Milano,
Palazzo Reale 18 marzo - 2 giugno 2003
"ACQUA"
Mostra
fotografica di Mike Goldwater
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Storie d'acqua
di Enzo Biagi
La storia dell'acqua mi accompagna dall'infanzia:
"Non devi bere alla fontana" mi dicevano
le vecchie "quando è suonata l'Ave
Maria; comincia il turno degli spiriti".
Poi c'è una leggenda olandese che racconta,
con una trama tenera e generosa quello che era,
secondo l'oleografia, il significato, almeno
poetico, dei legami familiari.
Comincia con l'acqua di una diga che tracima
e invade una casa dove vivono due sposi col
loro bambino, e cresce sempre; allora il padre
si rifugia con la moglie e il piccolo sui tetti
e l'acqua sale ancora, e l'uomo prende la donna
sulle spalle, e la donna mette sulle sue il
bambino, e al mattino passa un angelo sul grande
lago che ha sepolto tutto, e il sole illumina
una chiazza d'oro; sono i riccioli del bimbo.
Scende per portarlo in cielo ma non ce la fa:
è un grappolo umano, unito per sempre.
Mi porto dentro, dopo avere girato il mondo
per raccontare storie, delle immagini incancellabili:
la donna che sul Gange spargeva petali di fiori
perché il fiume li portasse a qualcuno
che la corrente aveva portato via per sempre.
Dicono: "È l'anima dell'America".
Mark Twain, che era di quelle parti, lo definì
"il fiume più storto del mondo".
Gli indiani lo chiamavano "il padre delle
acque". Attraverso una terra umida e rossa,
il Mississippi porta con sé una grande
leggenda. Lo risalì, per la prima volta,
una specie di armata Brancaleone, al comando
di Hernando De Soto: i coraggiosi mascalzoni
scoprirono le infinite pianure sulle quali oggi
fiorisce il cotone e matura il granoturco, e
le foreste, le mandrie di bisonti, i branchi
di pellicani, di cervi e di tacchini selvatici;
nel cielo, spesso nascosto dalla foschia, volavano
i martin pescatore e gli aironi azzurri.
Più tardi, "lo splendido, fiero,
volubile Sud" diventò il traguardo
di chi cercava pascoli o fortuna, campi da seminare
o un rifugio per salvarsi dall'intolleranza,
i battelli a vapore cominciarono a navigare
tra le insidie di migliaia di isolotti e tra
relitti limacciosi, e trasportavano cacciatori
di pellicce, predicatori mormoni, ballerine,
trafficanti di armi, biscazzieri. Trasportavano
anche il dolore degli schiavi.
Nelle belle sale coperte di tappeti e con gli
enormi candelieri a gas, si dava spettacolo,
si mangiava, si distribuivano le carte e i favori
delle ragazze di "piccola virtù",
come le chiamavano i francesi, che sfoggiavano
gli ultimi modelli di Parigi.
Adesso, tra quelle rive, avanzano lenti i rimorchiatori
con le chiatte cariche di bestiame, frumento,
rottami metallici, benzina e fanno scalo nel
Minnesota, nel Wisconsin, nell'Illinois o nel
Missouri, fin giù, verso le savane della
Louisiana, fino a New Orleans.
Ho ripercorso trent'anni fa su un grande piroscafo
fluviale questi itinerari, e a Natchez ci sono
ancora le case di Rossella O'Hara e dei personaggi
di Via col vento, edifici pomposi, con le colonne
bianche, i fregi neoclassici, i viali ordinati
per il trotto delle leggere carrozze, le tende
candide, lumiere di opaline, porcellane e teiere
di argento, pianoforti di legno chiaro, ritratti
di severi gentiluomini in tuba e di evanescenti
dame in crinolina.
Accanto a queste fiere dimore c'erano, e in
molti posti resistono ancora, le capanne dello
zio Tom: "A volte" ha raccontato William
Faulkner "davano la caccia ai negri coi
cani, come si fa con una volpe, un gatto o un
tasso".
Ora lo zio Tom ha perduto l'antica rassegnazione,
si chiama magari Malcolm X, o qualcuno dei suoi,
e sfoga la sua rabbia con la violenza.
È a New Orleans che splende la favola
del Mississippi; il motto della città
è: "Sotto le mie ali ogni cosa prolifera".
Hanno fondato la prima scuola per le ragazze
degli Usa, hanno insegnato a mangiare i pomodori,
a preparare i cocktails, a suonare il jazz e
a organizzare il peccato.
In Corner Basin o in Rampart Street disponibili
signore di ogni colore e di ogni provenienza
rallegravano le notti dei naviganti appena sbarcati.
C'era persino una guida, il Blue Book, che elencava
oltre settecento utili indirizzi e non c'è
storia del costume che non riproduca la pubblicità
che i proprietari facevano alle loro accoglienti
imprese: puntavano tanto sull'arredamento e
sul servizio come sulle "attrazioni"
e le vecchie fotografie documentavano gli assortiti
campionari.
Ora, sui marciapiedi del Vieux Carré,
si mescolano lunghe file di turisti nella paziente
attesa di emozioni distribuite in tutti i "massage
parlors" e in tutti i locali di spogliarello
che dilagano nella Confederazione.
Nessuno più accompagna i funerali con
le trombe di Louis Armstrong o con le bande
di Buddy Bolden o di King Oliver, ma "il
magnifico Mississippi" resiste anche alle
leggi dell'economia e agli inesorabili tramonti
della moda. È una vicenda che non avrà
mai fine. Quattromila chilometri di viaggio
per attraversare ventotto Stati.
E adesso, storie di casa nostra, che non hanno
ispirato i poeti e i musici ma riempito le cronache.
Sono passati più di cinquant'anni dall'alluvione
del Polesine e più di trentacinque da
quella di Firenze. Tutte le sciagure si assomigliano
perché la sventura non ha fantasia: si
tratti del Po o dell'Arno.
Novembre 1951: ero ancora un giovane giornalista
e mi mandarono nel Polesine per fare la cronaca
di quelle tragiche giornate. Adria isolata.
Anche l'ultimo tentativo di raggiungerla era
fallito. Un anfibio, messo a disposizione dei
pompieri, era stato immobilizzato dalla fanghiglia.
Le barche a motore non resistevano alla foga
della corrente. Sette chilometri di acqua limacciosa
ci dividevano dalla cittadina polesana e non
si sapeva nulla degli abitanti che non avevano
potuto abbandonare le abitazioni raggiunte dalla
piena. Dalle otto del mattino la strada era
interrotta, a mezzogiorno anche le comunicazioni
telefoniche erano cessate: si era solo saputo
che un ponte, quello sul canale Bonsega, era
crollato.
Una colonna di cucine da campo sostava inutilizzata
su uno spiazzo. Attorno gli scandagli davano
misure impressionanti: l'acqua era alta tre
o quattro metri. Ovunque desolazione e sgomento:
la ciminiera di uno zuccherificio, spenta, aggiungeva
malinconia al lugubre panorama. Il paese era
circondato dal liquido sporco e tumultuoso.
I battelli venivano ricacciati indietro dalla
furia delle onde che rendevano ancora più
difficile il trasporto degli uomini e di qualche
masserizia. Sugli argini spuntavano tende e
capanne costruite con mannelli di granoturco,
coperte di erbe secche. Era difficile convincere
i padroni delle casette sommerse ad allontanarsi
dalla riva: il loro cuore era là e non
sapevano togliere gli occhi da quelle acque
immobili che avevano sconvolto la loro esistenza.
Lontano tre figurette su un tetto: una donna
e due bambini attendevano qualcuno che li andasse
a prendere. Il padre era accanto alla nostra
vettura e piangeva. Piangevano tutti.
Era difficile muoversi sugli argini; le ruote
slittavano nel fango: c'era il pericolo di finire
nelle acque sconvolte che passavano poco sotto.
Un padre cappuccino e il cappellano del posto
si affannavano a mettere un po' d'ordine nelle
operazioni di salvataggio. Era faticoso convincere
quei contadini ad abbandonare il maiale o gli
indumenti perché bisognava portare al
sicuro coloro che erano in pericolo. Il frate
era energico e deciso. E più ancora lo
era il giovane prete che esortava i suoi fedeli
a dimenticare i piccoli egoismi. "Se no",
diceva, "mi faccio dare il mitra da quelli
là". E segnava i carabinieri.
In una località già inondata,
a Bellombra, c'era da andare a prendere una
donna colta dalle doglie. Partì un'imbarcazione
con una giovane ostetrica. "Lo chiameremo
Rottiglio o Rottiglia", disse "come
si usa fare qui quando nasce una creatura durante
una rotta".
E un altro Rottiglio nacque vicino a Camponogara
su una vettura ferroviaria, perché la
vita, nonostante il male e il dolore, continua.
Nel Mulino del Po, il romanzo di Riccardo Bacchelli
che forse qualcuno ricorda perché Sandro
Bolchi lo rese popolare con uno struggente sceneggiato
televisivo, Mastro Subbia commenta: "E
quanto a esperienza, è quel che ci rimane
quando abbiamo perso tutto il resto".
Nel Basso Polesine, sulle rive del grande fiume,
c'erano paesi dove le donne, la domenica, andavano
a sedersi nei cimiteri e parlavano coi defunti.
Li tenevano informati, ma non avevano quasi
mai novità belle da raccontare. La miseria,
dicevano i personaggi di Bacchelli, viene in
barca. Da sempre.
Novembre 1966: anche Firenze invasa dall'acqua
e dalla melma. Alle solite storie di contadini,
o di pastori, di boscaioli, che spariscono nell'anonimo
degli elenchi ufficiali, si aggiungono discorsi
e nomi che sembrano tirati fuori dai manuali
e dai testi letterari: Giotto, Cellini, Dante,
Boccaccio, e nella fanghiglia si disperdono
incunaboli o tele preziose, le testimonianze
delle guerre passate. Poi le autorità
spiegano alla televisione che la colpa è
sempre di quelli che c'erano prima.
Nella vicenda di un cronista ci sono tanti disastri.
Come le procellarie anticipa, o insegue, la
tempesta.
Quasi ogni anno l'America è sconvolta
da un tornado, il Giappone deve subire gli assalti
tellurici e l'Olanda la rabbia del mare: nessun
Paese, come l'uomo davanti alla morte, sa da
che parte entra il lupo.
Testo contenuto
nel volume "Acqua" pubblicato da Federico
Motta Editore (tutti i diritti sono riservati.
Ogni riproduzione parziale del presente testo
deve essere dettagliatamente concordata con
l'editore.)
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