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La centrale nucleare autofertilizzante Superphenix in Francia

Fuga verso il passato: il nucleare

Mentre infuriano le polemiche per il sito delle scorie nucleari a Scanzano.
Da parecchie parti si chiede il ritorno del nucleare, dichiarandone in alcuni casi addirittura la sostenibilità.

Il 29 settembre 2003, un giorno dopo il black out più lungo dal dopoguerra ad oggi, alcune voci si sono levate per sostenere il ritorno dell'Italia al nucleare. La cosa non ha destato un particolare stupore. Già da un paio d'anni, infatti, il partito filonuclearista nel nostro paese ha battuto a lungo la gran cassa mediatica, chiedendo il ritorno del nucleare nello scenario energetico dal quale era stato bandito nel 1990. A parte le discussioni estemporanee sull'opportunità o meno di riaprire le uniche due centrali potenzialmente funzionanti, Trino Vercellese e Caorso, in realtà da parecchi anni a livello internazionale si discute sulla sostenibilità dell'energia nucleare, all'interno dello scenario fissato dal protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas serra.

Le tecnologie legate al nucleare ebbero un periodo di rapida espansione negli anni 70 ed ottanta fino a raggiungere la quota di produzione, a livello mondiale, di 300 GW. Il lento declino di questa forma di generazione d'energia, dovuto essenzialmente ai costi di gestione degli impianti, fu accelerato dai due incidenti di Three Mile Island e Chernobyl che provocarono uno shock ,sia nelle istituzioni, sia nell'opinione pubblica mondiale, tale da portare all'attuale crescita zero di questa tecnologia.

Il concetto di sostenibilità si basa sulla possibilità di rinnovamento delle fonti naturali d'energia utilizzate dall'uomo. All'interno di questo quadro l'energia nucleare non è una vera e propria rinnovabile, perché l'uranio presente in natura è limitato esattamente come i combustibili fossili, ma la disponibilità teorica di carburante nucleare sposterebbe il problema relativo al limite dello sfruttamento delle risorse energetiche di almeno cento anni.

Il tentativo di inserire il nucleare tra le fonti sostenibili, o che forse si potrebbero definire a "medio tasso di sostenibilità", si basa su una serie di analisi che vale la pena di osservare.
Il nucleare, infatti, è una delle fonti d'energia a più alto valore tecnologico aggiunto che l'umanità abbia scoperto e il suo utilizzo in maniera "sostenibile" sarà legato al progresso delle tecnologie correlate al trattamento dei materiali radioattivi e alle alte potenze di generazione.

Sono tre i fattori dei quali è necessario tenere conto per tentare di interpretare il nucleare in una chiave di sostenibilità.
Il primo è rappresentato dalle scorte di combustibile nucleare, il secondo dagli effetti, presenti e potenziali, del ciclo del combustibile, del ciclo di produzione e di decommissione e il terzo dai "sottoprodotti" del nucleare.

Il primo fattore, che riguarda la disponibilità di combustibile, se preso come valore assoluto metterebbe il nucleare automaticamente fuori da un quadro di sostenibilità. Le riserve di uranio, sfruttabile commercialmente a costi abbordabili sono, infatti, limitate. L'arco temporale di sfruttamento del nucleare è stimato comunque nell'ordine delle centinaia di anni, fatto questo che lo pone dal punto di vista teorico, fuori dal quadro della sostenibilità, ma soddisfa quelli che potrebbero essere i requisiti di una sostenibilità squisitamente politica, perché questo ordine temporale di esaurimento delle risorse pone il nucleare al di fuori di qualsiasi schema di programmazione da parte di enti e istituzioni. L'energia nucleare ha una scansione nel tempo tale da diventare "sostenibile" negli orizzonti di pensiero del quadro politico, per sua natura poco disponibile a ragionare sul lungo periodo.

Il secondo fattore ha degli aspetti che sono ancora da esplorare. Il ciclo del combustibile, infatti, allo stato attuale non è un ciclo chiuso, si pensi al problema dei depositi di scorie a lungo termine, e alla decommissione delle centrali, che è un'incognita pesante sul piano economico e ambientale.
La certezza del prezzo della decommissione, infatti, non è prevedibile al momento della costruzione dell'impianto e crea una variabile in termini di business di difficile gestione. Diventa complicato, se non impossibile, fare delle proiezioni a distanza di 30 anni, quando nel frattempo è necessario fissare il prezzo dell'energia prodotta fin dal primo megawatt, per incorporarvi anche i costi futuri. Si tratta di modelli industriali inediti che non hanno parametri conosciuti. A complicare ancora di più le cose si aggiunge la scarsa esperienza operativa in fatto di decommissione, sono, infatti, pochi gli impianti completamente decommissionati al mondo e il loro numero esiguo non permette di rendere più certa questa variabile.

Il terzo fattore è quello relativo al "sottoprodotto" classico del nucleare: l'utilizzo militare. Lo sfruttamento dell'energia nucleare è, infatti, l'esempio più emblematico di una tecnologia utilizzata su un doppio binario.
Tra tutte le tecnologie che allarmano l'opinione pubblica, quella del nucleare utilizzato per fini anche militari è la più sentita. Gli effetti devastanti della bomba atomica, infatti, sono stati sperimentati in un'epoca nella quale sia la dimensione mediatica, sia quella ideologica hanno diffuso la conoscenza sui rischi del nucleare a vasti strati di popolazione, cosa che non è successa con le armi chimiche di distruzione di massa utilizzate nella prima guerra mondiale.
La prova di ciò risiede nella risonanza molto diversa che hanno avuto i tre principali incidenti industriali degli ultimi anni: Seveso e Bhopal da un lato e Chernobyl dall'altro.
L'alta sensibilità dell'opinione pubblica alle tematiche legate alla proliferazione delle armi nucleari è un fatto radicato e profondo. Se si volesse adottare il nucleare è necessario adottare un quadro etico che metta ragionevolmente al sicuro da "deviazioni" politiche l'utilizzo del nucleare. In questo scenario la contraddizione più evidente risiede nel comportamento delle industrie del settore che da un lato rassicurano l'opinione pubblica interna, come nel caso degli Stati Uniti e dell'Europa, al fine di sviluppare un nucleare "pulito" nei propri paesi, dall'altro non disdegnano di fornire "chiavi in mano" reattori a paesi che non brillano per pacifismo e democrazia. Questo comportamento, che in un'epoca di grande diffusione dell'informazione, non può essere taciuto come l'utilizzo delle armi di distruzioni di massa nella prima guerra mondiale, rafforza la diffidenza dell'opinione pubblica sul nucleare.

Negli ultimi anni un argomento di grande presa, che i fautori del nucleare indicano come indice di sostenibilità, è la mancanza di emissioni di gas serra da parte degli impianti nucleari.
Forte delle estati sempre più torride, dovute all'effetto della Co2 nell'atmosfera, l'industria dell'atomo ha indicato come strada percorribile quella di uno sviluppo di questo tipo di impianti. In realtà sul breve periodo questo argomento non sembra avere molto spazio, anche perché lo sviluppo di impianti ad alta efficienza alimentati a gas naturale oggi sposta in parte il problema. Questi impianti possiedono, infatti, una grande flessibilità costruttiva, sia per i tempi di realizzazione che sono brevi, sia per i costi limitati, e hanno emissioni di Co2 inferiori al carbone e al petrolio.
Sul medio periodo, se dovessero cambiare variabili come il prezzo del gas naturale o le condizioni geopolitiche dei grandi paesi produttori, lo scenario potrebbe mutare a favore del nucleare.

Il tempo è un fattore che nel caso del nucleare gioca un ruolo importante.
Se la dimensione temporale relativa al ciclo di vita di un impianto può essere, per il nucleare, un fattore positivo, la stessa rapportata al problema delle scorie diventa problematica. Le scorie ad alta intensità, infatti, necessitano di siti sicuri e geologicamente stabili che possano confinarle dall'ambiente per migliaia di anni. Allo stato attuale nessuna tecnologia e nessuna istituzione possono garantire la sicurezza sotto a questo profilo e la cosa ha un grande peso per l'opinione pubblica, in speciale modo per quella direttamente interessata. Il fattore temporale è importante anche sul fronte del combustibile. Una scuola di pensiero giudica, infatti, insostenibile l'utilizzo dell'energia nucleare per spostare i termini della penuria energetica di un centinaio di anni. Secondo questa filosofia i rischi, per le generazioni odierne e quelle future sarebbero troppo grandi in relazione ai benefici energetici ottenuti nell'arco di un secolo. Il problema di fondo risiede nella scarsa efficienza energetica del nucleare classico: quello a fissione. In questo processo, infatti, solo il 2% dell'energia contenuta nelle barre d'uranio è utilizzata, mentre il restante 98% rimane inutilizzato nel combustibile esausto. La soluzione a questo problema potrebbe risiedere nell'utilizzo di reattori autofertilizzanti. Questo tipo di reattori funzionano con il plutonio ottenuto sia nei reattori a fissione, sia dalla conversione dell'uranio 238, che si trova abbondante nelle barre di combustibile nucleare esaurito.
Utilizzando il plutonio prodotto in entrambi questi processi, l'efficienza energetica di tutta la filiera diventa del 75%. In questo scenario le riserve mondiali di uranio sarebbero moltiplicate di 40 volte assicurando un'autonomia energetica di circa 4000 anni.
In questo caso l'ordine temporale farebbe puntare l'ago della bilancia della "sostenibilità" a favore del nucleare ma è necessario considerare il fatto che le scorie derivate dal plutonio sono ben più pericolose di quelle prodotte dall'uranio fissile, poiché il periodo di dimezzamento di quest'elemento è di circa 25.000 anni.

La tecnologia autofertillizzante, inoltre, non è ancora matura e non lo sarà per anni. L'esperienza in questo campo è limitata a pochi impianti e quei pochi hanno grossi problemi d'ordine tecnico. Il francese Superphenix, che non è mai andato a regime nella sua breve storia operativa, è in via di chiusura definitiva, mentre l'impianto di Monju, in Giappone, si dibatte tra rotture e fermi continui. L'esperienza su questi due impianti ha dimostrato l'immaturità di fondo delle tecnologie autofertilizzanti e la non economicità, allo stato attuale, del processo. Questi impianti, infatti, hanno componenti come i reattori, gli scambiatori di calore ed i sistemi di sicurezza completamente diversi da quelli dei reattori nucleari tradizionali e per questa ragione non possono trarre vantaggi dalle esperienze tecnologiche e dall'economia di scala che si è realizzata con i reattori a fissione.
Il Word Energy Council, infatti, fissa la maturità sia tecnologica, sia economica, tralasciando i fattori ambientali, per i reattori autofertilizzanti intorno al 2050.

Lo scenario d'incertezza generale del nucleare, i molti problemi aperti, le tecnologie ancora da sviluppare ed un quadro etico-sociale non favorevole sul piano internazionale sono i principali ostacoli per uno sviluppo del nucleare. Mantenere presidi tecnologici e di ricerca nel settore sarà importante, ma ciò che si configura sul breve periodo è uno scenario di stagnazione economica del settore. Allora c'è da chiedersi se non ci si deva aspettare una fuga in avanti dell'industria del nucleare, magari con l'ausilio di un paio di nazioni capofila, oppure, al contrario un abbandono definitivo del settore per ritornare su scenari già collaudati come quelli relativi ai combustibili fossili, adottando una politica "business as usual". Le vittime in questo caso saranno sempre e comunque le rinnovabili, che rimangono in questo quadro fuori dal gioco.

Sergio Ferraris



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