Nucleare:
tornano i sogni, restano i rifuti
di Giorgio Nebbia
nebbia@quipo.it
Chi è l'ultimo a bruciarsi le dita con
il fiammifero acceso, passato di mano in mano
? Il Mezzogiorno, naturalmente; la Basilicata,
naturalmente, la zona considerata più
fragile, più disposta ad accettare qualsiasi
cosa per pochi soldi. Due anni fa, nel novembre
2003, dopo decenni di scelte insediative e produttive
sbagliate, dopo decenni di delusioni di progresso
e di occupazione mancati, il governo non trovò
di meglio che proporre di rifilare alla Basilicata
un deposito delle scorie radioattive più
pericolose e tossiche, quelle cosiddette di
seconda a terza categoria.
Tali rifiuti radioattivi derivano dalle attività
dell'industria nucleare, come preparazione di
cariche per centrali e reattori nucleari o trattamento
del "combustibile" nucleare; essi
contengono uranio, plutonio, torio e altri nuclei
radioattivi e tossici. I principali depositi
di tali rifiuti si trovano a Saluggia in provincia
di Vercelli (dove si trovano circa 80.000 kg
di uranio e plutonio); nel centro nucleare della
Casaccia, vicino Roma; nello stabilimento di
Bosco Marengo (in provincia di Alessandria),
nel centro di ricerche di Ispra, sul Lago Maggiore;
nel reattore militare Cisam (ex-Camen) di Marina
di Pisa. Inoltre l'Italia deve ritirare dal
reattore francese Superphenix, chiuso dopo alcuni
anni e alla cui costruzione abbiamo sfortunatamente
partecipato, altre 62 tonnellate di uranio e
plutonio. Si aggiunga che l'Italia, nel 1969,
con la sua mania di grandezza, si è offerta
di trattare il combustibile irraggiato di un
reattore americano sbagliato, quello di Elk
River, che funzionava usando torio, chiuso dopo
pochi anni; del reattore ci siamo così
tenuti i residui radioattivi. a Trisaia in Basilicata
(1.700 chilogrammi di uranio, torio e plutonio,
oltre ai prodotti di fissione);
Fra i rifiuti radioattivi da smaltire vi sono
poi i materiali impiegati nei quattro reattori
delle centrali elettronucleari costruite in
Italia dal 1960 in avanti: Trino Vercellese,
in provincia di Vercelli; Garigliano, in provincia
di Caserta; Latina, nel Lazio e Caorso, in provincia
di Piacenza. Durante il funzionamento di tali
centrali, ormai ferme dal 1987,dopo il referendum.
L'uranio che è stato caricato all'inizio
si è trasformato in parte in plutonio
e sia l'uranio sia il plutonio hanno liberato
energia con formazione di numerosi prodotti
di fissione radioattivi. Si tratta di alcune
migliaia di tonnellate di combustibile nucleare
"irraggiato" che, per esempio a Caorso,
sono state tenute a "raffreddare"
in una piscina; altri rifiuti sono stati inviati
in Inghilterra per separare uranio e prodotti
di fissione che l'Italia dovrà ritirare
e mettere in adatti depositi. Infine, a mano
a mano che le centrali, i reattori e gli impianti
di trattamento di sostanze radioattive saranno
smantellati, si dovrà trovare una sistemazione
per altre migliaia di metri cubi di materiali
da costruzione divenuti anch'essi radioattivi
per fenomeni di "attivazione".. Infine
in Italia devono tornare anche le scorie dell'infelice
reattore francese Superphenix, chiuso dopo alcuni
anni, alla cui costruzione l'Italia aveva partecipato
per un terzo del capitale e che quindi è
condannata a riprendersi un terzo delle scorie
generate.
Il sito Internet www.e-gazette.it/approfondimenti
contiene il testo di numerose relazioni tecniche
e di atti parlamentari sui rifiuti nucleari
ma va detto che le quantità esatte da
sistemare sono indicate diversamente dalle varie
fonti, talvolta come effettiva quantità
di nuclei radioattivi, talvolta come volume
delle scorie e dei loro contenitori.
Nel complesso occorre trovare una sistemazione
definitiva ai materiali radioattivi italiani
oggi in condizioni insoddisfacenti di sicurezza;
si tratta di circa 70.000 metri cubi di rifiuti
di "seconda categoria", contenenti
nuclei radioattivi che devono essere isolati
dalle acque e da qualsiasi contatto con essere
viventi per almeno 10 o 15 mila anni, con una
attività di oltre 10.000 curie (la radioattività
di un curie corrisponde a quella emanata da
un grammo di radio puro). Poi ci sono i rifiuti
di "terza categoria" contenenti nuclei
radioattivi che devono essere sepolti e isolati
per almeno 150.000 anni: circa 8.600 metri cubi
con una attività di 190.000 curie. Nel
corso del decadimento radioattivo i rifiuti
generano continuamente calore che deve essere
ventilato all'esterno del loro deposito; queste
notizie si trovano nel sito Internet <www.casaccia.enea.it/taskforce/inventario/>.
In un altro documento (nel sito Internet <www.saluggia.enea.it/seminari/Rapporti/>)
risulta che in Italia ci sono 200.000 chili
di uranio arricchito e 1700 chili di plutonio;
dopo 100.000 anni il plutonio, uno degli elementi
presenti nel "combustibile" nucleare,
emette ancora il 10 % della radioattività
che aveva quando è stato estratto da
un reattore. Si tratta di materiali miscelati
con altri, di difficile separazione, ma che
potrebbero rappresentare una tentazione per
chi volesse realizzare armi di distruzione di
massa, per atti terroristici, ricatti, eccetera.
Dove
metterle ? Una risposta non sono riusciti a
trovarla né gli Stati uniti né
la Germania, che pure hanno nel sottosuolo rocce
e giacimenti geologicamente sicuri; i residui
radioattivi, infatti, devono essere sepolti
in modo da non venire a contatto con acque sotterranee
e con nessuna forma di vita presente e futura
per decine o centinaia di secoli; il problema
della sepoltura delle scorie radioattive riguarda
tutti i paesi che hanno affrontato l'avventura
nucleare, sia per la costruzione di bombe atomiche,
sia per produrre elettricità commerciale.
Per i tempi lunghissimi ricordati, le scorie
nucleari devono essere poste in zone sotterranee
costituite da rocce geologicamente stabili,
non esposte a terremoti, senza circolazione
di acqua e nessun possibile contatto con esseri
viventi. Negli Stati Uniti uno dei sito candidati
è stato Carlsbad, nel New Mexico, una
zona isolata che ha nel sottosuolo un grande
giacimento di sale. Dopo venti anni di controverse
inchieste è stata appena avviata la costruzione
delle caverne per ospitare, a fini sperimentali,
una parte delle scorie. La storia e le relative
contestazioni si trovano nel sito Internet <www.wipp.carlsbad.nm.us/>
Un secondo sito proposto si trova in un grande
giacimento di rocce vulcaniche nella zona desertica
di Yucca Mountain, nel Nevada. Ci sono voluti
anche qui venti anni di inchieste parlamentari
e di confronto con le popolazioni e ancora tutto
è fermo. Per la sistemazione dei residui
radioattivi tedeschi è stata proposta
la miniera di sale di Gorleben e anche li le
inchieste hanno fermato la costruzione della
caverna. Nel sito Internet <www.emnrd.state.nm.us/>
si trovano notizie su queste iniziative e sulla
difficoltà di trovare adeguate sistemazioni
delle scorie.
La caverne scavate nei giacimenti sotterranei
di sale sembrano attraenti perché il
sale è ben solubile in acqua e se esiste
ancora in giacimenti sotterranei dovrebbe significare
che per millenni non ci sono state infiltrazioni
di acqua. Sarà stata per questa storia
del sale, che è stato scelto Scanzano
come candidato a diventare la sede del deposito
unico nazionale delle scorie radioattive italiane.
Ed ecco che salta fuori la proposta di seppellire
le scorie nucleari italiane più radioattive
e più pericolose, proprio a Scanzano,
in riva al Mare Jonio, in quella Basilicata,
che è stata inquinata dall'industria
chimica, dalle discariche e dal centro nucleare
di Trisaia.
Uno snello decreto, il n. 314 del 14 novembre
2003, ha stabilito che a Scanzano il "deposito
nazionale" di rifiuti radioattivi sarebbe
stato posto in un giacimento sotterraneo di
sale, entro una caverna in cui le migliaia di
tonnellate di sostanze radioattive, alcune ad
alta radioattività, avrebbero dovuto
restare segregate per secoli e millenni da qualsiasi
contatto con l'acqua e con esseri viventi. La
caverna, della superficie di un ettaro e alta
venti metri avrebbe dovuto essere scavata a
800 metri di profondità nel giacimento
di sale che si trova fra due strati di argilla.
I progetti di deposito permanente di scorie
radioattive previsti per Yucca Mountain e Carlsbad
negli Stati uniti e per Gorleben, in Germania
sono stati sottoposti per anni a lunghe inchieste
pubbliche che li hanno bocciati. Nessuna informazione
e controllo della popolazione è stato
fatto per la proposta del cimitero radioattivo
di Scanzano. A Scanzano non sono state fatte
inchieste pubbliche, non è stata neanche
informata la popolazione; per il governo bastava
fidarsi dei tecnici "ufficiali" che
dicevano che non c'è posto migliore al
mondo per il cimitero delle scorie.
Era facile immaginare lo sconvolgimento, la
violenza ambientale provocati dai cantieri,
dalla movimentazione dei materiali e dal trasporto,
per anni, dei pericolosi materiali radioattivi
dalle varie zone d'Italia dove oggi si trovano.
Non basta: le scorie sepolte emettono continuamente
calore che deve essere ventilato all'esterno,
con sistemi che devono funzionare per centinaia
di secoli; devono essere vigilate contro l'invasione
delle acque e contro azioni terroristiche da
una forza militare di vigilanza.
All'annuncio del decreto governativo l'intera
civilissima popolazione, che non sapeva niente
di plutonio, americio, cesio radioattivi, si
è sollevata in una grande protesta contro
una decisione presa lontano, a Roma, sulle loro
teste, senza che nessuno sapesse niente, destinata
a condizionare il territorio, il suo uso futuro,
la salute e la sicurezza dell'attuale generazione
e di quelle future. La scelta era sbagliata
da tutti i punti di vista: la zona è
interessata a grandi vie di comunicazioni ferroviarie
e stradali, che uniscono la Puglia, la Basilicata
e la Calabria all'Italia settentrionale, cioè
all'Europa. La costa Jonica sta avviandosi faticosamente
ad un futuro di sviluppo turistico, sfruttando
le uniche risorse che possiede, delle spiagge
ancora (abbastanza) in buono stato, un clima
e un mare che potrebbero fare della riviera
lucana un centro di attrazione turistica di
valore europeo per metà dell'anno, grazie
anche alle vicine risorse storiche e artistiche.
Ma questi sono solo gli aspetti "economici"
che sarebbero stati vanificati dal nuovo insediamento,
la cui proposta era sbagliata principalmente
dal punto di vista tecnico e scientifico.
Ha fatto bene la scrittrice Rossella Montemurro
a raccogliere, in un libro intitolato "I
giorni di Scanzano", pubblicato dall'Editrice
Ediesse di Roma nel 2004, le testimonianze delle
ansie, della domanda corale di informazioni
e di sicurezza, le interviste, gli articoli
di giornali.
Proprio come era avvenuto venti anni prima,
davanti alla minaccia di costruzione di centrali
nucleari ad Avetrana, Carovigno, a San Pietro
Vernotico, a Monmtalto di Castro, a San Benedetto
Po, nel Molise, eccetera, la protesta di Scanzano
si è tradotta in una crescita della cultura
popolare. La popolazione si è resa conto
che le "scorie radioattive" che avrebbero
dovuto essere nascoste nelle caverne nel suo
sottosuolo, erano il combustibile delle cinque
centrali nucleari italiane abbandonate, erano
residui di decine di reattori nucleari civili
e anche militari in disuso; erano materiali
vari tossici e pericolosi depositati a Rotondolla,
vicino a Policoro, a poco distanza proprio da
Scanzano, a Saluggia, alla Casaccia (vicino
Roma). La popolazione di Scanzano si è
chiesta perché era stato scelto proprio
il loro paese, ha voluto conoscere quali soluzioni
avessero adottato altri paesi nei quali esistevano
scorie nucleari e hanno scoperto che neanche
Stati uniti, Germania, Francia, Giappone, sapevano
dove collocare, in modo soddisfacente, un cimitero
"eterno" di rifiuti radioattivi e
che anche loro stavano "studiando"
il problema.
Quando il "caso Scanzano" è
diventato un caso nazionale, quando le televisioni
si sono accorte e hanno dato voce alle persone
che bloccavano le strade per difendere la salute
propria e delle generazioni future, l'Italia
ha ascoltato studenti, operai, casalinghe che
parlavano con competenza di Yucca Mountain e
di Gorleben e dei pericoli della radioattività
e del rischio perla salute e la sicurezza degli
abitanti attuali e di quelli che sarebbero venuti
per decine e centinaia di generazioni future.
Sotto la pressione della protesta popolare il
decreto originale fu riscritto, già alla
fine del novembre 2003, ed è stato poi
convertito nella legge 368 del 24 dicembre 2003,
pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 9 gennaio
2004. Il nome di Scanzano non figura più
in relazione alla sistemazione delle scorie,
il che ha dimostrato che la protesta permette
di vincere, quando si ha ragione, anche se il
problema delle scorie radioattive e dei relativi
pericoli non è affatto risolto. La legge
368 stabilisce che i rifiuti nucleari di III
categoria e il combustibile irraggiato, ad alta
radioattività, devono essere sistemati
in un deposito unico nazionale, un'opera considerata
"di difesa militare", e che il sito
di tale deposito avrebbe dovuto essere individuato
entro un anno dall'emanazione della legge, cioè
entro il 10 gennaio 2005.
Credo che tutti gli italiani debbano chiedere
con fermezza che non venga mossa neanche una
scavatrice, neanche una matita, senza una vasta
e dettagliata informazione delle popolazioni
interessate, senza un accurato confronto almeno
sulle conoscenze e l'esperienza raccolte negli
altri paesi. E' necessario per evitare altri
errori e dolori e costi futuri --- e per ricuperare
democrazia.
La Sardegna, la Valle d'Aosta, la Murgia, a
cui in precedenza era stato "offerto"
l'insediamento del deposito di scorie assegnato
poi a Scanzano, avevano detto "no"
non perché le popolazioni non vogliono
i rifiuti radioattivi nel proprio cortile, ma
sono contentissimi se vanno in casa altrui;
hanno detto no perché nessuno dei giacimenti
di volta in volta indicati possedeva le condizioni
di sicurezza richieste per le scorie radioattive.
Del resto in ecologia non esiste una "casa
mia" e una "casa altrui"; i grandi
problemi ambientali, come, lo smaltimento delle
scorie radioattive in depositi adatti e sicuri,
possono essere risolti soltanto in spirito di
collaborazione e solidarietà, non solo
nazionale, ma internazionale. Solo col contributo
di tutti, italiani ed europei, si può
alleggerire il peso che grava su Caorso, come
quello che grava su Saluggia o Trisaia o Marina
di Pisa o Ispra. Forse la vera soluzione sta
nel ricupero dell'orgoglio, come comunità
internazionale, di essere nazioni "unite"
e in pace per affrontare ed evitare i pericoli
di una eredità da lasciare a chi abiterà
il nostro pianeta nei millenni futuri.
Scanzano per ora si è salvato ma altri
paesi potranno essere esposti agli stessi pericoli
e conflitti. I giorni di Scanzano hanno dimostrato
che un governo non può decidere cose
che riguardano la salute, il territorio e il
futuro, in tutta fretta, senza informare e consultare
le popolazioni interessate, con la minaccia
dei vincoli delle servitù militari, per
liberarsi delle scorie di una politica nucleare
sbagliata, di cui il nostro paese paga i costi
senza alcun vantaggio. Stiano quindi attenti
i cittadini delle future potenziali "Scanzano"
d'Italia, rivendichino con fermezza il diritto
all'informazione su decisioni che coinvolgono
la sicurezza e la vita dei cittadini di questa
e delle future generazioni.
Tanto più che si fa presto a parlare
di "seppellire" migliaia di tonnellate
di materiali altamente pericolosi e tossici
per decine di migliaia di anni; e supposto anche
che si trovi una struttura geologica, sicura
da infiltrazioni di acqua e da terremoti, in
cui depositare i rifiuti radioattivi, come è
possibile, per tempi così lunghi, avvertire
le popolazioni che si susseguiranno nel territorio,
di non entrare nel deposito, di non scavare
nei dintorni ?
Per cercare una risposta a questo problema di
comunicazione destinata alle generazioni future,
nel 1984 l'ufficio americano preposto alla realizzazione
di un sito in cui localizzare le già
allora crescenti scorie nucleari chiese consiglio
ad un noto studioso di semiologia (la scienza
dei modi e dei mezzi con cui comunicare), Thomas
Sebeok, che scrisse una relazione intitolata:
"Perché e come comunicare con quelli
che vivranno fra diecimila anni". Il tema
è stato ripreso dall'altrettanto noto
semiologo italiano Umberto Eco nello scritto:
"Alla ricerca di una lingua perfetta".
Diecimila anni sono un periodo nel quale possono
nascere e scomparire interi imperi; appena pochi
secoli dopo la fine dei faraoni era scomparsa
anche la conoscenza di come leggere i geroglifici.
Se dovessimo mettere un avviso, all'ingresso
dei depositi di scorie: "Attenzione: non
avvicinatevi", in quale lingua dovrebbe
essere scritto ? con quali caratteri e segni
? già oggi, quando osserviamo le pitture
rupestri delle società primitive di poche
migliaia di anni fa, ci è difficile capire
se i personaggi rappresentati stavano cacciando
o ballando o combattendo fra loro. E poi chi
dovrebbe tramandare la leggibilità e
il significato del messaggio ?
Sebeok suggerì che occorrerebbe creare
una "casta sacerdotale atomica", in
grado e col compito di tramandarsi, nel corso
delle 300 generazioni che si susseguirebbero
nei diecimila anni considerati, la lingua e
il significato di quell'avviso apposto sul cimitero
dei rifiuti radioattivi. E poi su quale supporto
fisico l'eventuale messaggio custodito dai sacerdoti
atomici potrebbe essere tramandato a tutti gli
abitanti del pianeta per 300 generazioni ? su
piastre di metallo ? su monoliti di granito
? Non certo su supporti informatici, dal momento
che la maggior parte del materiale informatico
odierno sarà illeggibile già fra
poche diecine di anni. Qualcuno ha suggerito
di utilizzare
i papiri, i supporti che
ci sono pervenuti quasi leggibili, sia pure
in parte ancora incomprensibili, a quattromila
anni dalla loro scrittura. E sarà un
bel lavoro, perché si dovranno trasferire
alle generazioni future le informazioni sulla
pericolosità del contenuto del deposito
di scorie radioattive, con tutti i necessari
dati, diagrammi e disegni tecnici. Se includessimo
anche queste considerazioni nelle decisioni
di politica nucleare, nazionali e internazionali
?
Vorrei concludere con una modesta proposta;
so bene che, passata la tempesta, tutti tornano
alle loro occupazioni, in attesa che tocchi
a qualcun altro, ma la ricca documentazione
sulle scorie nucleari, raccolta dal popolo di
Scanzano, meriterebbe di essere conservata e
raccolta in un archivio e messa a disposizione
di tutti; ci sono alcuni volonterosi siti in
Internet, curati da piccoli gruppi locali, ma
finiscono per scomparire nel gran rumore della
rete mondiale: e invece occorre ricordare e
vigilare. Come conclude la Montemurro nel suo
libro, "la storia continua".
di Giorgio Nebbia
nebbia@quipo.it
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