una sola biosfera: se la perdiamo, siamo perduti anche noi. A rischio è l’esistenza stessa della nostra specie. C’è ancora tanta strada da fare. Non abbiamo ancora compreso il livello di emergenza di questa sfida: se fosse così ogni singolo abitante del pianeta sarebbe personalmente impegnato in questa campagna per farla finita col carbone, i combustibili fossili, l’energia nucleare. E per entrare in quella che io chiamo la ‘terza rivoluzione industriale’.

Non ci siamo ancora ma tutti gli indicatori, in ultimo questo Nobel, dimostrano che stiamo andando nella direzione giusta. Cosa resta da fare per compiere l’ultimo pezzo di cammino? Sono consulente del governo italiano, del vostro Ministero dell’Ambiente. Ciò di cui l’Italia e l’Europa hanno bisogno è una partnership tra governi, compagnie private e Ong per passare a energie rinnovabili, tecnologie all’idrogeno, nuove reti che distribuiscano l’energia in maniera intelligente. Non possiamo permetterci il lusso di continuare con i combustibili fossili. E’ l’ora di passare a fonti rinnovabili, le uniche pulite, che non emettono CO2, e far sì che la gente possa produrre la propria energia così come adesso produce la propria informazione. Per poi condividerla con gli altri. C’è un movimento in questo senso a Bruxelles, che fu iniziato proprio quando Romano Prodi era il presidente della commissione. Oggi c’è anche il premio più importante, il Nobel che spinge nella stessa direzione.

Jeremy Rifkin, fondatore e presidente della Foundation on Economic Trends, presidente della Greenhouse Crisis Foundation, consulente del Ministero dell’Ambiente e del Governo

(Fonte: La Repubblica – testo raccolto da Riccardo Staglianò)

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