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Chernobyl
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Furono settimane tempestose quelle dell'aprile di 20 anni fa; si era scoperto che alcuni spregiudicati frodatori avevano avvelenato alcune partite di vino addizionandolo con alcol metilico, che è velenoso, ma in quel momento costava meno dell'alcol etilico, quello naturale del vino. Quasi contemporaneamente si era scoperto che alcuni criminali avevano scaricato nel sottosuolo dei fusti di veleni che stavano colando e avevano raggiunto le falde idriche da cui alcuni acquedotti traevano l'acqua per bere.

L'Italia era attraversata da una vivace contestazione dei progetti dei governi di allora, che volevano costruire delle centrali nucleari forse in Puglia, a Carovigno o Avetrana, o sulle rive del Po, forse in Piemonte, forse vicino Mantova, centrali che avrebbero dovuto andare ad aggiungersi a quella, traballante, di Caorso, sul Po vicino Cremona, e a quella, contestatissima, in costruzione a Montalto di Castro nel Lazio. In questa atmosfera molto tesa si venne a sapere, il 26 aprile 1986, che uno dei quattro reattori della centrale nucleare di Chernobyl, fino allora, sconosciuto paesino dell'Ucraina (allora Unione sovietica), si era incendiato ed era esploso e aveva gettato nell'atmosfera una nube di polveri radioattive.

Il reattore funzionava liberando calore attraverso la "fissione" dei nuclei di uranio contenuto nel "nocciolo", una serie di tubi circondati da blocchi di grafite che aveva la funzione di regolare l'andamento della fissione dell'uranio. Come in tutti i reattori nucleari la reazione che libera calore deve essere tenuta sotto controllo mediante una continua circolazione di acqua di raffreddamento; se la temperatura all'interno del reattore aumenta troppo cominciano ad alterarsi e poi a fondere i materiali che contengono l'uranio, il plutonio e i molti elementi radioattivi che si formano continuamente durante la fissione dell'uranio.

Per sommo d'ironia, pochi anni prima del disastro di Chernobyl, negli Stati uniti era apparso il film "Sindrome cinese", con Jack Lemmon e Jane Fonda, che raccontava un ipotetico incidente ad un reattore americano con "fusione" del nocciolo; le catastrofiche conseguenze avrebbero potuto farsi sentire … fino in Cina, dall'altra parte della terra !

In quell'aprile di venti anni fa nel reattore di Chernobyl si interruppe la circolazione dell'acqua di raffreddamento e l'eccessivo riscaldamento del nocciolo provocò l'incendio della grafite, che è un materiale combustibile. L'incendio e la pressione fecero scoperchiare il reattore e provocarono il lancio violento nell'atmosfera di sostanze dotate di circa 50 milioni di curie di radioattività, equivalente a quella di 50 milioni di grammi di radio. Le sostanze radioattive in parte ricaddero vicino al reattore, in parte si dispersero nell'atmosfera; l'Ucraina è fra la Russia e la Polonia e da Chernobyl la radioattività fu trascinata dai venti prima verso nord verso la Scandinavia, poi girò verso sud sull'Europa e raggiunse l'Italia. Furono giorni e settimane di grande spavento, dovuto anche al ritardo e alla incertezza delle informazioni; le autorità sovietiche furono dapprima reticenti sulla gravità della catastrofe, poi le autorità dei vari paesi europei furono indecise ed ebbero paura dell'allarme; in Italia le cose andarono ancora peggio, con i giornali che un giorno dicevano che non c'era nessun pericolo e il giorno dopo che non bisognava mangiare insalata e latte.

I sostenitori dell'energia nucleare si resero conto che i loro progetti rischiavano di sfumare e si affannarono a spiegare che un simile incidente aveva potuto verificarsi perché si trattava di un reattore comunista e in Occidente non avrebbe potuto succedere niente del genere (era già successa negli Stati Uniti una fusione del nocciolo di un reattore nucleare nel 1979).

La contaminazione radioattiva dell'atmosfera fu fermata perché molti sconosciuti eroi sovietici volarono sul reattore gettando cemento e piombo sui ruderi fusi del reattore; altri lavorarono per settimane a contatto con intensissime dosi di radioattività, per spegnere l'incendio. Molte di queste persone hanno pagato con la vita il proprio coraggio e altruismo; queste storie sono state raccontate nei due libri di Grigorij Medvedev, "Chernobyl: tutta la verità sulla tragedia nucleare", Milano, Sugarco, 1991, e "Dentro Cernobyl", Molfetta, La Meridiana 1996. Un recente libro di Igor Kostin, "Chernobyl; confessioni di un reporter", Edizioni Ega, Torino, contiene le drammatiche fotografie del reattore prese dall'elicottero e sul terreno nei giorni immediatamente successivi all'incidente. Per salvare la vita delle persone contaminate dalla radioattività si mobilitò la comunità internazionale; il film "Chernobyl", di Anthony Page, del 1991, descrive lo sforzo fatto dai medici, fra cui l'americano Gale, per effettuare trapianti di midollo osseo nei casi più gravi. Voglio ricordare, oltre alla mobilitazione di medici sovietici e internazionali per alleviare i dolori delle popolazioni, l'ospitalità offerta da tante associazioni di volontariato italiane ai bambini di Chernobyl.

Nei mesi e anni successivi ci furono inchieste sulla sicurezza nucleare, un referendum contro il nucleare in Italia nel 1987 e un rallentamento della gran passione per l'energia nucleare. Io vorrei solo ricordare quegli operai e tecnici che hanno fermato la fuoriuscita della radioattività a costo della propria vita. Senza di loro le morti in Europa sarebbero state molto maggiori, eppure nessuna città italiana ha dedicato una strada ai martiri di Chernobyl cui tanti di noi devono la sopravvivenza.

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it




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