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Un campo eolico. Lo sviluppo di questa rinnovabile è ostacolato, in Italia, da parecchi fattori
Un campo eolico. Lo sviluppo di questa rinnovabile è ostacolato, in Italia, da parecchi fattori


Rinnovabili: necessità di rinnovamento

Per le energie alternative in Italia si riscontrano molte dichiarazioni di principio ma pochi fatti. Nel frattempo si affaccia all'orizzonte l'idrogeno. È necessario un rilancio delle politiche energetiche relative alle fonte alternative.

Che il dibattito sulle fonti di energia rinnovabili sia all'ordine del giorno anche nel nostro paese è un dato di fatto, ma che da questo dibattito scaturiscano delle indicazioni chiare ed operative per lo sviluppo di tali fonti è tutto da dimostrare.
Lo scenario energetico attuale italiano soffre secondo parecchi operatori di una sostanziale discrasia tra le intenzioni di principio e le possibilità di sviluppo concrete del settore.
Se da un lato una parte del quadro politico-istituzionale imputa al mondo imprenditoriale una scarsa propensione a cogliere le occasioni di sviluppo economico offerte dalle energie rinnovabili, dall'altro quest'ultimo accusa il primo di non creare un quadro normativo certo che permetta lo sviluppo di business di medio e lungo periodo che queste forme di energie necessitano ancora oggi.
Di sicuro nel dialogo tra i due mondi, per quanto riguarda le rinnovabili, è difficile, salvo che non si scenda a livello locale, trovare delle convergenze. Le ragioni di questo problema vanno trovate da un lato nella piccola dimensione di scala della maggior parte delle aziende energetiche italiane, incumbent a parte, e nel quadro normativo che si va tracciando in questo periodo in Italia.

La liberalizzazione del mercato energetico, infatti, porterà nel breve periodo le aziende energetiche a privilegiare, per ovvie esigenze di scala e dimensionamento, il prezzo dell'energia rispetto allo sviluppo di strategie a lungo periodo come quelle relative allo sviluppo delle sostenibili.
Il quadro normativo ed istituzionale che si va delineando, prova ne è il piano del Cipe per il raggiungimento degli obiettivi imposti dal protocollo di Kyoto, relega, oggi come oggi, le rinnovabili ancora nel campo delle sperimentazioni energetiche possibili.
Secondo il Direttore Generale del Ministero dell'Ambiente Corrado Clini, esiste il pericolo serio che le aziende italiane siano prese alla sprovvista sul fronte delle rinnovabili nel nostro paese, con la possibilità concreta che i finanziamenti del Governo Italiano vengano utilizzati da imprese straniere.
Se probabilmente Clini ha ragioni da vendere quando fa affermazioni simili, di sicuro è ingiusto mettere sullo stesso nastro di partenza le aziende energetiche italiane e le grandi multinazionali del petrolio che hanno sviluppato programmi sulle rinnovabili.
Dimensioni, strategie e possibilità sinergiche sono fattori che impediscono, nel nostro paese, non solo la competizione con le grandi multinazionali petrolifere ma anche con i paesi dell' Europa settentrionale che sul fronte delle rinnovabili sono ben più avanti dell'Italia.
Il fotovoltaico può essere preso come caso emblematico per quanto riguarda il comparto delle rinnovabili. Il nostro paese, infatti, è stato all'avanguardia del mercato negli anni ottanta quando questo era poco più che una sperimentazione, per perdere progressivamente mercato nel decennio successivo, quando questo è cresciuto del 25 - 30 % annuo. Il risultato di questa perdita di presidio, sia tecnologico sia di mercato, si può leggere in termini di Mwp installati. Nel 2001, infatti, nel nostro paese si è installato 1 Mwp contro gli 80 Mwp della Germania.
Il fotovoltaico è la vera e propria cartina di tornasole per quanto riguarda il presidio tecnologico. Se le altre rinnovabili possono vantare una sorta di stabilità tecnologica e il loro utilizzo è frenato solo da questioni di scala, per quanto riguarda il fotovoltaico il discorso è differente. La tecnologia utilizzata per quest'ultimo, infatti, è legata a quella dei semiconduttori, e l'abbandono di un presidio tecnologico su un settore strategico come il silicio non può che preludere ad arretramento su fronti più ampi.

Le altre rinnovabili, se non sono ferme, sicuramente avanzano poco.
L'eolico, settore nel quale l'Italia avrebbe discrete potenzialità, sembra essersi arenato sui problemi paesaggistici da un lato e su quelli relativi all'allacciamento alla rete dall'altro.
Nel 2002, infatti, sono stati installati 106 Mwp, ben 157 in meno rispetto al 2001. Oltre alle difficoltà già dette, altre difficoltà per l'eolico potrebbero sorgere dal disegno di legge "Ristrutturazione e riordino del settore energetico" in discussione al Parlamento. Il disegno di legge, all'articolo 22, fissa la quota percentuale obbligatoria di energia elettrica da rinnovabili annua da immettere dal 2006 al 2012 nella rete elettrica nazionale allo 0,35% oltre il 2% già fissato per il 2002. Questo aumento viene da più parti giudicato insufficiente per raggiungere gli obiettivi della Direttiva Europea, che sono auspicabili anche se non obbligatori. Un quadro simile di sicuro non è uno dei più invitanti sul fronte degli investimenti e della ricerca.
Idroelettrico e geotermico sono considerate sfruttate al massimo delle loro potenzialità e di piccolo idroelettrico nel nostro paese non si trova traccia. Sul fronte delle biomasse qualcosa si muove. Si tratta di iniziative prese da pochi privati e dalle aziende municipalizzate più attente al problema della termovalorizzazione.
Lo scenario generale delle rinnovabili non particolarmente esaltante fa sì che in questo periodo di movimento dei mercati, dovuto alla liberalizzazione, le aziende energetiche, che in questo quadro sono alla ricerca del prezzo sulla produzione d'energia, facciano ricadere la loro scelta su una fonte che sicuramente non è rinnovabile: il più tradizionale dei combustibili fossili, il carbone.
Quando il principale produttore d'energia in Italia compie la scelta di incrementare, nel giro di cinque anni, dal 11% al 22% l'utilizzo del carbone con l'obiettivo di far scendere i costi del 30%, il segnale è chiaro.

Nel frattempo si apre una nuova porta: quella dell'idrogeno.
Secondo il mondo scientifico l'Italia sarebbe pronta a fare il grande salto nell'era dell'energia ad idrogeno unendo in maniera applicativa il patrimonio tecnico e scientifico acquisito nel mondo della ricerca e quello proveniente dal settore delle rinnovabili.
È di questi giorni, infatti, l'annuncio che il premio Nobel Carlo Rubbia è in dirittura d'arrivo nella realizzazione operativa di centrali solari ad alta potenza, che utilizzano la tecnologia degli specchi, le quali potrebbero produrre idrogeno in luogo del vapore ed aprire scenari energetici degni d'interesse.
Questa modalità di produzione dell'idrogeno, totalmente eco-compatibile, potrebbe arrivare, secondo le stime dei ricercatori, ad una produzione di oltre sette milioni di tonnellate di idrogeno con un ricasco occupazionale di oltre 100.000 unità.
Per l'idrogeno, come per ogni altro combustibile di nuova generazione, c'è bisogno che se ne definisca, in primo luogo, la filiera produttiva e d'utilizzo tenendo conto dello scenario di riferimento e di mercato. In questo senso gli stessi studiosi che hanno prospettato un utilizzo generalizzato e questa nuova fonte d'energia sostengono che deve essere esplicitata e sostenuta una reale volontà politica ed una conseguente elaborazione di una strategia d'applicazione a livello nazionale che tenga conto del contesto più allargato a livello europeo.
In pratica quel quadro di certezze politiche e normative che le rinnovabili tradizionali nel nostro paese non hanno mai avuto.

Sergio Ferraris

 

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