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L'attività industriale e' uno dei maggiori responsasbili dell'emissione dei gas serra.

Dopo Kyoto: obbiettivo difficile


Da Buenos Aires le news sul cambiamento globale. Nebbie all'orizzonte dopo il 2012.

Crescita La macchina organizzativa per il controllo climatico delle Nazioni Unite si è riunita di nuovo lo scorso dicembre a Buenos Aires, Argentina, per discutere gli accordi del protocollo di Kyoto che entrerà in vigore nel febbraio 2005.
La decima conferenza sulla Convention on Climate Change (COP-10) ha impegnato per più di dieci giorni (6-17 dicembre) centinaia di ministri, funzionari e organizzazioni non governative. Le rappresentanze di 194 nazioni si sono confrontate sulla delicata questione delle emissioni di CO2 e del riscaldamento globale.
Per prima cosa sono stati analizzati i progressi fatti dalla firma dell'UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change) nel 1994, ma la parte più controversa della conferenza è stata la discussione sulle politiche a lungo termine per il cambiamento climatico globale.
Secondo Ronald Bailey, corrispondente scientifico del Reason Magazine, il protocollo di Kyoto, il cui mandato scadrà nel 2012, è destinato a morire e in futuro non ci saranno altri trattati globali che imporranno limiti alle emissioni dei gas serra (GHG).
L'Unione Europea e i gruppi ambientalisti hanno cercato negoziazioni per stabilire un secondo mandato, successivo al 2012, ma gli europei sembrano isolati: Cina e India, secondo e quinto paese produttore di CO2, si sono schierati con gli Stati Uniti e rifiutano completamente l'idea di limitare in futuro le emissioni di GHG.
Gli USA non danno alcun segnale di avvicinamento al Protocollo di Kyoto.
Il governo americano dichiara di aver scelto "un percorso diverso", anche se ha promesso di lavorare contro il cambiamento climatico diminuendo le emissioni dei gas serra, investendo nella scienza e nella tecnologia del clima e favorendo la cooperazione internazionale.

Lo scioglimento dei ghiacci polari

Australia-USA: le posizioni si allontanano
Novità importanti arrivano, però, dal Pacifico: l'Australia, responsabile del 2.5% delle emissioni di gas serra, ha per la prima volta preso le distanze dalla linea anti-Kyoto statunitense. Il ministro dell'ambiente australiano Ian Campbell ha dichiarato che Canberra sarebbe pronta ad entrare in un futuro accordo.
Dopo la firma della Russia, che ha permesso l'entrata in vigore del protocollo, Stati Uniti e Australia sono gli unici due grandi paesi sviluppati a non averlo ancora firmato.
Già in passato i membri della BCA (Business Council of Australia) erano d'accordo con la necessità di limitare le emissioni dell'Australia, secondo quanto imposto da Kyoto, ma non vi avevano aderito per il timore di un impatto negativo sulla propria economia.
Il fatto che gli USA e i paesi in via di sviluppo non vogliano entrare nell'accordo solleva molte perplessità nella BCA: i limiti imposti dal protocollo potrebbero infatti svantaggiare la competizione con queste nazioni.
"La differenza tra gli USA e il nostro paese è sottile - ha sottolineato Campbell - noi siamo pronti a entrare in nuovo accordo a seconda di quanto sia comprensivo, ma la nuova convenzione dovrà includere gli Stati Uniti e il mondo in via di sviluppo. Se non lo faremo il pianeta sarà in serio pericolo".

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I paesi in via di sviluppo aderiscono al protocollo
Il 17 e il 21 dicembre anche Pakistan e Arabia Saudita, hanno approvato il protocollo di Kyoto. In totale oggi sono 135 i paesi che hanno formalmente aderito al patto.


La scelta di queste due nazioni è volontaria: i limiti stabiliti dalla convenzione interessano, infatti, i 30 stati industrializzati e non quelli in via di sviluppo.


È paradossale che un numero sempre maggiori di paesi con situazioni economiche e sociali precarie si uniscano allo sforzo europeo per arginare il collasso del nostro pianeta, mentre gli Stati Uniti continuano a salvaguardare i propri interessi economici e cercano alleati per invalidare il protocollo di Kyoto.

Il ministro arabo del Petrolio e delle Risorse Minerarie Ali AlNaimi, intervenendo alla conferenza argentina, ha dichiarato che l'Arabia si aspetta, dal 2010, di perdere circa 19 miliardi di dollari all'anno per via della politica di riduzione delle emissioni dei gas serra che sarà adottata dal mondo sviluppato.
Gli obiettivi imposti da Kyoto per il 2012 sembrano ancora molto lontani.

Un percorso lungo
Rispetto al 1990, il Canada e il Giappone hanno aumentato le emissioni rispettivamente del 20% e del 21%, ma entrambi dovrebbero ridurle del 6% entro il 2012. Anche in Nuova Zelanda, dove si dovrebbe avere un tasso di aumento pari a 0, è stato registrato un incremento del 21%.
Danimarca, Italia, Portogallo e Spagna supereranno i limiti imposti dall'accordo del 53% circa.

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La Finlandia produce il 20% di gas serra in più e, probabilmente, anche la Gran Bretagna mancherà l'obiettivo stabilito da Kyoto: dovrebbe diminuire le emissioni del 20%, ma ad oggi le ha ridotte solo del 14%.
Il Programma Ambientale delle Nazioni Unite sostiene che Kyoto non sarà abbastanza dal momento che rallenterà l'aumento di temperatura di soli 0.1° C nel 21th secolo, contro previsioni che indicano un incremento compreso tra i 4.5° C e gli 8° C.
Sempre più frequentemente tifoni, uragani, tempeste, venti killer e altri disastri "naturali" sconvolgono il pianeta minacciando seriamente la sopravvivenza di habitat e comunità locali.
Il dubbio che il riscaldamento globale contribuisca fortemente al verificarsi di questi fenomeni si fa sempre più forte, specialmente nella comunità scientifica.
Finora non sembra esserci alcuna inversione nelle tendenze relative al cambiamento climatico: sempre più spesso la Terra continua a lanciare segnali di allarme, come il Nino, ma il complicarsi delle vicende politiche e dell'economia mondiale rendono sempre meno probabile una soluzione sul medio periodo.

Valentina Robbiati


Links:
unfccc.int
www.eia.doe.gov
www.globalissues.org
www.unep.ch
www.bca.com.au


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