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SPECIALE JOHANNESBURG

Il futuro dimenticato

di Mikhail Gorbaciov
Da: La Stampa 26 08 2002


E' cominciato il secondo Summit della Terra. Più di cento capi di Stato e di governo sono arrivati a Johannesburg, e ciò significa che sono preoccupati.

Ma non basta essere preoccupati. La distanza tra l’inquietudine e le azioni concrete è enorme. Dieci anni fa, a Rio de Janeiro, già ce n’era abbastanza di preoccupazione, eppure che dire della situazione in cui ci troviamo oggi? Guardando indietro agli avvenimenti del decennio trascorso non posso che provare una grande delusione e una grande inquietudine.

Avevamo in molti l’impressione che, con la fine della guerra fredda, e con la caduta del muro di Berlino che ne fu il simbolo più visibile, l’umanità avrebbe potuto finalmente guardare al futuro con speranza. Sembrava che la comunità mondiale, liberata dalla paura della minaccia atomica, dagli impacci della contrapposizione ideologica, avrebbe potuto incamminarsi sulla via di uno sviluppo stabile, intraprendere misure urgenti per la lotta contro la povertà e contro gli effetti catastrofici dell’inquinamento ambientale, modificare il carattere della globalizzazione, includendo in essa concetti essenziali come la solidarietà, i diritti umani, le libertà individuali. Purtroppo queste possibilità sono state usate come minimo insufficientemente.

L’umanità è rimasta indietro rispetto allo scorrere del tempo. I festeggiamenti per la morte del comunismo si sono protratti troppo a lungo mentre si perdeva di vista la complessità del mondo, i suoi problemi, le sue contraddizioni. La povertà e l’arretratezza furono dimenticate; i problemi dell'ambiente furono collocati alla periferia della coscienza collettiva. Eppure, per citare le parole del futurologo americano Alvin Toffler, noi ci troviamo già in collisione con il futuro.

L’11 settembre 2001 ha messo a nudo l’inconsistenza dell’idea di un mondo unipolare. Perfino il paese più potente del mondo si è scoperto vulnerabile, impotente a fare fronte alla minaccia del terrorismo internazionale. C’è da augurarsi che quella data segni anche la fine delle illusioni prodotte dalla filosofia errata sorta in occidente dopo la fine delle guerra fredda e il collasso dell’Unione Sovietica: appunto l’idea di un mondo unipolare. Il summit di Johannesburg deve rappresentare un punto di svolta in questo senso, andando oltre la denuncia per affrontare i compiti concreti e urgenti di uno sviluppo sostenibile.

Se i leader non saranno capaci di ciò, se non si definiranno i compiti e le necessarie risorse, temo che l’idea stessa di forum di questo genere ne risulterà definitivamente screditata. Quando il sistema comunista andò in pezzi il grande oceanologo francese Cousteau disse che il danno maggiore all’ambiente non era venuto dal comunismo ma dall’economia di mercato, per la quale ogni cosa ha il suo prezzo, ma nulla ha valore. Io non invito a tornare al comunismo, perché ritengo quell’utopia ormai esaurita, ma sono incline a pensarla come Cousteau.

Gli eventi stanno dimostrando che considerazioni esclusivamente economiche (redditività immediata dei capitali) non consentono di affrontare la sfida ecologica. Il mercato non è in grado di calcolare ciò che sarà prezioso per l’uomo tra cento anni. Come valutare in termini di mercato la bellezza d’un lago, o di una vetta scintillante di neve? Chi calcolerà la redditività del salvataggio di animali selvaggi che non rendono nulla a nessuno, o di centinaia di specie d’insetti? Ma, siamo franchi: inutile attendersi cambiamenti radicali se non muterà la mentalità della società del consumo, che ha occupato l’intero pianeta insieme alla globalizzazione.

E’ evidente che la società dei consumi è incompatibile con gli equilibri naturali e che essa sta pervertendo gli individui. Ricordo un colloquio di alcuni anni fa con l’ex segretario di Stato George Shultz. Era il 1992. Parlammo una notte intera. Gli dissi: «Voi americani volete esportare il vostro stile di vita dovunque. Ma voi consumate il 44 per cento di tutta l’energia elettrica del mondo. Se gli altri paesi cominciassero a vivere secondo i vostri standard tutte le riserve del pianeta si esaurirebbero in pochi anni». Sono passati dieci anni e la situazione non è migliorata affatto. Quasi un miliardo di persone soffre la fame e negli Stati Uniti una persona su quattro soffre di obesità.

Non viene in mente a nessuno che questo è un paradosso pericoloso? Non ci rendiamo conto che non è segno di normalità il fatto che di 36 milioni di malati di Aids, 23 siano in Africa? Oppure che Tokyo abbia tante linee telefoniche quante ne ha tutta l’Africa? Oppure che 130 milioni di bambini non possono neppure cominciare la scuola elementare? In Botswana l’aspettativa media di vita alla nascita è oggi di 41 anni. E l’aiuto dei ricchi ai poveri invece di aumentare diminuisce. Una volta Winston Churchill tracciò così la differenza tra un politico ed un uomo di Stato: il primo pensa alle prossime elezioni, il secondo pensa al futuro.

Ho l’impressione che, tra i tanti deficit del mondo contemporaneo, ci sia quello degli uomini di Stato. Invece abbiamo molti politici. Il risultato è che stiamo perdendo non soltanto il sentimento di giustizia, ma anche l'istinto elementare di sopravvivenza. Il Mahatma Gandhi elencò sette peccati sociali dell’umanità: una politica priva di principi, un commercio senza morale, una ricchezza che non viene dal lavoro, una formazione priva di qualità, una scienza senza umanità, un piacere senza coscienza, una disciplina senza spirito di sacrificio.

Chi si ritiene senza peccato scagli su di me una pietra, ma tirate le somme la responsabilità sta sulle spalle dei leader attuali. La prima sfida che hanno di fronte è preservare la pace e far terminare i conflitti cosiddetti locali, impedendo che si diffondano come macchie sanguinose altrove sul pianeta. Perché tra i partecipanti di questi conflitti vi sono paesi che hanno armi atomiche e chimiche. La comunità mondiale dev'essere unita nella lotta contro il terrorismo, che non può essere giustificato in alcun modo. La seconda sfida è la lotta contro la povertà. Come può il «miliardo d'oro» dei fortunati prosperare sulle sofferenza di metà della popolazione mondiale?

La terza sfida è appunto il problema dell'ambiente naturale. Non occorrono occhiali per vedere i mutamenti del clima, l’aumento dei cataclismi naturali, dei tifoni, delle inondazioni, delle desertificazioni. Spariscono centinaia di tipi di piante, di specie animali, si sciolgono i ghiacciai, s'impoveriscono gli oceani. Sono tre sfide intimamente collegate tra loro. Se non troviamo l'unità contro la guerra non potremo trovarla per salvare il pianeta. Se non combattiamo contro la povertà, allora non sarà possibile lottare contro il fanatismo, la criminalità, la droga. Se non combatteremo per superare la povertà anche le misure ecologiche saranno inutili.

Come vietare ai poveri del bacino amazzonico di tagliare alberi per creare campi da coltivare? Come pretendere da un paese in miseria di mettere in atto costose misure di salvaguardia della natura? Ma se non ci occuperemo della natura, anche i nostri sforzi per un mondo più giusto finiranno nel nulla e le generazioni a venire pagheranno per centinaia di anni la nostra insensata violenza sulla natura. La vita stessa sul pianeta Terra potrebbe alla lunga rivelarsi soltanto un episodio effimero. Per tutto questo dobbiamo imparare e pensare in modo nuovo.

Abbiamo bisogno di un nuovo ordine, fondato sulla giustizia e sull'eguaglianza dei diritti e non sulla ricerca dei vantaggi. Ci vengono dalla natura messaggi di tempesta. E’ il momento di leggerli con attenzione. Il summit di Johannesburg non deve diventare «Rio + 0». La natura non può attendere.

Mikhail Gorbaciov
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