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Ricerche biotecnologiche su piante commestibili
Il Dna della porta accanto


Pubblico dominio o brevetti? Il biotech è ancora una volta al centro di nuovi fenomeni, che bisogna capire a fondo per gestirli al meglio.


Bio hacker: è una parola che presto potrebbe diventare di scottante attualità.
L'incontro tra le filosofie libertarie del free software, come Linux, e la facilità di manipolazione del materiale genetico, per la quale occorrono ormai attrezzature minime, potrebbe, in breve periodo, far nascere una sorta di "fai da te" della bioingegneria.

Quest'idea non risiede nella sfera della fantascienza da quando, a Davis, una cittadina universitaria a nordest di San Francisco, è nata la figura del bioinformatico.
Eric Engelhard, che la incarna perfettamente, è un ricercatore che ha iniziato ad occuparsi di informatica per gestire i processi legati alla ricerca genetica ed ha installato un piccolo, ma efficiente laboratorio, per la manipolazione genetica degli esseri viventi in casa.
Banchi di lavoro,prodotti chimici, culture batteriche e know-how sono gli ingredienti che hanno permesso Engelhard di ottenere del DNA puro dalle api europee per introdurre un gene artificiale
che gli permetta di ottenere una nuova specie di api prive del veleno.

Il basso impatto economico della ricerca, la possibilità di accedere alla decifrazione del codice genetico a bassissimo costo e la disponibilità di calcolo messa a disposizione dei personal computer rappresentano lo scenario di sfondo all'interno del quale si muovono i bioinformatici californiani.

Bio/informatica applicata

Per conoscere, e capire, la filosofia che anima questo gruppo è sufficiente navigare sul web.
Nel loro sito la tecnologia Java di Sun diventa BioJava, il Perl, uno dei linguaggi più utilizzati per le applicazioni Internet si trasforma in BioPerl e non mancano le collezioni di programmi computazionali per la biologia molecolare: tutto rigorosamente open source.

La filosofia legata all'open source è la chiave necessaria per capire correttamente ciò che sta dietro a questo fenomeno. Per i ricercatori californiani, infatti, non esistono differenze di sorta tra la libertà di modifica di un software e libertà di modifica di un essere vivente attraverso la manipolazione genetica.

I programmi informatici così come codici genetici sono, secondo loro, a disposizione di chiunque li sappia modificare e non sono brevettabili.

In pratica il bagaglio teorico che sta dietro agli apprendisti stregoni delle biotecnologie californiani è "clonato", è il caso di dirlo, direttamente dal mondo informatico, e mischia al suo interno gli ingredienti di ribellismo, tipici dell'area geografica ed una miscela di elementi libertari abbastanza elementari.

I Bio hacker della baia di san Francisco, infatti, sembrano aver analizzato i problemi connessi alla loro attività da un punto di vista abbastanza limitato ed autoreferenziale senza la costituzione di un quadro generale di riferimento nel quale operare.

Se da un lato, la battaglia contro la brevettabilità del materiale genetico è condivisibile, dall'altro l'appellarsi ad una libertà assoluta di ricerca e sperimentazione in questo campo scientifico, appare quantomeno azzardato.

Per comprendere meglio è necessario riflettere su quanto accade giornalmente nel settore dell'informatica.

Il software open source, ad esempio, è uno straordinario caso di crescita "spontanea" di idee, tecnologie e sperimentazioni che hanno portato, in poco più di un decennio, alla creazione della più vasta comunità intellettuale, aggregata su un singolo progetto, dell'intero pianeta.

Oggi chiunque possieda un personal computer può, gratis oppure con pochi euro, ottenere una grande quantità di software legale con il quale lavorare.
Tra i tutti, ci sono naturalmente, anche le grandi multinazionali statunitensi che hanno preso la palla dell'open source al balzo per aumentare i propri profitti, risparmiando sulle licenze software. È il caso di Ibm e dei suoi nuovi server web.

I presupposti perché si inneschi un fenomeno "simile" anche sul fronte del biotech ci sono tutti.
Sono più di due anni, per esempio, che opera, rigorosamente on-line, il software che ha messo in rete, ed in relazione, i dati grezzi provenienti da laboratori ai quattro angoli del pianeta, per il sequenziamento del genoma umano.
Il data base generato dal programma, nei suoi ventiquattromesi di attività, non è completo come quello di Celera, ma ci si avvicina molto ed oltre tutto è gratis.

Cosa succederebbe se un simile scenario venisse applicato, senza filtri, come succede in informatica nel mondo delle biotecnologie?

I presupposti perché si inneschi un fenomeno "simile" anche sul fronte del biotech ci sono tutti.
Sono più di due anni, per esempio, che opera, rigorosamente on-line, il software che ha messo in rete, ed in relazione, i dati grezzi provenienti da laboratori ai quattro angoli del pianeta, per il sequenziamento del genoma umano.
Il data base generato dal programma, nei suoi ventiquattromesi di attività, non è completo come quello di Celera, ma ci si avvicina molto ed oltre tutto è gratis.

I panorami che è possibile immaginare sono solo parziali.
Una serie di piccole aziende biotecnologiche otterrebbero di sicuro dei grandi vantaggi dall'adozione di dati e metodologie open source e potrebbero in breve tempo competere con le multinazionali più grandi.

Il proliferare indiscriminato delle tecnologie di modifica del materiale genetico potrebbe portare a conseguenze che è difficile immaginare.
Contro l'accessibilità e l'economicità dell'accesso a dati e metodologie poco possono le leggi sulla brevettabilità del materiale genetico, fatte ad uso e consumo del mercato, esattamente come sono inefficaci le analoghe norme di tutela del diritto d'autore sul fronte informatico.

Il vero problema risiede nella possibilità che i risultati della ricerca genetica fai da tè possano disperdersi nell'ambiente, con effetti assolutamente sconosciuti che possono diventare delle varianti impazzite e incontrollabili.

Ancora una volta il parallelo con le tecnologie informatiche può rendere l'idea. I virus informatici, infatti, hanno, all'interno delle reti, un vero e proprio comportamento simile alle infezioni virali.
Si diffondo, attecchiscono all'interno dei computer, si mimetizzano e si riproducono esattamente come quelli biologici, con la differenza che, nel caso del materiale biologico geneticamente modificato rilasciato negli ecosistemi, le variabili da considerare sono pressoché infinite ed i risultati potrebbero essere catastrofici ed incontrollabili.

Da un lato la proliferazione, a livello di "massa", della ricerca biotech potrebbe portare ad una crisi della brevettabilità del vivente e ad un aumento della cultura di ricerca, mentre dall'altro l'accesso indiscriminato a queste tecnologie potrebbe creare micidiali mine vaganti biotecnologiche incontrollate.

Di certo c'è solo una cosa: una simile prospettiva non potrà essere gestita ne dalle leggi del mercato ne da quelle della censura repressiva. Ancora una volta si prefigura uno scenario nel quale la politica mondiale sarà chiamata a gestire i processi che coinvologono l'ambiente senza lasciare che gli stessi compiano percorsi autonomi, non democratici e pericolosi. Ed i pochi segnali che abbiamo in questo periodo non ci sembrano incoraggianti.

Sergio Ferraris



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